Queste sono le voci di giovani, che potevano essere considerati bambini e bambine. Ci parlano dell’assurda guerra che li ha fatti diventare d’un tratto grandi. Sono considerazioni semplici, forse banali ma ci fanno comprendere cos’è veramente una guerra, non le strategie e i ragionamenti dei politici e degli esperti, ma la guerra vera, quella che uccide le persone e crea un odio che sarà difficile combattere. Una mia amica, Iryna Medved, che vive e lavora a Kiev le ha raccolte e inviate.

Quando le ho lette non ho potuto fare a meno di pensare ai bambini del mio paese, se fossero confrontati con questo impensabile orrore.

Alessandro Erasmo Costa

Olena Korolevska – Direttrice della High school “IndeVersal”

Il nostro liceo è stato fondato sei anni fa da genitori entusiasti che hanno sempre sognato di creare una scuola che i bambini amano e dove a loro piaccia vivere e studiare. Proprio così, “vivere”, perché la scuola è prima di tutto la vita e l’infanzia che ogni giorno trascorrono tra le sue mura. La nostra scuola è nata proprio così: come una serie tv, dove ogni giorno è una nuova e irripetibile puntata e, come in un caleidoscopio, compone dei piccoli frammenti della vita di ogni allievo in un grande quadro. Era impossibile immaginare una scuola più felice: i ragazzi e gli adulti ci vivevano e crescevano in un modo così vivace e allegro. Ma il 24 febbraio 2022 è cambiato tutto per sempre. Assieme allo spaventoso rumore delle bombe che esplodono a Kyiv di prima mattina, nel cuore di ogni Ucraino si sono insediate l’ansia e la paura. Tutti hanno capito che la vita pacifica era svanita e niente sarà più come prima. Perché il Paese nostro vicino, governato da un tiranno, ha perso il senno ed ha deciso di aver bisogno della nostra terra. La scuola ha chiuso le sue porte ed è diventata vuota e silenziosa come mai. Sulle lavagne, per lunghissimi sei mesi, si è conservata la nota: “23 febbraio. Compito in classe”…Studenti e professori, spaventati e sperduti, si sono sparpagliati per tutto il mondo in cerca di sostegno e riparo. Ma nonostante questo non si sono persi! Quasi una settimana dopo l`inizio della guerra le lezioni e i contatti sono ricominciati, anche se online. In ogni momento possibile, i professori e i ragazzi si mettevano in contatto e continuavano a sviluppare il programma e sostenendosi l’un l’altro: “Dove sei? Dove siete? Stai bene?” Vivi, incolumi. Finalmente… Benché a distanza, eravamo di nuovo tutti insieme.

Poi è arrivata l’estate, e pian piano Kyiv ha ricominciato a tornare alla vita, i suoi abitanti ritornavano a casa. Il consiglio dei docenti si è riunito per un brainstorming, per decidere come fare per resistere e salvare la scuola nell’anno accademico a venire. Grazie a questa riunione sono nate ben tre scuole: una scuola offline, con lezioni in presenza per i ragazzi tornati a Kyiv, e due scuole online, per quelli che sono rimasti all’estero o si trovano in altre località del paese: scuola anche il sabato per un insegnamento completo. Tutti i nostri ragazzi hanno aderito alle tre tipologie di studio. Siamo riusciti, inoltre, a dare un sostegno e iscrivere gratuitamente agli studi online i figli dei militari delle Forze Armate Ucraine e delle famiglie sfollate che si sono trasferite dai territori temporaneamente occupati del nostro Paese.

Il giorno più felice della nostra vita è arrivato il 1° settembre, quando abbiamo potuto rivedere e riabbracciare i nostri allievi, quando la scuola si è riempita di nuovo di cinguettio e risa dei ragazzi. È stata una festa straordinaria! Quando si sentono suonare le sirene, siamo costretti a fare le lezioni nel rifugio, la nostra città e il nostro Paese vengono bombardati da un terribile nemico, noi siamo insieme. E continuiamo a svolgere il più importante lavoro della nostra vita: educare la nuova generazione per l’Avvenire, una generazione che sarà sicuramente più intelligente, più umana e migliore della nostra. Oggi noi assieme ai ragazzi e ai loro genitori, abbiamo fatto la nostra scelta: siamo rimasti nel nostro Paese, nella nostra città. Noi studiamo, a volte nei sotterranei, viviamo tra le sirene e bombardamenti, cercando ogni giorno di fare tutto il necessario finché c’è l’energia elettrica in casa, sostenendo i nostri soldati realizziamo reti mimetiche, fabbrichiamo le candele che si usano nelle trincee, facciamo biscotti e raccogliamo il denaro per comprare le cose di cui hanno bisogno.

Siamo una grande famiglia. E noi senz’altro ce la faremo e vinceremo queste canaglie. Arriverà il Giorno, quando tutto il nostro Paese, tutta la nostra nazione festeggerà la più grande e la più attesa Festa: la Festa della Vittoria. Crediamo nelle Forze Armante dell’Ucraina, resisteremo, vinceremo!

*****

Petro Pylypchuk (13 anni) – Liceo «Indeversal», Classe 7

Tutto questo è iniziato il 24 febbraio. Quando mi sono svegliato, non mi rendevo conto che in Ucraina era iniziata la guerra con la Russia. Come tutti gli Ucraini sono stato preso dal panico. Nella mia testa frullavano due pensieri: inizialmente pensavo che noi tutti saremmo stati sterminati, ma quando ho sentito delle Forze Armate Ucraine che ci difendono impavidamente, ho pensato che il nostro popolo è imbattibile. Ho viaggiato in Ucraina, sono stato a Zhytomyr, Chernivtsi e Lviv.

Le mie preoccupazioni si attenuavano nel corso della guerra, ma non potevo dimenticarle: questa guerra entrerà nella storia dell’Ucraina. Il primo mese avevo tanta paura, non potevo più concentrarmi sugli studi. Poi, passate le vacanze estive, non avevo più paura, perché quando vivi nella costante tensione a causa delle sirene ed altre cose, col passare del tempo ti abitui anche a questo. Non sapevamo dove andare a vivere, poi la mamma si è ricordata di una sua zia. Quando stavamo per arrivare a Lviv, abbiamo saputo che il suo appartamento era libero perché la zia stava già all’estero. Eravamo felici di sapere di avere una casa. Allora, il 13 marzo, sono iniziati i miei studi a distanza. Nel corso delle lezioni di psicologia parlavamo di vari argomenti: della politica e di come mantenere la calma durante la guerra. Capitava anche che per un’intera lezione stavamo semplicemente seduti a meditare. Oppure ci raccontavamo come vivevamo la guerra. Purtroppo, metà dei miei compagni di classe si trova all’estero come profughi. Non capivo che cosa succedesse tra l’Ucraina e la Russia, volevo solo continuare a vivere, ma questa brutta guerra non mi permetteva neppure di sentirmi studente di un liceo. Purtroppo, non potevo incontrarmi con i miei compagni di classe e chiacchierare con loro del più e del meno. È ormai dicembre, sono sempre vivo e sano e vado a scuola. Per me la pace è poter apprezzare ogni minuto della nostra vita, non puoi sprecarla per la guerra e puoi rimanere te stesso anche nelle situazioni più drammatiche.

*****

Lisa Kravchuk (12/13 anni) – Liceo «Indeversal», Classe 7A

Tensione, preoccupazione, il respiro affannato che è rimasto sospeso in aria come se fosse la nebbia in una fresca mattina. Tutti correvano e si agitavano raccogliendo le loro cose. Sentendo quello che accadeva dietro la finestra, in un istante ho capito tutto. Chissà perché proprio in quel momento ho pensato alle lezioni della mia scuola, e non riuscivo a comprendere il pericolo. La mamma, quando mi sono svegliata, non ha risposto alle mie domande: con uno sguardo pieno di panico mi ha sorriso e ha detto di preparare lo zaino. Incrociando lo sguardo del papà (lui era più agitato), sono corsa nella mia camera a raccogliere le mie cose. Poi si è svegliato anche il mio fratellino che ha iniziato a prepararsi e vestirsi. Mentre si preparava, anche lui faceva alla mamma tante domande, lei in risposta gli sorrideva, ma si vedeva il suo panico. Io sono la più grande, e potevo rendermi conto che la situazione che stavamo vivendo, lui invece continuava a fare domande alla mamma finché il papà non lo ha sgridato. Allora è calato il silenzio, per tutto l’appartamento si sentiva solo il calpestio dei piedi. Siamo corsi fuori dal portone del condominio, con borse, buste e zaini sulle spalle e in mano. Dopo aver infilato tutto nella macchina di papà, siamo partiti per la nostra casa in campagna, la casa dei miei nonni. Quando siamo arrivati, ci aspettavano già i nostri parenti con i loro figli che non vedevo da un anno. Una collega della mamma e suo figlio aspettavano mio fratello maggiore vicino alla loro casa. La mamma ha proposto alla collega di venire da noi perché loro vivevano dove le esplosioni si sentivano ancora più forti che a casa nostra.

Io, mio fratellino e Vlad (il figlio della collega della mamma) siamo stati mandati al piano di sopra, dove c’era la biblioteca della nonna. Io sono la più sensibile della famiglia, ma non urlo, mi fa male la pancia e mi tremano le mani, stavo acciambellata sul divano cercando di ritornare a bei pensieri, ma non ci riuscivo. Allora ho messaggiato le mie amiche chiedendo come stavano, che cosa facevano e dove erano andate. Loro mi rispondevano e così ho trascorso mezz’ora della mia terribile angoscia. Sono rimasta sul divano finché non è arrivato il mio papà. Siamo scesi al piano di sotto e ci siamo seduti insieme in attesa di coloro che ci avrebbero raggiunti. Sono arrivate due bambine. A dire il vero, non mi ricordo i loro nomi, ma hanno riempito la terribile atmosfera della nostra casa con allegre canzoncine. Cantavano all’unisono e tutti, tranne me, canticchiavano insieme con loro. Io cercavo di nascondere la mia preoccupazione e la mia rabbia, ma non ci riuscivo. Così, quando qualcuno si rivolgeva a me cercando di calmarmi in qualche modo, farmi parlare, o quando si avvicinavano le due bambine, io respingevo tutti senza rendermene conto. La casa era piena di canzoncine, ma il mio umore rimaneva triste e sconsolato. Fuori gli uomini – mio padre, mio fratello maggiore, lo zio, il nonno – guardavano preoccupati il cielo. È stato il marito di mia zia a parlarci delle sirene, degli allarmi aerei, dei “tutti nel sotterraneo” e dei cessato pericolo.

Abbiamo passato la notte nel seminterrato della nonna, laddove lei teneva il vino fatto in casa, varie conserve, mele e pere essiccate e tante altre provviste. In quella notte nel seminterrato abbiamo dormito in 13 o 14 persone, stretti e attorcigliati come chiocciole: cercavamo solo di sopravvivere.

Ora, quando sento un allarme antiaereo, non mi preoccupo più, mi sono abituata. Noi vinceremo, gloria all’Ucraina!

*****

Maksym Melnyk (12 anni) – Liceo «Indeversal», Classe 7B

Ancora un mese prima che iniziasse la guerra la mamma mi aveva detto più volte che la Russia avrebbe potuto attaccare l’Ucraina. Non avevo capito bene che cosa volesse dire e come la guerra potesse cambiare la mia vita. Ero sicuro che la guerra non ci sarebbe stata. Giovedì 24 febbraio ho dormito dalla nonna che vive nel palazzo accanto. All’alba, nel dormiveglia ho sentito un boato, ma allora avevo creduto che qualcuno sbattesse il coperchio del cassonetto dell’immondizia. Nella mia camera è entrata la nonna e mi ha detto di prepararmi velocemente. Mi ha spiegato che i russi avevano cominciato a bombardarci. Più tardi è passato il papà e mi ha accompagnato a casa.

Allora non capivo ancora che era proprio una guerra. L’ho capito soltanto dopo. Ero preoccupato, ma pensavo che la guerra sarebbe durata soltanto un mese. A casa, oltre alla mamma, c’erano anche mia zia e sua sorella. Per distrarci in qualche modo dai pensieri più allarmanti, ci siamo messi a giocare ad un gioco da tavolo, ma senza smettere di seguire le notizie alla tv. Il papà ha messo lo scotch su tutte le finestre per evitare che ci ferissimo con i vetri rotti dalle onde d’urto delle esplosioni. Quando le sentivamo, ci chiudevamo insieme nel bagno, perché è sempre il luogo più interno dei nostri appartamenti. Ma avevamo una tremenda paura.

Durante l’allarme antiaereo siamo corsi nel parcheggio sotterraneo. C’era già tanta gente, anche se era umido e freddo. Gli adulti parlavano tra di loro, e io giocavo con lo smartphone per passare il tempo. La sera, a casa, siamo andati a letto, ma non riuscivamo ad addormentarci. Di notte ci siamo svegliati tutti per una forte esplosione, ho urlato, la mamma ha detto a tutti di correre di nuovo nel bagno. Il giorno dopo i miei genitori si domandavano cosa avremmo dovuto fare: rimanere a Kyiv o andare altrove in un posto sicuro. Quando il nostro palazzo è stato colpito da frammenti di un missile, abbiamo deciso di lasciare Kyiv. Mio nonno ha chiamato il taxi per andare alla stazione ferroviaria. Ci siamo saliti io, mia zia, sua sorella e il nonno. La mamma e il papà con le nostre cose e la gatta sono partiti con la macchina. La stazione era piena zeppa di gente, comprare il biglietto per un treno era impossibile, perciò abbiamo deciso di partire con la nostra macchina. La mamma guidava, accanto a lei stava il nonno, dietro io, la gattina, mia zia e sua sorella, papà è rimasto a Kyiv. Quando lo abbiamo, ha detto che ci saremmo presto rivisti. Ma dopo 2-3 settimane abbiamo dovuto andare all’estero, perché la guerra andava avanti e rimanere in Ucraina era troppo pericoloso. All’inizio abbiamo vissuto da alcuni parenti in campagna, era la prima volta che mi trovavo così lontano dalla città. Mi ha sorpreso un’aria cosi fresca e un enorme cielo stellato. Mi piaceva passeggiare per i sentieri del paese ed esplorare quel mondo. Qualche giorno dopo siamo ripartiti verso la frontiera. E poi con il pullman siamo arrivati a Praga. Finalmente ci siamo sentiti al sicuro. Per tre settimane abbiamo vissuto in un hotel, poi siamo andati in aereo in Spagna. Per la prima volta nella mia vita volavo in aereo. Con la guerra, molte cose nella mia vita sono successe per la prima volta: per la prima volta ho vissuto in campagna, per la prima volta sono stato all’estero, per la prima volta ho volato in aereo, per la prima volta non avevo visto il papà e la nonna per alcuni mesi.

In Spagna faceva caldo ed era interessante. La mamma e la zia lavoravano molto per darci da mangiare, e passavamo un bellissimo tempo tutti insieme, ma io sentivo molto la mancanza di Kyiv e volevo tanto ritornare e mi preoccupavo per il papà e la nonna. A metà agosto siamo rientrati nella nostra Kyiv! La città sembrava tranquilla, fino a quando il 10 ottobre non si è ripetuto ciò che era già accaduto il 24 febbraio: missili, esplosioni, allarme antiaereo. La guerra ha cambiato molto la mia vita, ma capisco che tanti altri nostri ragazzi vivono condizioni molto peggiori della mia. Alcuni hanno perso i genitori, alcuni la casa, alcuni sono diventati disabili e altri ancora hanno perso la vita. Proprio questo ha scioccato più di tutto la nostra famiglia.

Vorrei tanto che tornasse la Pace. La Pace, per me, è quando l’ultimo soldato russo se ne sarà andato dalla nostra terra e gli Ucraini smetteranno di soffrire e morire.

*****

Matveyeva Yaroslava (12 anni) – Liceo «Indeversal», Classe 7A

Era il mattino del 24 febbraio. Non mi sono svegliata per le esplosioni, ma per la sveglia. Era un mattino che di per sé non aveva niente di speciale per me. Erano le sette del mattino, potevo stare altri dieci minuti nel mio lettino e, come al solito, sfogliare la striscia su Instagram. Ma la prima cosa che ho visto, quando ho acceso il cellulare, erano tanti messaggi dai miei amici. E prima di sorprendermi perché così tante persone mi avessero messaggiato alle sette del mattino, ho letto una solo parola: “guerra”. Non ci è voluto molto perché capissi che cosa stava succedendo. Nel panico ho iniziato una ricerca su Google su che cosa fosse la guerra, e tutte le mie paure si sono avverate.

Mi sono resa conto che la guerra è davvero iniziata dopo la prima esplosione che ho sentito alle tre di pomeriggio. A dire il vero, tutto questo sembrava un déjà-vu: avevo spesso sognato qualcosa che poi era diventato realtà, ma desideravo tanto che questo sogno non si avverasse. Questo terribile giorno era una crepa nella mia vita che non potrà essere nascosta, e dividerà la mia vita fra “il prima” e “il dopo”. Per la mia famiglia questo significava che avevamo perso la tranquillità e l’armonia alla quale eravamo abituate, ora si sarebbero trasformate in rabbia, incomprensioni e ansia.

La guerra ha diviso la nostra casa: io, la mamma, mio fratello e la nonna e papà e il cane. È stata una decisione difficile, ma i miei genitori capivano che era meglio per noi rifugiarsi in un luogo sicuro. La mia vita è diventata una monotona routine: mi sveglio, mi metto in ordine, faccio colazione e leggo le notizie, studio, leggo di nuovo le notizie, vado a giocare, faccio compiti e poi vado a dormire. Mia madre e mio fratello vivevano la stessa routine, ma abbiamo cominciato a gioire per piccole cose e litigare molto meno. Ciò che mi ha stupito probabilmente più di ogni altra cosa è che la Russia ci augura una lunga morte nella sofferenza. Non solo Putin, ma tutta la Russia. Erano persone che noi consideravamo fratelli. Mi ha stupito che alcune aziende non hanno lasciato il mercato russo solo perché avrebbero guadagnato di meno. Queste persone non hanno un briciolo di umanità. Mi ha confortato il sostegno della Polonia. Quando vengono a sapere che sei Ucraino, ti manifestano rispetto.

Oggi la pace per me significa non solo il rispetto dei confini, fisici e morali, ma anche il sostegno, l’amicizia tra i popoli, il rispetto delle opinioni altrui, la vita senza la paura di un missile, e  il sostegno degli popoli se venissi attaccato. Spero, che questa pace arrivi molto presto, per tornare alla vita normale.

PS il giorno prima del ritorno della guerra a Kiev (10 ottobre), ho sentito una frase che mi ha colpito: “Voglio vivere la vita di tutti quelli che non l’hanno vissuta tutta”

 

Tutte le foto sono state inviate da Iryna Medved e Olena Korolevska