Si ricordano, in questi giorni, i trenta anni del fenomeno definito, con enfasi giornalistica, “Mani pulite”.   Quello fu il momento di totale disequilibrio della tripartizione dei poteri, teorizzato da Montesquieu, in quel momento e da quel momento, si è dato vita ad una serie di straripamenti caratterizzati da invasioni di ogni potere in campo altrui. La magistratura mettendosi alla testa di un movimento di “purificazione” seguito (in modo anche discutibile) dalla gente (come il lancio delle monetine all’hotel Raphael) che sperava nella rivoluzione dei codici.

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Il Parlamento, con una serie di leggi non più generali ed astratte, ma ad personam, che inseguiva taluni eccessi dei pubblici ministeri, con altrettanti eccessi normativi. L’Esecutivo che, divenuto autonomo da ogni controllo, ha iniziato a legiferare, sulla base di decreti legge, che, persa la loro caratteristica dell’urgenza, avevano il solo fine di eliminare ogni controllo del Parlamento. Bisogna ricordare che è di quel periodo il monito del presidente, dell’epoca, della Corte Costituzionale Ferri, ad evitare il troppo frequente ed immotivato ricorso a quel tipo di normazione che, se è privo del requisito dell’urgenza, integra un ulteriore abuso di potere.

Oggi a distanza di trenta anni, lo stato delle cose non è affatto mutato, ma dalla analisi della presente situazione possiamo rilevare che se cambiamenti vi sono stati essi si sono verificati in peggio.

L’Esecutivo ha dovuto cercare il suo vertice, per l’intera attuale legislatura, fuori dal Parlamento ed attualmente è retto da una coalizione della quale è più facile contare le contrapposizioni, che segnalare i momenti di sintesi. Inoltre, non ha perso il vizio dell’eccessivo ricorso alla decretazione d’urgenza, come ha rilevato il capo dello Stato nel recente discorso di insediamento.

Il Parlamento ha visto uno scadimento della sua composizione in maniera preoccupante e la volatilità del voto ci fa oggi trovare di fronte ad un Parlamento che non rappresenta più il Paese è che si è caratterizzato per le migrazioni dei parlamentari, come mai era avvenuto nelle precedenti legislature. Anche nell’elezione del Capo dello Stato le Camere non hanno saputo far nulla di meglio che costringere il Presidente Mattarella a “subire” un nuovo mandato, dopo aver bruciato autorevoli candidature sull’altare di contrapposizioni spesso interne alle coalizioni di partiti alleati o interne agli stessi partiti.

Ma, la crisi maggiore la sta attraversando la Magistratura e non è crisi di crescita, ma si tratta di un corto circuito nel quale la terzietà del giudice (valore costituzionalmente garantito) è stata persa di vista a detrimento della credibilità di questo potere.

I magistrati si sono dedicati a lotte di potere, dividendosi in correnti, e perdendo di vista il loro compito (quasi una missione) di rendere giustizia nell’interesse supremo dei cittadini, nel nome dei quali è amministrata (art. 101 Cost.).

Dal conflitto tra poteri, scatenato da Tangentopoli, si è passati ad un estesa conflittualità interna ai poteri che certamente non fa crescere lo Stato, ma che, soprattutto, allontana i cittadini dalle istituzioni. In questo stato di cose la domanda da farsi non è tanto perché la metà degli elettori non vota, ma come mai l’altra metà continua a farlo?

Vi sono rimedi per frenare questa deriva, resa ancora più grave e preoccupante dalla pandemia? Certamente sì, ma essi presuppongono una profonda e radicale mutazione genetica in ognuno dei singoli poteri.

I – Il Potere legislativo deve, da una parte, crescere di livello ed i partiti politici, che lo rappresentano, debbono cessare di essere autoreferenziali ed aprirsi alla società, riprendendo il loro ruolo di rappresentanza. Una modifica in senso maggioritario con una rappresentanza territoriale diretta può riportare gli eletti tra la gente e, ad un tempo, garantire la governabilità per legislatura, costringendo i partiti a vagliare candidature di livello e rappresentative per il territorio (quello era lo spirito referendario dei primi anni novanta).

II – L’Esecutivo chiamato a misurarsi con una rilettura della macchina amministrativa che dovrà giovarsi della informazione per la semplificazione dei procedimenti, da rendere funzionali e di facile lettura ed accesso per i cittadini.

III – La Magistratura dovrà tornare al ruolo che il nome stesso le assegna quello di stare nello strato più elevato e terzo della società, senza mischiarsi con essa, risolvendo, in base alla terzietà voluta dalla Costituzione (art. 25), le liti in tempi ragionevolmente brevi ed utili per dar vita a processi giusti e dovuti (art. 111 Cost.).

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Inoltre è necessaria una profonda riforma del sistema elettivo del Consiglio Superiore della Magistratura (elezione e non sorteggio, che non è contemplato dall’art. 104 della Carta costituzionale) che possa debellare il correntismo esasperato riportando i giudizi a funzionare da presidio alla tutela dei cittadini restituendo alla giustizia il suo ruolo di ripristino dell’ordine leso e la garanzia, attraverso la sanzione, del ritorno alla legalità. Nella speranza che l’analisi, ingenerata dai trenta anni di mani pulite, non sia solo l’occasione per verificare il sostanziale peggioramento della situazione, ma dia vita ad ampi e convinti segnali di ripresa.

Tuttavia, per iniziare la stagione delle riforme, che l’Europa ci chiede e che costituiscono condizione imprescindibile per ottenere i fondi del P.N.R.R., è necessario che i partiti perdano il vizio di lucrare rendite di posizione sulle riforme, che, invece, vanno fatte con il solo fine di garantire ai cittadini una migliore amministrazione, in grado di farli sentire clienti della cosa pubblica e non succubi di una incomprensibile burocrazia.

Allora, non sarà, forse, il caso di pensare di dar vita ad una nuova Assemblea costituente (terza e tecnica) per porre mano a queste riforme?

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