Il giornalista dovrebbe essere il cane da guardia del potere. Come è ripetuto costantemente nei film di denuncia americani su quello che una volta si configurava come una alternativa critica all’esistente. Appunto “il quarto potere”.

Questa funzione di contrasto è mal digerita dalla politica. E la richiesta di rimborsi milionari (con la lira si sarebbe detto miliardari) sono la spada di Damocle che pende su un qualunque giornalista. Un’intimidazione costante che non fa vivere tranquilli. La scorciatoia è la querela con richiesta di risarcimento in sede civile, in genere sviluppata in parallelo con la richiesta di condanna penale.

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La giurisprudenza italiana non ha alcun riguardo per il giornalista. E la proposta di legge di Primo Di Nicola, non a caso giornalista oltre che senatore del Movimento Cinque Stelle, è arenata nell’ordinaria amministrazione. Eppure è un deterrente che contribuirebbe a far uscire la stampa dalle sabbie del ricatto. Evitando che la legislazione italiana per caratteristica punitiva possa essere accomunata a quella turca, ovvero lesiva dell’indipendenza del “famoso quanto indispensabile cane da guardia”. Senza entrare nel merito dei singoli procedimenti ovviamente ci vuol un bel pelo sullo stomaco, con l’attuale normativa, per vivere come Marco Travaglio o su opposta sponda, come Alessandro Sallusti.

Il carico pendente delle condanne penali se superiore ai due anni potrebbe costringere i citati giornalisti alla detenzione. E in effetti Sallusti c’è andato vicino, ricevendo la solidarietà bipartisan dei colleghi. Ma parliamo di giornalisti affermati che hanno alle spalle importanti gruppi editoriali. Ma il pubblicista di provincia, il singolo free lance, il coraggioso blogger che fa nomi e cognomi di mafiosi o ‘ndranghetisti, assolvendo una importante funzione di critica sociale, da chi viene difeso?

Le querele temerarie sono quelle che hanno un effetto repressivo perché reprimono lo sviluppo delle inchieste, paralizzano l’attività giornalistica. Temerarie perché appoggiate sul nulla, su una richiesta di indennizzo che è omogenea alla fantasia e alla spregiudicatezza dell’avvocato a cui ci si rivolge. Richieste economiche non perequate al danno. Perché se c’è un Saviano letto da centinaia di migliaia di italiani, ci sono poco conosciuti ma coraggiosi giornalisti che vengono compulsati da pochi lettori.

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Ma non è solo la politica che si alimenta di queste dissennate strategie. Pensiamo ai poteri forti. All’Eni, alla magistratura, a un spesso malinteso ricorso alla salvaguardia di un ipotetico prestigio. Così può capitare di essere condannati per un busillis. Aver definito pregiudicato un malvivente che era stato condannato in primo grado e poi assolto in secondo. Un errore in buonafede sanzionato con sei mesi di detenzione e assoggettando il giornalista al pagamento di una provvisionale di 10.000 euro. Sentenza poco profetica perché poi il suddetto cittadino borderline ha continuato a perseguire attività poco commendevoli finendo coinvolto in nuove inchieste, sequestri, interrogatori.  Ci si lamenta della “cattiva giustizia” in Italia ma la difesa del libero autonomo pensiero giornalistico dovrebbe essere uno dei primi capisaldi di una democrazia reale e non fittizia.