1. Con una decisione del 13 luglio 2021 (pubblicata per motivi tecnici sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea sabato 31 luglio, quando la preoccupazione del “bollino nero” era forse prevalente) si è avviato un importante conto alla rovescia in materia di sperimentazione clinica dei medicinali: ai non addetti ai lavori la cosa dirà forse poco, ma qualche elemento d’interesse più generale (e di preoccupazione per chi coltivi ancora ideali ed obiettivi di integrazione europea) vi si può rinvenire, ed è lo scopo di questo esercizio.

Con la decisione sopra citata, infatti, la Commissione Europea, verificato che il portale europeo e il database comunitario per le sperimentazioni cliniche rispondono ai requisiti fissati dal Regolamento (EU) 536/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio, ha comunicato che a partire dal 31 gennaio 2022 detto Regolamento entrerà definitivamente in applicazione (al netto di un periodo transitorio di qualche anno).

La materia è una “nicchia nella nicchia”, se si vuole, già per quanti si interessino di questioni farmaceutiche nazionali ed internazionali: essa non è priva però di riflessi più ampi sia sul “sistema Italia” di cura e di ricerca, delineato a partire dalla riforma del Servizio Sanitario Nazionale (“SSN”) nel 1978, sia sulle politiche legislative ed amministrative dei prossimi mesi, in un quadro di evoluzione tecnico-scientifica e industriale che va oltre i confini nazionali.

  1. Per descriverla in non poche, ma neppur troppe, parole, la sperimentazione clinica è un “crocevia” importante nel processo che porta all’approvazione (autorizzazione all’immissione in commercio, o AIC) dei medicinali di cui tutti noi, in maggiore o minore misura, usufruiamo per mantenere o ristabilire il nostro stato di salute: un processo articolato che da tempo trova la sua regolamentazione a livello comunitario, attraverso direttive (in particolare la n. 20 del 2001, attuata in Italia con il decreto legislativo 211 del 2003 e destinata ad essere sostituita dal Regolamento 536/2014). Se guardiamo una qualsiasi scatoletta dei nostri medicinali di ogni giorno vi troveremo apposta l’indicazione del titolare dell’AIC ed il relativo numero, attribuito dall’autorità europea (EMA) o da quella nazionale (AIFA).

Lo svolgimento della sperimentazione clinica (i) secondo i criteri della normativa applicabile, (ii) in stretta aderenza con il protocollo di studio (dove tutti i passaggi sono descritti e regolati, con enunciazione degli obiettivi primari e secondari, delle modalità per verificarne il conseguimento, delle popolazioni di pazienti da arruolare e della loro assegnazione, in genere casuale o “randomizzata”, ai bracci sperimentale e “di controllo”) e (iii) mediante l’osservazione attenta di qualsiasi reazione avversa alla terapia sperimentale od altro suo effetto collaterale (attraverso un sistema ed una efficace rete di farmacovigilanza a livello internazionale), è la premessa indispensabile perché i risultati degli studi sperimentali, raccolti ed elaborati secondo criteri statistici e clinici presenti nel protocollo, vengano valutati dall’Autorità Regolatoria comunitaria o nazionale, che chiude il procedimento concedendo o negando l’AIC.

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Non mancano verifiche e controlli, preliminari o in corso d’opera: in particolare, va ricordato che ogni studio sperimentale può svolgersi, secondo un preciso protocollo, solo presso centri specializzati ed autorizzati allo svolgimento di attività sperimentali (in particolare gli Istituti di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico, o IRCCS), deve essere sottoposto preliminarmente ad un Comitato Etico Indipendente, istituito presso i centri o su base territoriale (in Italia ne esiste un centinaio) e particolarmente attento ai profili che riguardano i pazienti coinvolti nell’attività sperimentale; la sperimentazione è regolata da una convenzione fra centro sperimentale e promotore (su cui v. oltre), secondo schemi standard approvati a livello nazionale. Qualora emerga la necessità di apportare modifiche in corso di studio, la procedura va ripetuta, a tutela dei pazienti arruolati ed arruolandi e della coerenza scientifica dell’intero studio.

Sul piano soggettivo, il procedimento ha diversi protagonisti (oltre all’Autorità Regolatoria sopra vista): dai ricercatori che individuano una possibile efficacia terapeutica di una molecola per la cura di determinate patologie, o per il miglioramento degli standard esistenti, agli sperimentatori dei centri, che, nella fase preclinica su animali e nelle diverse fasi cliniche (3 +1) sull’uomo, procedono alla somministrazione controllata del/dei medicinale/i sperimentale/i, alle aziende farmaceutiche (menzionate last, but not least) che secondo criteri imprenditoriali sviluppano al proprio interno, raccolgono e valutano in dialogo con il mondo scientifico ed infine realizzano su scala industriale la produzione del medicinale, confidando che … i ricavi superino i costi (ed assumendo i correlati rischi, ovviamente a fronte di un margine utile atteso).

Il ruolo centrale nella sperimentazione, come intuibile, è quindi quello del promotore, cui spettano, con le correlate responsabilità, il disegno generale dello studio, la redazione e la direzione del protocollo, nonché l’organizzazione delle risorse che consentano la regolare conduzione e, auspicabilmente, il positivo compimento dello studio (sottolineo “auspicabilmente” perché una cosa che purtroppo sfugge molte volte è che per un processo che arriva a termine ce ne sono decine se non centinaia che non superano il vaglio rigoroso imposto dal metodo scientifico a tutti gli step iniziali ed intermedi). Promotore può essere un ricercatore od un’istituzione cui afferiscano uno o più ricercatori, ovvero un’azienda farmaceutica.

  1. Tornando “a bomba”, l’inizio dell’applicazione di un Regolamento comunitario segna un cambio di marcia significativo: non avremo più norme nazionali che, riflettendo (più o meno efficacemente) principi contenuti in una Direttiva regolano, nel proprio ambito nazionale, una determinata attività mantenendone in buona sostanza il controllo in capo alle singole autorità locali. Si passa ad un riferimento normativo univoco (comunitario) e con un’autorità unica (comunitaria) che ne assicura l’attuazione anche “sopra” le autorità nazionali.

Una simile transizione connota anche altri settori vicini a quello che più direttamente ci interessa: alla fine di maggio di quest’anno è entrato in applicazione il Regolamento 745/2017 sui dispositivi medici (ambito merceologico sempre più “appaiato” ai medicinali – vi si spazia dai pacemaker ai cateteri, ai software, a prodotti il cui meccanismo d’azione (semplificando un po’) non è strettamente biochimico, ma a volte è sovrapponibile a quella di un medicinale – ma molto meno regolamentato, in particolare ad es. per quanto attiene ai rapporti con la classe medica ed all’informazione/promozione)

È di immediata evidenza il maggior grado di integrazione europea – cosa che allieta chi, nella vita che comincia ad allungarsi, l’ha vista faticosamente crescere nella quotidianità – in una prospettiva di sempre migliore tutela di un bene essenziale della vita come la salute: ma al tempo stesso la transizione profila un aumento della competitività sul piano internazionale, che attende i sistemi-paese di tutti gli Stati Membri: non si tratta tanto di una dinamica conflittuale, quanto della più efficiente realizzazione di obiettivi comunitari e di un ruolo sempre più attivo dell’Europa nei contesti globali.

Nel procedimento comunitario delineato dal Regolamento il ruolo del promotore è centrale, nel senso che ad esso compete la scelta dello Stato Membro UE in cui localizzare ed iniziare la sperimentazione (il cosiddetto Reference Member State, o “RMS”): altrettanto centrale è quindi il grado di efficienza del sistema-Paese di tale Stato Membro ed è proprio qui che cominciano le dolenti note per quanto ci riguarda. Non si tratta, sia chiaro, di definire l’efficienza solo in termini di rapidità con cui le procedure vengono portate a compimento (alcuni Paesi molto “rapidi” sono anche alquanto superficiali nell’esame dei protocolli), quanto di complessiva affidabilità di tale sistema, oltreché in termini di snellezza burocratica, in termini di correttezza e profondità delle valutazioni espresse, buon senso e concretezza delle decisioni, collaborazione fra i diversi rami dell’amministrazione pubblica preposti alla gestione.

  1. Ogni sperimentazione clinica di un certo rilievo porta un beneficio al SSN, per effetto dell’accollo di spese da parte del promotore, di un ordine di grandezza di alcuni milioni di euro: basti pensare alla fornitura gratuita (prevista per legge) di farmaci spesso costosi che il SSN non deve acquistare per tutta la durata della sperimentazione e per i periodi successivi di follow up dei pazienti trattati (in alcuni casi anche oltre, quando la valutazione clinica richiede una continuità terapeutica ma il prodotto non è ancora disponibile), a tutte le spese per la prestazione di assistenza e servizi, che viene coperta dal promotore anziché dal contribuente. È quindi chiaro che poter essere RMS di un elevato numero di sperimentazioni può essere un obiettivo importante per il nostro SSN, ed un forte incentivo all’efficienza di sistema – al pari di quello che accade in altri Paesi UE, per non parlare di Regno Unito (post-Brexit) o Stati Uniti.

La legge 3/2018, fra le ultime della XVII legislatura, pensata per conseguire tale obiettivo attraverso interventi legislativi che allineassero il sistema italiano all’imminente transizione al regime comunitario, ha previsto una serie di deleghe al Governo per «il riassetto e la riforma della normativa in materia di sperimentazione clinica», secondo criteri analiticamente indicati (art. 1) ed istituito il «Centro di coordinamento nazionale dei comitati etici territoriali per le sperimentazioni cliniche sui medicinali per uso umano e sui dispositivi medici» (art. 2), con «funzioni di coordinamento, di indirizzo e di monitoraggio delle attività di valutazione degli aspetti etici relativi alle sperimentazioni cliniche» in dialogo con le istituzioni preposte (essenzialmente il Ministero della Salute, che ha competenza anche sui dispositivi, l’AIFA e i servizi sanitari delle 20 Regioni, con il supporto tecnico-scientifico dell’Istituto superiore di Sanità e del Consiglio Superiore di Sanità).

A distanza di oltre tre anni – e, quel che è peggio, a meno di sei mesi (agosto compreso) dall’avvio dell’applicazione del Regolamento 536/2014 – la sensazione è che si sia ancora abbastanza in alto mare (e la “imminenza” della transizione si è protratta ben più di quanto ci si sarebbe potuti attendere, come la data del Regolamento lascia intuire). Il già precario equilibrio del SSN si è ulteriormente eroso con l’alternanza negli assetti governativi e nella governance delle istituzioni, che ha caratterizzato gli ultimi tre anni; la pandemia provocata dal virus SARS-CoV-2 ha ulteriormente rallentato il già faticoso funzionamento delle strutture – pur confermandosi nell’insieme la bontà dell’impianto istituzionale, la sua capacità  pro-attiva nei rapporti con gli altri sistemi e con l’istituzione europea (centrali nel definire le misure d’emergenza senza venir meno alle regole ed ai principi fondamentali della sperimentazione clinica ed al rigore scientifico dei protocolli, in particolare quelli dei medicinali e vaccini contro il Covid-19).

L’unico provvedimento attuativo sinora emanato (su cui peraltro le Commissioni parlamentari non sono di fatto intervenute ed il cui impianto si basa su una “novella” di disposizioni esistenti) ha risposto in modo parziale ed insoddisfacente, salvo aggiungere “innovazioni” di tipo pégio tacòn che sbrègo (come nel caso dei conflitti d’interessi, su cui v. oltre) che hanno richiesto tempo e sforzi in una situazione divenuta emergenziale. Ora sono in fase di definizione alcuni decreti ministeriali (ulteriormente) attuativi, ma alcune criticità rimangono a tutt’oggi insolute.

  1. La normativa italiana in materia di sperimentazione clinica ha ancora, certamente, diversi aspetti che la distinguono da quelle degli altri Paesi UE (senza pretese di esaustività proviamo ad indicarne alcuni qui di seguito), ma ciò non deve distogliere dall’obiettivo primario di introdurre norme coraggiose ed innovative di riassetto e riforma della materia:
  2. la dialettica fra autorità regolatoria e promotore industriale o commerciale non esaurisce il novero dei protagonisti, ed esigenze / diritti / interessi di altri stakeholder devono inserirsi nel modo più armonico possibile nel rinnovando quadro normativo. Finora ci si è mossi in una dialettica che vede(va) sostanzialmente contrapporsi da un lato l’industria, orientata come è logico (e corretto, sia chiaro) secondo criteri, anche di derivazione internazionale, di efficienza produttiva e di minimizzazione dei rischi correlati alla fabbricazione e commercio dei medicinali su vasta scala (tra cui l’esigenza di efficaci disclaimer di responsabilità per conseguenze, mai escludibili, delle attività innovative sperimentali) e dall’altro lato l’amministrazione pubblica, in funzione essenzialmente “contenitiva” e di rimessa, mediante schemi tendenzialmente rigidi e per ciò stesso esposti al rischio di obsolescenza e di scarsa efficacia rispetto a quanto sarebbe auspicabile attendersi da un’interlocuzione “paritaria” fra pubblico e privato;
  3. nella stessa parte pubblica permangono separazioni e non-coincidenze di approccio all’interno dell‘amministrazione, che rendono sempre più aleatori e risicati i benefici che il SSN dovrebbe trarre, in modo legittimo e trasparente, dall’attività di sperimentazione clinica. Il fatto che (a differenza di altri Paesi UE) l’AIFA non abbia competenza sui dispositivi medici, ad es., toglie unitarietà all’azione pubblica ed incisività nel dialogo con le controparti industriali. Hanno poi (finora) scarso rilievo la tutela dei pazienti (che finiscono per essere oggetto, anziché soggetti pro-attivi e compliant, della sperimentazione, in una posizione subordinata ad esigenze di disclaimer che si evidenziano ad es. nella formulazione troppo spesso ridondante ed incomprensibile, non sempre protettiva, del c.d. “consenso informato” – eufemismo nella seconda parte), così come il ruolo della classe medica ed accademica, la cui indipendenza ed autonomia, in situazioni conflittuali e meno trasparenti, sono messe a dura prova: per non parlare dei ruoli di altri soggetti intermedi, potenzialmente preziosi ma non sempre ottimali per l’efficienza dei processi (le Contract Research Organizations, o CRO, troppo spesso “uffici di complicazione per affari semplici”), fondamentali pur se esposti ai rischi propri delle attività di lobbying (le associazioni dei pazienti) o presenti in una funzione burocratica che ne mortifica l’indipendenza (i Comitati etici ed il loro Centro di Coordinamento);
  4. non aiuta sotto questo profilo la natura universale e pubblica del nostro SSN, che ha indirettamente determinato (fra l’altro) una contrapposizione non sussistente in altri ordinamenti fra sperimentazione profit e “no profit” (in buon inglese si dovrebbe dire non-profit o not for profit), tradotti con “a fini industriali o commerciali”, ovvero no, dando rilievo (eccessivo) alla finalità di lucro o meno dell’attività sperimentale rispetto alla validità intrinseca dei suoi risultati, vietando o comunque demonizzando chissà poi perché la cessione di questi ultimi, se frutto di ricerca indipendente, alle parti industriali per la trasformazione industriale che è nella logica delle cose. La Legge 3/2018 ha risolto l’annoso dilemma prevedendo la cedibilità di dati e risultati contro il rimborso delle spese dirette ed indirette del SSN ed un’equa remunerazione della ricerca indipendente, anche sotto forma di compartecipazione nel tempo agli utili della commercializzazione dei medicinali: un uovo di Colombo, tutto ancora da vedere in fase di attuazione (che consenta a tutte le parti di raggiungere soluzioni economiche sostenibili e benefiche soprattutto per il finanziamento di altra ricerca indipendente);
  5. si è accennato sopra alle problematiche legate al conflitto d’interessi (ennesima “delenda Carthago”, non solo in questo ambito): in una sciagurata formulazione iniziale, il d. lgs. 52/2019 (art. 6 comma 4) sostanzialmente prevedeva che non potesse svolgere attività di ricerca sperimentale lo scienziato che avesse rapporti con le aziende farmaceutiche, di cui doveva dichiararsi in prevenzione, “consapevole delle sanzioni penali previste” eccetera eccetera, l’assenza. La legge di conversione del “Decreto Rilancio” ha provvidamente capovolto l’impostazione, introducendo l’obbligo per lo sperimentatore di dichiarare la sussistenza di siffatti rapporti «in qualunque fase dello studio venga[no] a costituirsi» ed  indicando che «(i)l Comitato Etico valuta tale dichiarazione, ….., a tutela dell’indipendenza e dell’imparzialità della sperimentazione clinica, anche in momenti successivi all’inizio dello studio qualora intervengano nuovi conflitti di interessi»: una sussistenza eventuale, anzi probabile, relativa, e da far emergere any time anche in corso d’opera; non più un’assenza eventuale, anzi improbabile, comunque assoluta ed “istantanea”, da dichiararsi ex ante con … buona pace del seguito. Senonché il provvedimento che dovrebbe dettare i criteri per l’effettuazione di tale valutazione da parte dei Comitati Etici, benché previsto con scadenza 30 ottobre 2019, non ha ad oggi visto la luce (neanche è stato, come pure previsto dal decreto, «sentito il Centro di coordinamento nazionale dei comitati etici per le sperimentazioni cliniche sui medicinali per uso umano e sui dispositivi medici»).

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Il lavoro che attende tutti gli stakeholder della sperimentazione clinica – di cui queste note vorrebbero aver dato una minima “infarinatura”, con il massimo di acribia consentito all’estensore, per lettori/trici che non vi siano professionalmente coinvolti – è certamente intenso e “costretto” dal poco tempo a disposizione.

La posta in gioco è alta: molte cose vanno cambiate prima del 31 gennaio 2022 nella nostra legislazione primaria e secondaria (un esercizio rapido, non entusiasmante, su un foglio Excel indica in circa 20-25 i provvedimenti da emanare a diversi livelli), pena il vederci, come sistema-Paese, fermi e desolati sul binario, mentre il treno (europeo), si allontana perché privi dei bagagli essenziali o con bagagli troppo pesanti per salire a bordo (nel senso di esservi ammessi con … regolare biglietto, da co-protagonisti e non da inseguitori di una transizione scientifica e normativa forse epocale).

C’è da sperare che si (ri)trovino unità d’intenti e volontà condivisa di armonizzare i contributi di ciascuno, senza pretese di predominio o “intestazione” di questa o quella riforma, avendo come “endpoint primario” la miglior tutela possibile della salute pubblica, in un contesto di continua, incoraggiante evoluzione della scienza e con tutto il rigore che il metodo di essa postula.