È facile e al contempo doloroso ripercorrere questi quasi tre anni della nostra storia, della nostra vita, tra pandemia e guerre, drammi dovuti al clima che cambia, ricerca di risorse energetiche, salvaguardia del pianeta sul quale proviamo a vivere, poi da poche settimane un cambiamento epocale nella politica italiana, mai così netto dall’inizio della nostra Repubblica, senza quasi un’ombra di tranquillità, lo riconosco magari egoistica, ma di un po’ di serenità.

Foto Di Gorupdebesanez – Opera propria, CC BY-SA 3.0, da commons.wikimedia.org

Perché in fondo la storia siamo noi, come nel 1985 Francesco De Gregori (Roma, 1951) poeta e cantautore, scrisse e cantò. Il tema del componimento, quasi una poesia, è il significato di storia intesa come un processo in continuo movimento, spesso non pienamente comprensibile da noi, donne e uomini, dalle gente comune che si muove, agisce e attivamente produce azioni. E’ del popolo, di tutti i popoli, che vivono dentro la storia e quotidianamente ne sono partecipi e la costruiscono. Afferma che “è la gente che fa la storia”, un concetto illuminista. E’ opportuno ricordare che in occasione della Festa della Repubblica del 2021 il nostro Presidente Sergio Mattarella citò proprio questo brano nel suo discorso, in armonia con il suo insegnamento e operato del settennato: “Un bel brano di De Gregori dice ‘la storia siamo noi’, ‘nessuno si senta escluso’”, ovvero un popolo coeso, ossia un popolo di costruttori. Voleva riferirsi al fatto che settantacinque anni di Repubblica erano stati assemblati e definiti da tutti gli italiani e anche da coloro che pur non essendolo di nascita, tutti avevano contribuito col loro operato a edificarli questi anni, pur fra mille incidenti e traversie, a sentirci partecipi e attori. Il nostro Presidente voleva esortarci a non allontanarci, a non isolarci dagli altri per essere così insieme uniti nel partecipare alla Storia, nel farla.

Noi, come dice anche De Gregori, siamo tante piccole onde, da sole forse insignificanti, ma insieme formiamo il mare, in movimento; così dobbiamo essere ovvero parte integrante della storia, come cittadini che vivono attivamente la cosa comune, la “res publica”, come esseri onesti, sì  gente normale, ma al contempo intraprendente, comune e pulita, soprattutto dobbiamo essere partecipi, anche se ci arrivano voci disfattiste e qualunquiste: “E poi ti dicono “Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera”.

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Siamo noi che mentre viviamo situazioni difficili, possiamo pensare di essere parte ininfluente in ciò che accade, ma l’autore ricorda che nessuno deve sentirsi offeso né escluso, perché questo “noi” non è un soggetto “singolo”, non è contrapporre noi-voi: sta ad intendere il noi come tutto il genere umano. Nel testo c’è un ricordo anche di una poesia “La storia” di Eugenio Montale e quella di De Gregori è in effetti una poesia sociale e filosofica, la storia, come forza al di sopra degli individui, ovvero indipendente e per questo suo cammino non si arresta davanti a nessuno e niente la può fermare, anche a costo di creare danni e devastazioni. La Storia, sì con la esse maiuscola, ha i suoi obiettivi e li persegue, anche a discapito dei singoli uomini, ma allora è lì che dobbiamo essere partecipi e attivi per seguirla e partecipare con le nostre azioni e lotte. Nelle intenzioni dell’autore non c’è traccia delle concezioni di Hegel o di Marx, nemmeno una concezione teologica, piuttosto una visione filosofica greca della giustizia della storia che, indipendente dalla volontà umana, “dà torto e dà ragione”, al popolo, a seconda delle azioni, in base a queste il popolo, quasi un giudizio esistenziale, vince o perde: “Siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere”. Il poeta accenna anche alla tesi di Voltaire e alla concezione romantica della massa che si è trasformata in una entità diversa, il popolo, che lotta per i suoi obiettivi, come la libertà e il concetto di patria. La gente comune, già, ovvero noi, noi tutti, siamo artefici e attori della storia, afferma l’autore con il “noi”, includendo sia la gente comune, la maggior parte, ma anche le personalità che, avendo maggior peso nella società, contribuiscono a crearla, la indirizzano, con il loro agire cercano di modificarla e spesso ci riescono.

Poi il poeta ritorna ad una visione della storia come una forza al di sopra degli individui che la compongono, quasi  metafisica, perché dice che la stessa è fatta dagli eruditi e dagli incolti ed è questa molteplicità di tutta l’umanità che arriva anche a metter paura, questa forza, a volte inarrestabile, indica e realizza la strada, anche a scapito della volontà dei singoli, sia padri che figli: “Quelli che hanno letto milioni di libri, e quelli che non sanno nemmeno parlare, ed è per questo che la storia dà i brividi, perché nessuno la può fermare”.

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Il riferimento a padri e figli vuole significare una concezione che l’oggi si comprende col passato, uno ossia l’oggi è il prodotto di quanto avvenuto ieri. E allora è qui che tutti gli uomini hanno un fine comune, ovvero non farsi schiacciare da una storia cieca e magari incomprensibile ai più, il popolo e noi gente comune dobbiamo contribuire a modellare, protagonisti con le nostre azioni, una Storia chiara, comprensibile e dove ognuno di noi sia di aiuto per sé stesso e per gli altri, una concezione solidale e cooperativa degli uomini. Voglio citare un passaggio finale, appena accennato dall’autore, quasi veloce, ma assai significativo, soprattutto in questi tempi, ovvero: “siamo noi, bella ciao, che partiamo”. Un brano della musica popolare, nato come canto delle mondine tra Emilia e Lombardia, ma divenuto noto soprattutto come canto della Liberazione; un legame, quindi, con la Resistenza, l’antifascismo, la Costituzione del ‘48: un’efficace denuncia contro il neofascismo.

E allora cantiamola, nello stesso momento sentiamola dentro di noi:

La Storia siamo noi, nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta
escluso.
La Storia siamo noi queste onde del mare,
questo rumore che rompe il silenzio,
questo silenzio così duro da masticare.
E poi ti dicono “Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera”.

Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso
dentro casa quando viene la sera.
Però la storia non si ferma davvero davanti
a un portone,
la storia entra dentro le stanze, le brucia
la storia dà torto e dà ragione.
La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto
da perdere.
E poi la gente, (perché è la gente che fa la storia)
quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare.
Quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare,
ed è per questo che la storia dà i brividi,
perché nessuno la può fermare.
La storia siamo noi, siamo noi padri e figli,
siamo noi, bella ciao, che partiamo.
La storia non ha nascondigli,
la storia non passa la mano.
La storia siamo noi, siamo noi questo piatto
di grano.

 

Foto di apertura libera da Pixabay