Questa lettera non viene da Strasburgo, ma riguarda una questione, tutta italiana, che ci ha fatto rimediare negli anni più di una condanna a Strasburgo, da parte della Corte europea dei diritti umani.

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Lo scorso 12 luglio la nostra Corte costituzionale ha depositato le motivazioni della sentenza n. 150 del 2021 con la quale essa ha deciso sulla complessa e delicatissima questione delle sanzioni per il reato di diffamazione a mezzo stampa.

La questione è annosa. E da anni in Italia si attende una nuova legislazione che sostituisca l’articolo 13 della legge sulla stampa (47 del 1948) e l’articolo 595, terzo comma del codice penale che puniscono pesantemente il reato di diffamazione, anche con la sanzione della pena detentiva.

Più volte il Consiglio d’Europa ha esercitato pressioni sull’Italia per la modifica di tale legislazione ritenuta incompatibile con la tutela della libertà di stampa. Ed anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per l’irrogazione di pene detentive ai giornalisti (basta citare il celeberrimo caso Sallusti c. Italia del 2019).

Ma il Parlamento italiano non è riuscito ad approvare una nuova legislazione. Nemmeno quando la Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 132 del 2020, gli aveva assegnato, diciamo così, un termine di un anno, dichiarando di voler posporre l’esame dell’ennesimo caso relativo a questa legislazione in attesa della legge.

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La legge però non è arrivata e allora la Corte ha deciso.

Ha deciso che, vista la delicatezza del bilanciamento tra il diritto alla libertà di stampa e il diritto alla onorabilità di chi viene diffamato, «non è di per sé incompatibile con la libertà di manifestazione del pensiero una norma che consenta al giudice di applicare la pena della reclusione nel caso in cui la diffamazione si caratterizzi per la sua eccezionale gravità». Ma solo in questi casi sarà possibile irrogare la sanzione della pena detentiva.

Pertanto, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 13 della legge sulla stampa, che dispone sempre la pena della reclusione da uno a sei anni per il reato di diffamazione commessa a mezzo della stampa. Mentre ha considerato l’articolo 595, terzo comma, del Codice penale compatibile con la Costituzione, purché sia interpretato nel senso che la reclusione può essere applicata dal giudice soltanto nelle ipotesi più gravi di diffamazione.

Una soluzione prudente ed equilibrata senza dubbio, ed in linea con la giurisprudenza di Strasburgo, ma che, come la stessa Corte costituzionale, non esime il Parlamento italiano dal dovere di elaborare una compiuta disciplina della materia.

Meglio, aggiungiamo noi, nel quadro di una nuova disciplina generale delle attività di comunicazione, con qualunque mezzo realizzate.