Abbiamo passato mesi, leggendo il quotidiano al mattino o guardando il telegiornale, col terrore che, a poche migliaia di chilometri da noi, una bomba impazzita o voluta, centrasse una centrale atomica o di produzione di materiali bellici, diciamo non convenzionali. Son passati quasi cinquanta anni, un sabato qualunque di luglio del 1976, il 10 luglio, quasi ora di pranzo, quando alle 12.37 a Meda, allora provincia di Milano …Immaginiamo una famiglia lombarda, intorno al tavolo, che sente in TV una notizia sconvolgente, che quasi non capisce: pensando di ascoltare le ultime notizie legate al terrorismo, cosa quotidiana e altrettanto orribile in quegli anni, sente dire che la valvola di sicurezza di un reattore della fabbrica Icmesa, a Meda, è esplosa provocando la fuoriuscita di una nube tossica contenente una miscela di circa 3.000 chili di inquinanti, fra cui la diossina, un gas altamente tossico per la salute umana e per l’ambiente. Mi immagino tante persone avranno alzato gli occhi al cielo o si saranno affacciati alla finestra, sicuramente non capendo la portata di quanto accaduto.

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Una delle più grandi tragedie chimiche comincia in una fabbrica di profumi e disinfettanti, sembra uno scherzo, ma in piena Brianza c’era una fabbrica, dove in un reattore si produceva il triclorofenolo (Tcf), materia base per la produzione di cosmetici, disinfettanti ospedalieri, ma anche diserbanti. La temperatura di esercizio andava mantenuta sotto i 156 gradi, ma a temperature superiori comincia la formazione di diossina (Tcdd), un potentissimo veleno. Quel 10 luglio, invece, nel reattore, la temperatura sale all’improvviso superando i 300 gradi. La valvola di sicurezza si ruppe e ne fuoriuscì una nube di vapori che il vento trasportò per qualche chilometro in direzione sud-est, quindi la più vicina Seveso e anche sopra le città di Meda, Desio e Cesano Maderno. Vapori praticamente identici all’Agente Arancio utilizzato dagli USA in Vietnam si depositarono ovunque. Seveso diventò da subito il centro dell’emergenza e simbolo della tragedia, che poi assumerà le sembianze di una farsa. La proprietà della ditta, il gruppo farmaceutico svizzero Givaudan-La Roche, minimizzò il fatto, per quasi una settimana le comunicazioni ufficiali non si espressero sul tipo di sostanze contenute dalla nube. Negli stessi giorni gli abitanti ebbero paura: nei giardini e negli orti le foglie delle piante si avvizzirono e presentavano buchi, la corteccia degli alberi si staccò dal tronco, l’erba nei campi diventò gialla e iniziarono a morire animali da cortile. Quattro giorni più tardi si registrano i primi casi di ustioni sulla pelle di bambini e adulti, dieci giorni dopo diciotto persone erano state ricoverate in ospedale. Le notizie erano frammentarie e si continuava a perdere tempo. Il sindaco di Seveso vietò di mangiare ortaggi e animali da cortile e specificò di lavare accuratamente le mani. Quindici giorni dopo l’incidente venne ordinata l’evacuazione della zona, perché anche gli edifici, le strade, tutto risultava contaminato. Tardi, troppo tardi….

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I risultati della contaminazione furono da subito evidenti e devastanti, ma per una settimana tutto tacque. La stampa e le autorità non davano risposte né tipologie di intervento. Solo dopo una settimana si cominciò a comunicare che c’erano bimbi enfiati per una nube di gas. Con estremo ritardo le istituzioni intervennero per delimitare tre zone in base al tasso di contaminazione. Negli anni vedemmo foto con i bambini dal viso rovinato, tecnici con tute bianche che controllavano il terreno e interi palazzi e casette abbandonate e strade deserte. A ottobre, sull’onda delle notizie che si susseguivano e nella disperazione più totale, Antonello Venditti, cantautore romano del 1949, che nello stesso periodo di Luglio, stava registrando un LP, uscito a fine 1976 col titolo di “Ullàlla”, proprio a pochi chilometri, in uno studio ad Anzano del Parco (Como), prese la chitarra e con sdegno misto a rabbia cantò:

Era il dieci luglio di una terra senza colpa
bambini nei giardini giocavano nel sole
e l’aria era di casa, di sugo e di fatica
e vecchi nella piazza parlavano d’amore

L’immagine di famiglie tranquille in un piccolo paese, di serenità e delle piccole cose che riempiono la giornata, ma, sempre con più rabbia e indignazione:

e donne al davanzale lanciavano parole
sepolte ormai nel ventre di madri perdute,
perdute dal cielo proprio sopra di noi
che restiamo a guardare morire le radici,
i preti perdonare proprio sopra di voi,
che vivete tranquilli nella vostra coscienza di uomini giusti,
che sfruttate la vita per i vostri sporchi giochetti
allora allora ammazzateci tutti!

Uno dei più gravi incidenti della storia italiana, un assurdo episodio che trasformò un anonimo paese della Brianza in sinonimo di incuranza e disattenzione, menzogne e coperture.

E ancora, quasi parlando, sempre con rabbia e indifeso, invece di cantare:

Noi siamo qui prigionieri del cielo
come giovani indiani risarciteci i cuori,

noi siamo qui, senza terra né bandiera,
aspettando qualcosa da fare
e che non porti ancora dei torroni a Natale,
telegrammi “ci pensiamo noi”
condoglianze! condoglianze!

Fiume Seveso- Stefano stabile is licensed under CC BY-SA 3.0.

Quello che successe dopo, sin da subito e negli anni, è storia, ovvero centinaia di famiglie sfollate, interi quartieri abbattuti e seppelliti in vasche da contaminazione, la creazione della direttiva 82/501/CEE, nota anche come “Direttiva Seveso”, per disastri ambientali, il nome Seveso è collegato anche alla direttiva europea 96/82/CE, che impone il censimento di tutti i siti industriali ad alto rischio, l’accelerazione sulla legge di interruzione di gravidanza, per ovvi motivi legati a eventuali danni al feto, che arriverà solo nel 1978, poi risarcimenti economici ai comuni e alle famiglie, anche se negli anni e ancora oggi persone si ammalano e muoiono, per tumore e degenerazione di patologie cardiovascolari e respiratorie, legate alla contaminazione. Io ho vissuto un anno in Brianza, a dieci chilometri da Seveso, nel 2006, trent’anni dopo. Un giorno andai e camminai per la città, guardai scorrere l’omonimo fiume, le piante spontanee sulle rive, qualche orto, i giardini e il Parco alberato, Bosco delle Querce, che sorge al posto della fabbrica. Per ricordare con dolore.

Una tragedia che non deve essere dimenticata, ma anzi deve essere ricordata in un momento come questo in cui, con una maledetta guerra in atto che insanguina l’Europa, la corsa all’energia, ai combustibili, la fame per ottenerne di più e il timore di non averne abbastanza, può portare governi e nazioni a favorire opere di indubbia pericolosità, spinti dalla logica del profitto più che dalla sicurezza dei cittadini.

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