Una vecchia canzone degli anni sessanta (1967) ricordava la necessità di accettare la sconfitta: “Bisogna saper perdere”.

Il complesso che la cantava, ironia della sorte, era un gruppo di cantanti inglesi: i Rokes; tuttavia il testo in lingua italiana non deve essere mai stato tradotto in inglese perché della necessità di saper perdere evidentemente gli inglesi, a partire dalla famiglia reale, non hanno fatto tesoro.

Lo stadio di Wembley – Foto di  Samuel Regan-Asante su Unsplash

È bastata una partita di calcio per far venir meno il tradizionale aplomb britannico. La mancata partecipazione alla premiazione del principe William, presidente della Federazione calcistica inglese, ha ricordato il gesto del cancelliere tedesco Hitler che alle Olimpiadi di Berlino non volle premiare il vincitore della gara di salto in lungo Owens, reo di aver sottratto la vittoria al campione di casa, l’atleta Luz Long.

Del resto anche i calciatori inglesi togliendosi la medaglia d’argento dal collo (secondo miglior risultato di sempre della loro storia) hanno dimostrato di avere mal compreso le regole di Olimpia.

La lealtà e la probità, che sempre devono essere alla base del comportamento sportivo, sono state, palesemente, dimenticate nella notte di Wembley.

Il cattivo esempio è stato dato anche dai tifosi che, inizialmente hanno fischiato l’inno della squadra avversaria (come era accaduto anche per l’inno danese), ed alla fine della partita, dentro e fuori dallo stadio, non hanno attuato i dettami del fair play, eppure il termine inglese avrebbe dovuto agevolarli nella scelta del comportamento da tenere.

Non è mai facile accettare una sconfitta che viene a seguito della lotteria dei rigori, ma bisogna ricordare ai nostri amici d’oltremanica (ex comunitari) che si può perdere una partita, ma non si deve mai perdere la dignità, il cui valore è infinitamente più grande di una sconfitta sportiva.