L’Italia, in declino economico – con tassi di crescita del reddito di lungo periodo tra i più bassi della UE – vede un’ampia diffusione di miti collocati in un consolante buon tempo antico a cui ritornare, le tradizioni. Le posizioni anti scientifiche hanno ampio consenso e non a caso il livello di educazione terziaria italiana è tra i più bassi di Europa.

Parole come chimica, biotecnologia, genetica ed industria assumono spesso connotazioni negative. Artigianale è per definizione meglio di industriale e così via. Scienza ed innovazione in agricoltura sono guardati con sospetto. Guai ad affermare che i processi naturali sono chimici perché natura è “buono” mentre chimica è “cattivo”, quindi per la “contraddizion che nol consente” un processo naturale non può essere chimico. Il Senato della Repubblica con il voto unanime dei senatori eletti, unico voto contrario quello della nota scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo, ha approvato nella passata legislatura un testo, bocciato poi dalla Camera dei Deputati, dove pozioni magiche ed energie cosmiche (agricoltura biodinamica) erano parificate all’agricoltura biologica.

Parlare d’innovazione agricola, in un contesto basato su miti e posizioni ideologiche che sconfinano nel pensiero magico, non è facile. Il patrimonio italiano di prodotti agricoli ed enogastronomici è molto vasto, in continuo ampliamento e crescente qualità. La filiera agroalimentare italiana gode di un ottimo marketing fondato su uno story telling talmente potente da creare miti ritenuti veri non solo dai consumatori, ma anche dagli operatori del settore e dai politici.

Qui iniziano i problemi. Un conto è usare lo story telling come strumento di vendita per prodotti di assoluta eccellenza raccontando storie meravigliose sulle origini delle antichissime tradizioni agricole e della cucina italiana, un altro è legiferare confondendo lo story telling con la realtà. Quella che chiamiamo cultura alimentare italiana con tutto ciò che vi è connesso non è tradizione, bensì una continua ed incessante innovazione di prodotto che avviene all’interno di un contesto culturale, scientifico e tecnico estremamente strutturato e sofisticato.

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Comprendere questo significa capire quel meccanismo potente che è in grado di prendere, ad esempio, un pomodoro israeliano, introdotto nel 1989 dalla multinazionale sementiera Hazera Genetics, e convincere il mondo che esista da sempre, che faccia parte della tradizione italiana e che provenga da Pachino. Il tutto grazie un efficace story telling abbinato all’innovazione nei processi produttivi agricoli e ad una superba elaborazione gastronomica, innovazione anch’essa. Questo processo che ha reso il Pachino un importante bene alimentare vale per una miriade di prodotti del settore agroalimentare. Non comprendere questo significa contrastare l’elemento di forza del settore “food” ovvero la potente e raffinata capacità d’innovazione, che consente alla produzione agricola ed alimentare italiana di mutare con efficacia ed alta qualità in funzione della evoluzione delle esigenze dei consumatori. Dice il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste in Senato: “Mai carne sintetica (SIC!) in Italia, a rischio la cultura alimentare del Paese”, ed ancora “un’alimentazione che qualcuno immagina possa sostituire con prodotti da laboratorio il nostro modello produttivo che da millenni contraddistingue il cibo che mangiamo e ciò che beviamo.”

Vorrei chiedere al ministro quale è il modello produttivo che da millenni ci contraddistingue, perché quello che caratterizza l’Italia nel settore agroalimentare è la continua innovazione di prodotto e processo e crescita numerica e qualitativa del patrimonio agroalimentare. Questo modello è caratterizzato da una forte spinta innovativa e proprio perché tradizionalmente innovativo non può escludere a priori la carne coltivata, il latte da funghi e tecniche avanzate di selezione genetica, anzi si può affermare il contrario. Il cibo che mangiamo e quello che beviamo è fortemente cambiato e non nei millenni ma solo negli ultimi 100 anni. Negli anni 20 del secolo scorso gli spaghetti (pasta) ad esempio erano diffusi solo in una parte della penisola (e non tutti i giorni e non per tutti), altrove c’era la polenta (e la pellagra) e per i più fortunati il riso.  Inoltre questi prodotti erano diversi da quelli che conosciamo oggi.

Esiste, forse, una storia segreta di cui il solo ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste è a conoscenza?

Nel frattempo in Olanda si investe per conquistare la leadership nei mercati mondiali della carne coltivata e non sintetica, come asserisce erroneamente il ministro. Il motivo di tali investimenti? Il numero dei consumatori non occidentali di carne / pesce e la quantità pro capite annua consumata di questi beni aumenta costantemente nel tempo. La capacità di produzione mondiale con le tecnologie in essere non è prospetticamente in grado di aumentare in maniera da soddisfare le richieste del mercato ed inoltre già l’attuale produzione non è sostenibile. I prezzi delle proteine animali continueranno ad aumentare, si ridurrà la capacità di acquisto dei consumatori di fascia medio bassa dei paesi occidentali ed ampie fasce dell’umanità in assenza drastiche innovazioni produttive avranno difficoltà crescente ad un accesso adeguato alle proteine animali sino ad esserne escluse. Si sta aprendo un nuovo mercato globale.

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Se ricerca e sviluppo sui nuovi prodotti all’indice (come la carne coltivata, il latte da funghi, le tecniche moderne di selezione e miglioramento genetico) fosse incentivata anche in Italia, probabilmente riusciremmo fare bene e meglio di altri grazie alla nostra cultura del cibo e continueremmo ad introdurre innovazioni di processo di grande importanza. Si pensi, ad esempio, all’enorme aumento qualitativo della produzione vinicola o ai notevoli miglioramenti qualitativi e di gamma di offerta del settore caseario. L’Italia può e deve essere parte attiva nello sviluppo dei nuovi prodotti alimentari che vanno considerati alla stregua di beni strategici, partecipando inoltre alla definizione dei processi, degli standard qualitativi e di sicurezza, invece di subirli passivamente. Va ricordato che i posti di lavoro creati sarebbero ad alto valore aggiunto consentendo remunerazioni ben superiori a quelle che permettono le attuali tecniche agricole. Inoltre i sistemi di produzione alimentare sarebbero maggiormente resilienti ai cambiamenti climatici e di minore impatto ambientale. Uno scenario diverso da quello di rovina, oggi prospettato per chi intenda, nel futuro, lavorare nel settore agroalimentare.

La risposta a queste sfide che viene da ampia parte della classe politica ed anche da qualche associazione di categoria è uno story telling basato sulla sollecitazione di reazioni viscerali non fondate su fatti reali. Ecco che prodotti come il “latte” derivato dalla fermentazione di funghi o la carne coltivata diventano sintetici, innaturali, ottenuti con cose orribili quali sventramenti di vacche gravide (la carne coltivata) ed altri scioccanti fatti tutti semplicemente falsi, al fine di colpire l’immaginario collettivo aggiungendo lo spettro delle cattive multinazionali e delle loro cospirazioni contro il piccolo virtuoso agricoltore italico.

Combattere le innovazioni non è utile ed ancor meno se lo si fa con toni da “Spezzeremo le reni alla Grecia” o da “No pasaran” (questi atteggiamenti sono diffusi anche a sinistra). Così facendo si esclude a priori e scientemente la possibilità di dibattiti fondati su potenzialità di mercato, scienza, equo accesso alle risorse alimentari e salvaguardia dell’ambiente. Saranno altri ad innovare. Il sistema Italia non svilupperà la tecnologia, perderà mercati e sarà poi costretto a rincorrere la concorrenza da posizioni di svantaggio.

Per i mangimi animali con componente d’insetti è già avvenuto, a causa della estrema lentezza ministeriale nell’attuare le decisioni della UE.  Questi mangimi, fino a non molto tempo fa, si potevano comprare dall’Olanda ma non produrre in Italia!! Ora il mercato è in mano olandese. Per gli alimenti a base d’insetti sta accadendo, in questo momento, qualcosa di simile con il supporto di personaggi che sostengono che non facciano parte della nostra tradizione. Ma qual è questa nostra tradizione a cui tanti fanno appello?  L’Artusi, il Rinascimento, il Medioevo, i Romani?  O l’innovazione continua di prodotti e processi?

Casu martzu- Foto da wikipedia.org – CC BY-SA 2.5

Nello story telling i romani fanno parte della tradizione quando si parla di prosciutto, lasagne, della milanese luganega ma non se si parla d’insetti di cui i nostri antenati facevano uso alimentare. Esistono in Italia formaggi molto antichi fatti con le larve di Piophila Casei. Il Casu Marzu in Sardegna, il Casu de Quagghiu in Calabria, il Gorgonzola con i Gril ed il Furmai Nis in Emilia Romagna, Il Broos ch’a Marcia in Piemonte, per citarne alcuni.  Questi formaggi illegali perché non sono normati nonostante l’Unione Europea, il 1° gennaio 2018, abbia approvato una normativa finalizzata alla regolazione della commercializzazione d’insetti a scopo alimentare tra i paesi dell’Unione. Piuttosto che affrontare “il nuovo” si preferisce rinviare crogiolandosi su una presunta inattacabile superiorità agroalimentare italica e lasciare che altri paesi EU assumano la leadership dei nuovi mercati.

Che la nostra classe politica sia di scarsa cultura e conseguente scarsa capacità di strutturate azioni strategiche in grado di affrontare con efficacia la complessità del mondo reale è cosa nota, ma l’ignoranza unita all’assenza di visione strategica possono portare a scelte dannose per il nostro paese e non utili a preservare la straordinaria capacità d’innovazione che da sempre caratterizza il settore agroalimentare italiano.

 

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