In questi ultimi anni e in particolare nelle ultime settimane l’emigrazione italiana è ritornata al centro dell’attenzione del discorso pubblico, mettendo in evidenza che 5,8 milioni di nostri concittadini sono iscritti nelle liste dell’AIRE, quindi il 10% di quanti abitano nel nostro Paese.

E’ stato messo in rilievo che soprattutto i giovani delle regioni più ricche del Nord Italia, dove oltretutto c’è una sempre più crescente ricerca di personale con buone competenze professionali e tecniche, sono partiti per altri paesi europei; mentre è noto che i giovani del Sud affollano poi gli spazi lasciati vuoti dal coetanei del Nord.

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Fenomeno ancor più messo in evidenza dai 170.000 studenti e studentesse del Sud del Paese che proseguono gli studi in Atenei del Nord del Paese, e che raramente ritornano nel Mezzogiorno, per le poche opportunità di lavoro. Ma le partenze dei nostri concittadini sono più o meno elevate di quelle di altri grandi Paesi dell’Unione Europea. L’emigrazione dai Paesi sviluppati è uno dei fenomeni migratori meno considerati dalla politica e meno studiati dalla ricerca. Generalmente l’attenzione va all’immigrazione, alle sue drammatiche dimensioni, ai sistemi per poterla controllare e ai processi di integrazione.

Limitando il confronto al sistema migratorio europeo, nel 2022 l’Italia presenta 120.000 cittadini emigrati; a questi bisogna poi aggiungere circa 40.000 stranieri residenti in Italia, che si sono trasferiti in altri Paesi. Il flusso in uscita italiano è il quarto, ma inferiore ai cittadini del Regno Unito (125.000) della Germania (207.000) e anche della Francia (287.000); superiore alla Spagna (87.000). La gran parte si sposta da un paese all’altro perché appartenenti a gruppi internazionali e multinazionali, ma anche per le migliori condizioni del mercato del lavoro o inferiore costo della vita.

In linea generale la globalizzazione ha favorito la crescita dei flussi d’emigrazione dai paesi sviluppati, nell’ambito europeo tale processo è stato agevolato dalla libera circolazione delle persone e da una normativa che vede la mobilità all’interno dell’Unione dei cittadini europei un fattore positivo dal punto di vista economico e sociale.

Si pensi che dal 1987 oltre 500.000 studenti e studentesse italiani hanno avuto la possibilità di partecipare ai corsi Erasmus e poi al termine molti hanno preferito rimanere nei Paesi ospitanti o ritornarci dopo gli studi. Uno dei motivi che spinge i giovani italiani a scegliere altri Paesi europei è legato sicuramente a condizioni economiche migliori, ma per una più rapida crescita professionale, maggiore considerazione del merito rispetto all’anzianità di servizio, soprattutto da parte di ricercatori e scienziati delle istituzioni statali.

E’ che il nostro Paese, attrattivo per il suo patrimonio storico e culturale, è poco ambito dagli altri Europei proprio per le motivazioni che spingono i nostri a trovare soluzioni in altri paesi, aggravati inoltre dalla complessità dell’apparato burocratico, soltanto per ottenere i permessi di lavoro.

Inoltre sono ancora pochi i corsi universitari in lingua inglese nei nostri Atenei, tanto che il numero di studenti stranieri è poco più di 100.000 su 1.830.000 di iscritti. L’Italia ha un tessuto industriale fatto per il 95% di PMI che hanno spesso difficoltà ad offrire opportunità di crescita professionale e economica non solo ai propri cittadini, ma anche agli stranieri.

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L’industria 4.0 che inesorabilmente entrerà nei prossimi anni anche nelle PMI, e nella Pubblica Amministrazione, ma anche nell’agricoltura 4.0, farà sì che le aziende avranno bisogno rapidamente, per poter essere competitive, di personale altamente qualificato e ben remunerato, e questo dovrebbe renderle più attrattive e far rientrare i nostri concittadini e anche altri cittadini europei o extra europei. Le attività routinarie e ripetitive saranno nei prossimi anni sostituite da sistemi di robotizzazione, di Internet of Things, di Intelligenza artificiale, che richiederanno quasi esclusivamente operatori qualificati e con formazione digitale.

Certo la cura alla persona, la sanità di una popolazione sempre più anziana in tutto il continente europeo, il turismo, l’ospitalità e la ristorazione richiederanno un gran numero di lavoratori, non sostituibili con i soli processi digitali; in questi settori caratterizzati dalla precarietà e spesso dallo sfruttamento, i sistemi pubblici di controllo del lavoro e programmazione dei flussi di immigrati dovranno permettere un più giusto e rispettoso lavoro.

 

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