Altro che nella scuola: è in famiglia che comincia l’educazione a un diverso modo di concepire il rapporto tra uomo e donna.

I calciatori sono scesi in campo con un segno rosso sul viso; i tg hanno dato ampio risalto alle cose tremende che stanno facendo molti maschi alle femmine in Italia; soprattutto, gli immancabili opinionisti hanno svolto, eccellentemente come al solito, il loro lavoro da Indignati Speciali. Dunque, possiamo affermare con soddisfazione che anche questa è fatta. Se ne riparlerà il prossimo anno: stesso giorno, stessi canali e naturalmente stesso sdegno. Intanto, i nostri tuttologi (infaticabili, davvero, se pensiamo che si erano appena sorbettati quella contro l’omofobia e quella della Memoria) si preparano alla prossima “Giornata” dedicata al derelitto di turno. A proposito delle quali Giornate, nessuno che abbia mai proposto una Giornata degli Agnelli, quelli con la A maiuscola, dei banchieri o dei petrolieri: tutte categorie che, nonostante ciò, seguitano a prosperare alla grande. Niente niente ‘ste Giornate non servissero a nulla?

Per rimanere al tema della violenza, non è serio pensare che bastino quattro, ancor che frementi chiacchiere una volta l’anno per mettere un freno a questa strage degli innocenti in versione femminile. Occorre, invece, un cambio di paradigma immediato e soprattutto continuo nel tempo, in grado di funzionare come un anticalcare per incrostazioni sedimentatesi nei secoli.

Durante le recenti “celebrazioni” più di uno ha messo in relazione il modello della società patriarcale e la violenza sulle donne. Un nesso talmente facile e intuitivo, così ben scodellato dalla logica, che figuriamoci se non ci si sono buttati tutti a pesce. Solo che… Guardiamoci intorno: dove starebbe oggi questa famiglia patriarcale? Anche in qualche sperduto maso si faticherebbe a rintracciarne una. Se vogliamo capire quale sia davvero l’ambito culturale in cui si formano questi maschi violenti e assassini bisogna uscire dai luoghi comuni.

Chi sono? Come sono cresciuti? E soprattutto: chi li ha fatti crescere così? Molti degli opinionisti a gettone che si sono espressi in questi giorni, hanno elegantemente eluso le moleste domande, fornendo direttamente la risposta: basta che dentro le aule scolastiche si spieghi ai maschi che le femmine vanno rispettate e alle femmine che non devono accettare atteggiamenti prevaricatori da parte dei maschi e tutto sarà risolto. Come dire, la celebrazione del festival dell’ovvio. Certo che a scuola debbano passare messaggi del genere, ci mancherebbe altro. Però, quando si tratta di dare input educativi di tale portata e spessore, sarebbe più logico (e soprattutto più produttivo) chiamare in causa chi dovrebbe provvedere prima e meglio di qualsiasi altra istituzione alla formazione dei ragazzi: cioè, la famiglia. Famiglia che, per altro, da noi seguita a contare più che in ogni altro paese.

Dove, se non nel tinello di casa propria, riceve l’imprinting decisivo un/a ragazzo/a? E dunque, anche se non ci piace ammetterlo, facciamocene una ragione: la prevaricazione e la conseguente violenza ha le sue radici profonde quanto nascoste nel diverso modo di educare e far crescere i maschi e le femmine ancora radicato nelle famiglie italiane. È qui che nasce lo squilibrio, che giorno dopo giorno viene instillato nei figli un sottile “veleno” fatto di piccoli gesti, di abitudini, di comportamenti.

Prendiamo una famiglia tipo. È “normale” che sia la mamma, pur lavorando, a fare la spesa e i bucati, a tenere pulito o a mantenere i rapporti con la collaboratrice domestica. Con papà che, se dà una mano, allora è un bravo marito coscienzioso (con mai nessuno che osservi: Ma se lavorano tutti e due lui, non dando una mano ma svolgendo il 50% dei compiti, non farebbe appena il proprio dovere?).

È altrettanto “normale” che venga chiesto alle figlie di aiutare ad apparecchiare o sparecchiare, fare la spesa o una lavatrice, rifare i letti o buttare l’immondizia. Mentre è assai più difficile che le stesse cose vengano pretese dai figli maschi. Ovviamente, solo un cretino potrebbe pensare che questi sfaccendati principini, una volta adulti si trasformeranno in tanti uomini che odiano le donne. Anche perché fortunatamente di fatto così non è. Però, allo stesso tempo, come si fa a non vedere il nesso tra il ruolo subordinato delle donne nella famiglia e l’idea del rapporto di coppia che maturano questi giovani maschi (e purtroppo anche le femmine) in età adulta? Occorre cominciare a cambiare la mentalità e dunque quanto ancora accade fra le mura domestiche, se vogliamo farla finita con l’immagine che ancora tanti, troppi uomini si fanno delle donne.

È evidente che ci vorrà comunque tempo. Nel frattempo, che facciamo per porre rimedio alla carneficina in atto? Beh, tanto per cominciare si potrebbero proteggere con maggior efficacia le vittime. Probabilmente è quello che si chiedono tutte le persone provviste di un po’ di buonsenso: sarà poi così difficile mettere in condizione di non nuocere stalker e picchiatori? È tanto complicato provvedersi in tempi rapidi degli strumenti legislativi per rifilare 5 o 10 anni di galera a questi delinquenti fin dalle prime molestie? O magari obbligarli a trasferirsi (loro, Cristo santo, non le vittime) a 500, 600 km di distanza, magari provvedendoli di un bracciale elettronico per controllarli? È un sogno di mezza estate o un vaticinio da antipolitico immaginare qualcuno di quei parlamentari che ci hanno sfinito con i loro bla bla bla nella Giornata della donna, rompere le scatole al proprio partito perché mantenga costantemente in agenda questo tema o mettersi lui stesso subito all’opera per preparare un disegno di legge?