È un pomeriggio di sole a Berlino e sono seduta nella cucina del mio appartamento a Friedrichshain; una tazza fumante di caffè in mano, il computer per prendere appunti di fronte a me: così armata telefono a Chiara Corazza.

– Che cosa ti aspetti da questo dialogo? – mi chiede lei, precedendo la domanda che normalmente pongo ai miei interlocutori.

Chiara Corazza – Foto di International Transport Forum

Chiara Corazza è la consigliera delegata del Women’s forum for the economy and Society, una importante piattaforma che lavora per amplificare la voce delle donne a tutti i livelli, in politica come nel mondo dell’economia e del lavoro. Chiara ha una grande energia, che riesce a passare distintamente anche attraverso la connessione telefonica. È assertiva, ma parlare con lei risulta contemporaneamente molto semplice. La nostra lunga conversazione scorrerà per me molto rapidamente e in effetti non mi riesce di pensare a qualcuno che potrebbe interpretare meglio il suo ruolo di delegata per il G7 e per il G20.

La battaglia che sta combattendo il forum, infatti – Chiara in testa – è quella per portare avanti proposte e politiche concrete che rendano la ripresa post-Covid bilanciata dal punto di vista dell’equilibrio di genere.

Uno she-covery – dice lei – che non sia una elemosina verso le donne, ma che consenta miglioramenti sociali, politici ed economici per tutte e tutti

Ho partecipato all’ultima edizione del global meeting del forum lo scorso novembre e ricordo un parterre di ospiti veramente eccezionale: dalla presidente della commissione europea Ursula von der Leyen, a quella della Repubblica di Singapore Halimah Yacob; ma anche tantissime presenze maschili eccellenti, come il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire, o Angel Gurria, segretario generale della OCSE.

Certo, – dice lei – gli uomini devono essere nostri alleati, partecipi di questa battaglia. Come pure, dobbiamo ritornare ad un femminismo che sia libertà di scegliere. Anche libertà di scegliere di non impegnarsi, di stare a casa –

– È vero – rispondo io – eppure ho sempre trovato affascinante che i movimenti di “liberazione” degli uomini non siano ancora mai diventati importanti e comincino forse ad emergere solo ora, quando si parla di mascolinità tossica in termini di qualcosa che opprime la piena espressione di entrambi i generi –

Mi viene in mente un report dell’OCSE di qualche anno fa, che tirava conclusioni estremamente interessanti in merito al divario di genere nel campo dell’istruzione, e vedeva una inversione di tendenza nei paesi membri, con le donne che mediamente studiano di più che in passato, e in generale di più degli uomini. Anche se il report sottolineava un buon trend in termini di raggiungimento della parità – incluso nelle materie STEM, storicamente appannaggio del genere maschile – una tendenza preoccupante riguardava invece il tasso di abbandono scolastico maschile. L’abbandono scolastico è un fattore che correla con impatti negativi sulla salute e sulla partecipazione sociale e politica, con conseguenze negative per la società nel suo complesso oltre che sui singoli individui.

È per questo che il Women’s forum vuole spingere per l’inclusione e non per l’esclusione. Inclusione di una prospettiva di genere in tutti i campi, compresi quelli in cui le donne sono state storicamente escluse. In questo modo si arricchisce tutta la società. Ci sono tanti uomini che lo hanno capito e che sono dei campioni in questo senso. Si tratta di alleati preziosi. –

Non mi piace l’opposizione uomini/donne – continua poi – anche perché porta a dei condizionamenti. Un esempio: le attrici tendenzialmente vincono premi importanti quando fanno ruoli problematici, quando diventano mostruose, lasciami dire, o sono molto “disruptive”. Questo perché il paradigma di che cosa fa un buon interprete segue canoni tutti maschili, e a noi tocca fare i salti mortali, superare prove e standard più elevati, come se dovessimo adeguarci a qualcosa di eteroimposto. –

– E per quanto riguarda te? Cosa ti ha mossa in questo campo? – Le chiedo facendole notare che nelle interviste che rilascia non emerge mai l’aspetto personale. Chiara ride con una bella risata giovanile, mi domando se non ho colto un punto di timidezza in una donna tanto pubblica e abituata a parlare con i leader del mondo.

– Credo che questo dipenda dal fatto che quello che mi ha spinto è stato un senso di responsabilità verso il mondo. Responsabilità di restituire, di mettere in condivisione quello che la vita mi ha dato. La sfida del women’s forum è questa: le donne non devono andare a chiedere di entrare, dobbiamo evidenziare il contributo che portano in modo da facilitarne l’ingresso in tutti i campi –

Proponi quindi una inversione della narrazione: non la donna oppressa che deve essere liberata, ma quella che ha libertà di autodeterminarsi –

Di lì a poche settimane da questo dialogo, il dibattito pubblico si soffermerà ripetutamente proprio su figure femminili che hanno bisogno di “essere salvate”: le donne afghane e la loro sorte all’alba della riconquista talebana.

In una telefonata con il portavoce dei talebani Suhail Shaheen, la giornalista della BBC Yalda Hakim gli chiede che cosa accadrà alla popolazione; soprattutto, però, gli chiede insistentemente che cosa accadrà alle donne, se sarà imposto nuovamente il divieto di andare a scuola o a lavorare.

Esistono centinaia di scuole per donne – replica lui.

In questi giorni, però non sono state fatte entrare nelle università –

Le donne osserveranno l’hijab e potranno studiare – taglia corto Shaheen.

E il destino delle donne Afghane, comprensibilmente, resta nella mente di tutti noi, purtroppo però spesso con una semplificazione che le rende sempre oggetto e mai soggetto.

–  risponde Chiara – è per questo che ci tengo che le mie, che le nostre azioni, siano sempre il più possibile concrete, radicate nella realtà. Il cambiamento che vogliamo portare deve essere concreto, tangibile. Tu lo sai meglio di me: la medicina è tarata sugli uomini. Questo non è solo sbagliato concettualmente, è semplicemente miope. Perdiamo moltissima conoscenza, e dunque moltissimo valore nelle prospettive parziali. Lo stesso vale per l‘intelligenza artificiale, tanto per fare un altro esempio: uno strumento eccezionale in potenza, ma che diventa un tiranno per l’umanità intera quando lo nutriamo di bias cognitivi –

Trovo molto elegante che si sia andata a informare su chi sono, cosa ho scritto, di cosa mi interesso e che dunque abbia preso proprio questi esempi. Credo che sia un tipo di approccio, il suo, che fa la differenza: a Chiara sembra importare davvero, sembra davvero percorre la via indicato dalle parole.

Eppure a volte sembra difficile capire quali siano le politiche che funzionano. Nei Paesi del Nord Europa, dove tanto è stato fatto per la parità, sussistono ancora delle differenze legate al genere nelle tipologie di lavori che si scelgono, e dunque, per esempio, nella remunerazione –

È vero – risponde lei – per questo è importante creare delle comunità. Possiamo prendere ispirazione dalle donne nel mondo, contestualizzare le migliori pratiche nei Paesi in cui ci troviamo anziché copiarle e incollarle; creare dei meccanismi di mutuo supporto e di buon esempio. Insomma la conoscenza, la cultura, influenzano le policy, le strutture sociali. Le quali poi a loro volta influenzano la cultura in cui viviamo – 

– È l’esempio del congedo parentale egualitario – dico.

Esatto – conferma lei – credo che la tua generazione sia molto più avanti in questo senso, la crescita di un figlio o di una figlia non è più un fardello esclusivo delle donne e questo dipende sia da un cambiamento culturale che da un sistema che va adattandosi a tale cambiamento. Non siamo ancora al traguardo ma stiamo avanzando –

E qual è il cambiamento più urgente per consentire questo avanzamento? – chiedo ancora.

Avere più donne nelle posizioni in cui si ha potere decisionale. – mi risponde lei – Bisogna rivedere un modello sociale ed economico. Questo è lo she-covery che proponiamo. Non occorre ridistribuire fondi alle donne, non siamo marziane, siamo persone. Abbiamo bisogno invece di costruire un sistema che sia pronto a recepire il nostro contributo e che capisca l’arricchimento che ne deriverà per tutti –

– E una roadmap magari – aggiunge poi – una bussola attraverso la quale possiamo rispondere alla domanda: che cosa stiamo facendo per portare questo cambiamento? Come vogliamo la nostra società tra due anni? Tra quattro? –

Mi guardo la pancia ormai grossa perché sono all’ottavo mese di gravidanza. Tra due, quattro anni, sarebbe bello poter presentare una società più equa a questo esserino che ora mi abita i lombi. Di più: sarebbe bello potergli raccontare il mio contributo per questo traguardo. E perché no, ispirarlo nel dare il suo. È una bella prospettiva, mentre il sole del pomeriggio cala nel crepuscolo.