Il nostro Paese è in fase di denatalità da molti anni. Non molto è stato fatto negli ultimi lustri per invertire questo trend, è ora urgente e strategico pensare alle misure più idonee per favorire al più presto un’Italia per i giovani.

Evoluzione Storica

Nei primi anni del Novecento, in Italia, a fronte di una popolazione di circa 33 milioni di residenti, il saldo naturale (“sostituzione naturale” calcolata come differenza fra nati e morti nell’anno) era di circa 300.000 nuovi cittadini per anno. La popolazione però cresceva lentamente, poiché nei primi due decenni fu notevole l’impatto dell’emigrazione causata dalle condizioni di povertà; all’inizio il fenomeno interessò soprattutto il Nord (Piemonte, Veneto e Friuli), poi sempre più massicciamente le regioni meridionali (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia). Si valuta che quasi nove milioni (circa un quarto sul totale dei residenti) italiani si trasferirono soprattutto in America, in alcuni altri paesi europei e nella Oceania.

Una drammatica perdita di circa 800.000 connazionali si verificò nel 1917 e ’18 a causa della I Grande Guerra e della epidemia di “Spagnola” (che nel ’18 contribuì a circa la metà dei più di 1,3 milioni di decessi registrati). La popolazione iniziò a crescere dal 1919, con un boom di nascite e negli anni successivi, anche perché il governo dell’epoca ostacolò l’emigrazione offrendo opportunità tramite il trasferimento nelle accresciute colonie (Libia, Eritrea, Etiopia e Somalia) ed assicurando incentivi per le famiglie numerose; così si raggiunsero i circa 45 milioni nel 1945 (nonostante le perdite causate dalla II Grande Guerra).

 

Fig. 1 Numero di figli per donna. Elaborazione di dati ISTAT dal 1946 al 2012, riportato su Wikipedia

 

A partire dal 1946 l’aumento demografico iniziò a crescere grazie ad un accresciuta natalità, soprattutto nei tre anni dopo la guerra, che ebbe il suo picco nel 1964 con 1.016.120 nati (il famoso “baby boom”). Dopo il 1976 il Paese scese sotto la linea di rimpiazzo della popolazione, negli anni Ottanta si entrò nella fase di crescita zero, con aumenti del saldo naturale contenuti in poche migliaia di persone per anno e nel 1993 si registrò il primo saldo naturale negativo, dopo il 1918. Nel 1995 si registrò il valore minimo di 1,19 figli per donne, dato molto inferiore al valore teorico di 2,1 figli per donna che consentirebbe di garantire un numero di popolazione costante. Negli anni a noi più vicini (Fig.1) questo valore è in parte risalito (fino a 1,4), ma resta comunque inferiore al valore teorico soglia.

 

Il 2020 annus horribilis

Già nel periodo dal 2014 al 2019 l’Italia ha perso 705mila residenti a causa del deficit di nascite; nel 2020, a causa della pandemia del Covid-19, si sono registrati solo 404 mila nati, il valore più basso nell’ultimo ventennio (Fig. 2), e la previsione per il 2021 è di avere un numero di nati ancora inferiore (circa 380 mila). Una delle cause di questo fenomeno è senz’altro anche il calo dei matrimoni, che nel 2020 si sono dimezzati (nel 2018 sono stati più di 184 mila, nel 2020 meno di 97 mila).

Fig. 2 Numero di nati per anno fra il 2001 ed il 2021. Elaborazione su dati ISTAT.

 

Gli effetti non tarderanno a presentarsi. «Ci sono 5.620 comuni che hanno perso popolazione, su circa 7.500 comuni italiani, ovvero più della metà – ha sottolineato il presidente dell’ISTAT nel corso degli “Stati Generali della Natalità” tenutosi nel maggio di quest’anno – e meno popolazione vuol dire meno consumi e meno Pil, vuol dire spopolamento. In 4.572 comuni, più della metà, ci sono più bisnonni che pronipoti».

Nel 2020, accanto al nuovo minimo storico di nascite dall’unità d’Italia, si è riscontrato un massimo storico di decessi. Il calo del 3,8% delle nascite, quasi 16 mila in meno rispetto al 2019, è stato purtroppo accompagnato dall’aumento del 17,6% dei decessi, quasi 112 mila in più rispetto al 2019. Infatti, nel 2020 sono state cancellate dall’anagrafe per decesso 746.146 persone, secondo il rapporto ISTAT del 2021. Al 31 dicembre 2020, la popolazione residente in Italia ammontava a 59.257.566 unità, 383.922 in meno rispetto all’inizio dell’anno (-0,6%). In Fig. 3 si riporta l’andamento negli ultimi venti anni del numero di residenti.

Fig. 3 Numero di residenti per anno fra il 2001 ed il 2021. Elaborazione su dati ISTAT.

 

Mai, dal secondo dopoguerra, si era sperimentata una situazione così grave di contemporanei diminuzione delle nascite (404 mila) ed elevato numero di decessi (746 mila); il deficit del saldo naturale è stato, nel 2020, pari a 342 mila unità, comparabile solo con il deficit dell’infausto anno 1918 che raggiunse le 648 mila unità in meno rispetto all’anno precedente a causa soprattutto della “Spagnola”.

 

Migrazioni

Il nostro paese ha subito nel secolo scorso due periodi in cui si sviluppò una significativa migrazione. Il primo avvenne, come già accennato, per la grande povertà di molte regioni del Paese nel primo ventennio del Novecento, soprattutto verso gli stati americani; il secondo (migrazione europea) si verificò nei vent’anni dopo la II Grande Guerra e fu indirizzato soprattutto verso altri paesi europei, terminando grazie al notevole sviluppo dell’Italia negli anni Sessanta, durante i quali non pochi furono i rientri in patria.

Dal 1861 al 1985 si è calcolato che il numero del totale dei concittadini partiti arrivasse a 29 milioni; di loro un terzo circa (poco più di 10 milioni) è tornato in Italia, mentre i restanti 19 milioni sono rimasti nei paesi che li hanno accolti. I discendenti dei nostri espatriati, che sono chiamati “oriundi italiani“, possono essere in possesso, oltre che della cittadinanza del Paese di nascita, anche della cittadinanza italiana dopo averne fatto richiesta, ma sono pochi coloro che hanno richiesto il nostro passaporto. Dalla stima dell’ISTAT gli oriundi italiani ammontano nel mondo a un numero compreso tra i 60 e gli 80 milioni; sono dunque più degli italiani in patria.

In questo nuovo secolo stiamo assistendo ad una terza ondata di emigrazione, definita come “Nuova Emigrazione”, causata da difficoltà occupazionali particolarmente aumentate durante la crisi economica iniziata nel 2007 che ha portato ad un periodo di recessione. Questo fenomeno riguarda soprattutto i giovani, in gran parte laureati o diplomati, che non trovano opportunità di lavoro per loro adatte e vengono attratti da paesi in grado di ben remunerarli, non a caso si è parlato di “fuga dei cervelli”; un fenomeno particolarmente grave per il nostro Paese. Le cause sono ben note: da una parte l’Italia era nel 2018 al penultimo posto (peggiore solo la Romania) fra i paesi EU28 per la percentuale (27,8%) dei giovani (fra 30 e 34 anni) che avevano completato il ciclo di educazione terziaria; al contempo il tasso di disoccupazione è quasi raddoppiato negli ultimi 10 anni per i laureati, arrivando a circa il 20% e si riscontra anche negli ultimi anni un trend negativo nelle iscrizioni alle università. I dati sono impressionanti: l’ISTAT sottolinea che vi è stato un forte aumento tra 2013 e 2017 del numero di emigrati diplomati (32,9%) e laureati (41,8%); nel solo 2017 più della metà dei cittadini italiani che si trasferirono all’estero (52,6%) era in possesso di un titolo di studio medio -alto: si tratta di circa 33 mila diplomati e 28 mila laureati, molti attivi nei settori più tecnologicamente avanzati. Considerando che il costo medio per formare un laureato in Italia è pari a 164 mila euro e a 228 mila euro per un dottore di ricerca, è come se regalassimo all’estero decine di migliaia Lamborghini o Ferrari ogni anno senza contropartite!

Secondo l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), il numero di cittadini italiani che risiedono fuori dall’Italia è passato dai 3.106.251 del 2006 ai 4.973.942 del 2017, con un incremento pari al 60,1% con età mediana di circa 30 anni. Nel 2020 sono stati raggiunti un totale di 5,5 milioni di espatriati negli ultimi quindici anni Si tratta di una collettività che, nella sua generalità rispetto al 2006, si sta ringiovanendo a seguito delle nascite all’estero (+150,1%) e della nuova mobilità costituita sia da nuclei familiari con minori al seguito (+84,3% della classe di età 0-18 anni) sia da protagonisti giovani e giovani-adulti immediatamente e pienamente da inserire nel mercato del lavoro (+78,4% di aumento rispetto al 2006 nella classe 19-40 anni).

L’immigrazione in Italia è un fenomeno che non è esistito nel Novecento, se non per le contenute migrazioni dovute alla Seconda Guerra Mondiale che videro l’esodo istriano ed il rientro degli italiani dalle colonie e quella del’69 dalla Libia dopo il colpo di stato. Solo negli anni Ottanta iniziò una immigrazione di irregolari, nel 1986 fu varata la prima legge per garantire i diritti ai lavoratori extracomunitari. Nel 1991 si verificò il primo fenomeno di migrazione di massa dall’Albania, poi iniziò il fenomeno dell’immigrazione da parte dei paesi dell’Est Europa diventati comunitari e dalle coste africane. Se nel 1981 il censimento ISTAT calcolava 321 mila stranieri In Italia, nel 1991 si arrivò ai 625 mila, nel 1996 ai 924 mila fino ai valori recenti pari a più di 5 milioni nel 2019, pari all’8,5% della popolazione residente. L’incremento nel corso degli anni è stato dovuto sia all’aumento annuo del numero di nuovi immigrati, sia al saldo naturale positivo fra nati e morti per quelli già residenti in Italia.