Nel 2022 le fonti rinnovabili in Europa hanno battuto il gas. Il Continente ha beneficiato di maggiore energia elettrica prodotta da eolico e fotovoltaico. Il gas per le centrali elettriche si è fermato al 20%, le rinnovabili sono andate otre il 22%. Il 2023 dovrebbe confermare questa tendenza e lanciare segnali più rassicuranti sul Green Deal. L’ottimismo di questi dati, tuttavia, non è, completamente condiviso come si è visto al Consiglio europeo straordinario del 9 e 10 febbraio scorsi. La strada verso la sostenibilità europea ha ancora tante sconnessioni. Le polemiche, o meglio le diverse ottiche che accompagnano la transizione energetica, ne condizionano i risultati finali. Ursula von der Leyen è convinta di farcela e di riuscire, alla fine, a competere con Usa e Cina per quello che  fanno a favore delle  industrie, per le materie prime, per  i finanziamenti pubblici. Ma sono gli Usa il Paese da contenere, più di tutti.

L’idea di un Fondo sovrano Ue che sostenga il passaggio delle economie nazionali ad economie sostenibili è anch’essa abbastanza in salita. Ancora una volta ci tocca assistere alla speciale sindrome da “Mister NO” che contagia ora uno, ora l’altro governo. Le fonti rinnovabili stanno andando bene, dice l’ultimo Rapporto dell’ European Electricity Review.  A gennaio il costo del gas è sceso, ma la generazione elettrica prodotta con il gas resterà in piedi ancora a lungo. Da qui la necessità di far convivere fonti non inquinanti e fonti fossili verso target meno dannosi per salute e ambiente. Un passo avanti compiuto dall’Ue è il Green Deal Industrial Plan for the Net-Zero Age, presentato ad inizio anno. Un piano di sostegno alle industrie per aiutarle nella competitività contro la potenza americana. Del resto si era capito che senza aiuti pubblici (vexata questio) le imprese europee non avrebbero allungato il passo più di tanto per convertire le loro produzioni. Con l’Industrial Plan si vuole raggiungere, invece, la semplificazione normativa, un accesso più rapido ai finanziamenti, la crescita professionale dei lavoratori. La Commissione propone così una soluzione ponte con circa 250 miliardi di euro per organizzare l’utilizzo dei fondi. Resta da vedere quali governi e quali  burocrazie sapranno condividere queste aspettative.

La vera posta in gioco sono i 369 miliardi di dollari stanziati da Joe Biden a favore delle aziende americane. La decarbonizzazione sta diventando un processo irreversibile anche negli States che, però, si sono post per prima il problema degli approvvigionamenti delle materie prime. Senza materie indispensabili alle lavorazioni non si costruisce il futuro. L’Ue è alla ricerca di soluzioni, per importarne di  meno. Stati Uniti, Russia e Cina sono concentrate sull’Artico alla ricerca delle terre rare. Stanno utilizzando il cambiamento climatico (scioglimento dei ghiacciai) per accaparrarsi le materie prime. Biden si gioca la partita della vita per tenere insieme crescita e sostenibilità in vista delle presidenziali del 2024. Per questa fondamentale ragione delle materie utili , all’Europa non resta che incentivare le esplorazioni, le ricerche minerarie, le indagini nel sottosuolo,quelle lungo le coste. Senza devastazioni ambientali, è ovvio. Ma per i prossimi tre anni, almeno, è il modo per dare vera sostanza ai progetti di transizione ecologica. Diversamente le risorse che si vogliono stanziare finiranno ai Paesi che vendono materie indispensabili per i traguardi del 2050. Un paradosso che la vecchia Europa non può permettersi.