Recentemente l’Ucraina, come altri Paesi europei, ha dato il benvenuto al nuovo anno. Di solito, in questo periodo, le persone tendono ad analizzare gli eventi della loro vita dell’anno trascorso, a fare progetti e a esprimere desideri per l’anno a venire.

2022… così inaspettato e così inevitabile allo stesso tempo, pieno di sale per il sangue e lacrime e amaramente gioioso per l’orgoglio del mio popolo, del mio Paese.  Guardando indietro, ci si rende conto che dietro non c’è solo un anno vissuto, dietro c’è una strada lunga come l’eternità, un’intera epoca chiamata guerra…

Cerco di ricordare com’era il gennaio 2022. Il primo mese dell’anno e l’ultimo mese tranquillo della nostra vita prebellica… Una vita tranquilla e misurata, il lavoro, la routine quotidiana e le notizie inquietanti dei media: il cuore si rifiuta di credere, ma il cervello… analizza freddamente la situazione.  Scorrendo i video amatoriali, girati da russi comuni, si vedono squadroni di equipaggiamenti militari uno dopo l’altro, centinaia di squadroni con carri armati, veicoli blindati, artiglieria… una specie di tritacarne assassino diretto da una mano fredda verso il nostro confine. Ma no, non posso crederci, questo non può accadere nel XXI secolo!  Le vere preoccupazioni iniziano alla fine di gennaio, quando vedo le foto di centinaia di reparti con attrezzature ingegneristiche, pontoni e genieri: non è certo un addestramento militare (a quanto pare l’educazione sovietica, orientata alla forza militare, così come i miei due anni da soldato nell’esercito sovietico, hanno avuto un peso determinante). Sta davvero per accadere, una guerra? Una vera guerra?

Mi viene in mente un ricordo: le vacanze estive nel paesino di mia nonna.  Sono uno scolaro irrequieto. Ovunque c’è molto di me, attivo e curioso. Una casa di campagna con le foto di famiglia in un angolo. Una delle foto non mi dava pace.  Sulla carta, ingiallita dal tempo, ci sono due giovani uomini in un’uniforme militare sconosciuta.  Non ho mai avuto risposta su chi fossero.  Ma ecco che alla fine degli anni Ottanta l’Unione Sovietica si sgretola e mi viene svelato un segreto di famiglia.  Si tratta dei due fratelli maggiori di mia nonna, che hanno prestato servizio nell’esercito polacco nel 1938-1939, sono riusciti a combattere i nazisti per un po’ e, dopo la resa della Polonia, sono nella loro casa nella regione di Leopoli, dove sono già presenti i “liberatori” russo-sovietici.

Requisizione del grano dei kulaki durante la collettivizzazione forzata nel Kuban’, 1933 – Foto pubblico dominio da commons.wikimedia.org

Mia nonna è cresciuta in una solida famiglia di contadini, che possedeva molte terre e che con il duro lavoro riusciva ad ottenere i raccolti da quelle avare di terre di montagna.  Il nuovo governo russo-sovietico li dichiara “kulaki”, e la loro terra viene loro tolta, quella terra che avevano, lavorato e coltivato con tanta fatica… Perché?  Per cosa?  I fratelli della nonna non obbedirono, presero le armi e andarono nella foresta, per difendere la loro terra natale. Durante l’estate del ’40, i due fratelli morirono nei combattimenti, gli ufficiali dell’NKVD –la polizia sovietica- portarono i cadaveri in giro per i villaggi sui carri. – Chi sono questi uomini? Se confessate vi restituiremo i loro corpi!

 

Quei corpi non vennero mai restituiti.  I nemici ebbero paura di loro anche da morti.  Tutta la famiglia venne immediatamente arrestata (genitori, fratelli e sorelle della nonna). Certo! E perchè? Erano membri della famiglia di “nemici del popolo”!  Mio Dio, quali nemici? Quale popolo?  Di cosa state parlando voi mankurt (schiavi senza identità)?  Sono morti per la loro terra…

La dittatura è implacabile, tutta la famiglia venne deportata in Kazakistan, solo mia nonna, che a quel tempo viveva con mio nonno in un altro villaggio, riuscì a scampare a questo terribile destino. Tra l’altro, nel 1942-43, quattro fratelli di mia nonna furono mobilitati in Kazakistan per l’Armata Rossa, con la promessa che se avessero combattuto bene sarebbero stati rilasciati e avrebbero potuto ritornare in Ucraina con i loro genitori. I fratelli si fecero onore in guerra, la guerra finisce ma loro non furono più eroi, ma di nuovo “membri di una famiglia di nemici del popolo” e furono rispediti di nuovo in Kazakistan. E fu così fino alla morte di Stalin, solo dopo la morte del dittatore, tutta la famiglia poté tornare in Patria.

Mio Dio, un nuovo orrore minaccia il mio Paese?  Partiranno di nuovo le truppe per la Siberia, truppe dove il nostro popolo, che soffre da tempo, sarà portato al tormento eterno in vagoni merci, solo perché siamo Ucraini?

Il primo giorno di guerra è rimasto impresso nella mia memoria come un frammento di granata… da qualche parte nella carne più sensibile del corpo.  La sera del 23 febbraio si ebbe la sensazione che il conto alla rovescia fosse andato avanti per ore. Per l’ennesima volta scrivo a mia figlia: per favore, fai la spesa, fai il pieno alle macchine!  La risposta fu:” calmati, per favore, sono tutte chiacchiere dei media, non succederà nulla…”

Mattina del 24 febbraio. Bombe, razzi, morte, lacrime, disperazione e coraggio, determinazione, fede nella Vittoria.

Verso le 7 del mattino, mentre sto ancora facendo colazione, ricevo il messaggio che i miei colleghi Kseniya Khazhylenko e Viktor Oshovskyi stanno creando il gruppo “Resistenza medica”, e sono onorato di essere tra i primi membri del gruppo. In seguito, con l’aiuto di questo gruppo, verranno compiute molte cose straordinarie da noi volontari. I primi video e foto dei bombardamenti. La brutalità fa orrore: bombardamenti a tappeto e sconsiderati su città con milioni di abitanti. L’umanità ha già visto qualcosa di simile in passato: Rotterdam, Coventry, Varsavia…

La speranza è che il mondo civile non si limiti a guardare questi omicidi crudeli e brutali. L’Ucraina chiede di chiudere il cielo, di fornire moderni mezzi di difesa aerea. Purtroppo, queste speranze rimarranno solo speranze per troppo tempo. E quante vite avrebbero potuto essere salvate. Dal 24 febbraio, in Ucraina sono morti più di 450 bambini e circa 900 sono rimasti feriti.  In pratica, tutti loro sono stati vittime di bombardamenti brutali, e molte di queste morti avrebbero potuto essere evitate se l’Occidente avesse reagito in modo rapido e adeguato, e non si fosse limitato a osservare e ad aspettare: per quanti giorni ancora l’Ucraina potrà resistere?”. Nelle prime ore di lavoro, i colleghi sono confusi, nascondono gli occhi pieni di lacrime e di dolore sordo, le mani tremano e tradiscono l’emozione.

Nel pomeriggio arriva mia figlia sgomenta con mio nipote e mio genero. Tutte le sue amiche hanno già fatto le valigie, stanno andando all’estero con i loro figli, la aspettano e mi chiedono un consiglio.

Le rispondo con una domanda: – sei pronta a partire, come ti senti?

– no, non sono pronta…

Aspettavo questa risposta, la nostra Madrepatria ha bisogno di noi qui, i nostri pazienti hanno bisogno di noi.

In futuro mi darà sempre più fastidio sentirmi dire molte volte: “perché non sei partito?”

Mi dispiace, ma perché avrei dovuto?  Questa è la nostra Terra, i nostri antenati hanno combattuto e sono morti per questa Terra, le loro tombe sono qui e io voglio essere sepolto in questa Terra, proprio in questa Terra, quando verrà la mia ora e non vedrò altra strada per me.

Appaiono le prime pubblicazioni dei colleghi su FB.  Kharkiv. Kharkiv sofferente. Ascoltiamo la voce di Inessa Safonova (vedi il suo articolo in questo periodico), il nervo scoperto della sofferente Kharkiv, follemente innamorata della sua città natale, attualmente rasa al suolo dall’orda russa.  Tra un paio di mesi ci incontreremo a casa mia a Uzhgorod e ascolterò Roman, il marito di Inessa, drammaticamente colpito dai primi giorni di guerra, le operazioni chirurgiche sotto il fuoco nemico e sul fermo “no” a tutte le offerte di partire.  Roman mi disse: “finché almeno un infermiere o un inserviente del reparto verrà a lavorare, non lascerò il reparto”. Ricordo come altri medici ucraini, che riuscivano a trovare un lavoro e a realizzarsi in Europa, fossero in servizio di notte sui tetti dei grattacieli con le molotov in mano. Ricordo le incredibili gravidanze delle mie donne, le puerperei provenienti da diverse parti del mondo, che insieme ai loro parenti aprirono il cosiddetto “secondo fronte” e fornirono all’Ucraina un vero e proprio “prestito” medico gratuito in quei primi, difficilissimi giorni di guerra, quando mancava tutto il necessario.

Scultura “Valigia abbandonata”. Uzhhorod. Ucraina.
foto di Serhij Denysenko

Ricordo il flusso infinito di rifugiati dall’Est.  Erano terrorizzati, lasciavano le loro case, impacchettando le loro vite precedenti in una valigia. Più tardi, in estate, sulla banchina della stazione ferroviaria di Uzhhorod apparirà un monumento insolito: una valigia abbandonata e solitaria, uno dei tristi simboli del nostro tempo. Su questa valigia siede un coniglietto, una sorta di allegoria, probabilmente ispirata a un giocattolo nelle mani di un bambino che, fuggendo dai bombardamenti, era arrivato su un treno di evacuazione con la madre.

Un bambino con un coniglietto giocattolo, che è diventato il prototipo della scultura.
foto di Serhiy Denysenko

Ricordo il mio confessore, l’abate di un monastero ortodosso, che ha aiutato centinaia di sfollati a trovare un tetto.  Ricordo il mio nipotino Ruslan e lo ringrazio per la sua calma e pazienza non più infantile nel rifugio antiatomico.

Ma  un ricordo mi provoca come una scossa elettrica. Avevo passato il mio “Rubicone” di questo anno di guerra trascorso.  8 marzo.  Al mattino ricevo un messaggio: “salve, abbiamo urgente bisogno di sacchi di plastica per l’evacuazione dei nostri 200 morti dalla linea del fronte”. Come con il pilota automatico trovo, ordino, pago, ritiro e solo allora, mentre li porto in macchina, mi sorprendo a pensare. Nella mia macchina sto sempre correndo verso un centro di maternità, per aiutare la nascita di un nuovo essere, per dare il benvenuto a una nuova vita, e ora… cosa sto portando in macchina?  Da quel momento in poi mi è sembrato di essere cambiato, un interruttore interno mi ha fatto passare a una nuova realtà, a una diversa coscienza.  Per me, l’8 marzo non sarà mai la festa della primavera, dell’amore e della bellezza, come lo è stato fino al 2022.

Allora sarà Bucha, Gostomel, Irpin.  Auto di civili, famiglie con bambini piccoli all’interno, uccise dai russi.  Izyum… e molti altri orrori che nessuno di noi avrebbe potuto nemmeno immaginare prima del 2022.

Poco prima del Capodanno 2023, il mio amico d’infanzia, con cui siamo cresciuti nella stessa casa e che è emigrato dall’Unione Sovietica in quel lontano 1989, verrà a Uzhgorod. Non ci vediamo da trentatré anni, la conversazione sfocia ovviamente sulla guerra, si scopre che il mio amico sta accompagnando le missioni internazionali impegnate a registrare i crimini di guerra commessi dai russi.  Ogni storia congela l’anima. Tre russi, l’ufficiale più anziano ha 26 anni, i soldati: 21 e 19 anni. Questi tre bastardi hanno trattenuto e violentato per due giorni due nostre donne ucraine, una di 41 anni e l’altra di 44… E di storie simili ce ne sono tante.  Troppe per un normale essere umano civilizzato.

Mi è venuta subito in mente l’ultima statistica: almeno il 70% del popolo russo sostiene questa guerra.  Che cos’è?  Psicosi di massa?  Quando ero studente, mi è stato insegnato che il primo segno di malattia mentale è la perdita della capacità di critica, quando una persona smette di valutare criticamente i propri pensieri, parole e azioni. E quando i 140 milioni di russi smettono di valutare criticamente i loro pensieri, le loro parole e le loro azioni…? Che tipo di malattia è questa?  Come curarla?  Dove trovare le medicine per questa follia? Questa malattia viene curata con successo dai nostri guerrieri, dai nostri eroi al fronte. E la medicina per questa malattia è l’arma di cui abbiamo tanto bisogno e che è in grado di fermare la diffusione di questa infezione in Europa e nell’intero mondo democratico.

E sì, vogliamo la pace!  Tutti noi la vogliamo. E soprattutto noi medici!  Vogliamo accorrere al parto, non al funerale. Vogliamo accogliere una nuova vita, non assistere la morte. Purtroppo la storia dimostra che la pace con questo nemico può essere raggiunta solo con la guerra. Una pace duratura e stabile impone il rovesciamento dell’attuale regime russo.  In alternativa, la pace significherebbe solo una tregua temporanea e una guerra rimandata. Oggi l’Ucraina sta facendo del suo meglio per raggiungere questo obiettivo. E anche di più.

Ora però tocca a voi, Paesi del mondo civile!  Come sarà il 2023 e se ci porterà una vittoria tanto attesa dipenderà anche da voi.

E noi ucraini, come ha detto il Presidente Zelenskyi, sappiamo una cosa per certo: per quanto difficile possa essere per noi, non ci vergogneremo mai!

 

Foto di apertura di Ruslan Fedko: il nipotino nel rifugio antiaereo