La campagna elettorale per il Parlamento Europeo 2024-2029 non è ancora partita ma, sotto traccia, sta emergendo un possibile mutamento importante nelle dinamiche politiche continentali.

Finora la coalizione di partiti di centro-destra che forma il Partito Popolare Europeo ha conteso la “leadership” nelle istituzioni europee alla coalizione dei partiti di centro-sinistra che partecipano al Gruppo dei Socialisti e Democratici Europei, ritrovandosi peraltro le due formazioni sotto uno stesso tetto, anche con altre famiglie politiche “europeiste” (liberali e verdi), per quel che riguarda le regole e la visione di fondo del processo d’integrazione. In questa ottica, ci si confronta apertamente e quotidianamente sulle scelte politiche ma, in buona sostanza, si accetta il cammino lungo da fare insieme, secondo quella che viene chiamata la “logica della cremagliera”, per la quale “indietro non si torna”.

David Cameron – Foto da wikipedia.org – OGL v1.0

La dimensione europea di queste “Cohabition/Grosse Koalition” è però da tempo in crisi. L’”apprendista stregone” che l’ha rovinata è stato l’ex Primo Ministro britannico David Cameron, che andò al potere nel 2010, avendo promesso di far uscire gli europarlamentari “tory” dal gruppo del Partito Popolare Europeo, considerato troppo “federalista”. Fu una scelta presa molto male soprattutto dai democristiani tedeschi ma si rivelò anche un incredibile “passo falso” per chi pretendeva di avere sempre più esenzioni ed “opt out” dalle regole europee, salvaguardando solo vantaggi mercantili. Ottenne parecchie concessioni dagli altri Governi europei ma aveva ormai “scoperchiato il vaso di Pandora” e scatenato nel suo elettorato i demoni dell’antipolitica e del populismo, che gli furono fatali nel referendum del 2016. Come si suol dire, “chi semina vento, raccoglie tempesta”. Ora viviamo ancora, per qualche verso, nell’”onda lunga” di quella svolta.  Nel nuovo orizzonte continentale “post Brexit”, il “gentlemen’s agreement” tra le famiglie politiche europeiste si è fatto più fragile e aumentano la frammentazione e i distinguo. Tanto a destra quanto a sinistra.

Cominciamo con questo commento ad analizzare i problemi e le sfide che si prospettano sul centro destra, ritenuto lo schieramento verosimilmente più prossimo alla maggioranza relativa anche nel prossimo Parlamento Europeo. Torneremo in un prossimo articolo di questa rubrica sulle quasi simmetriche vicissitudini del fronte di centro sinistra.

A destra, sta vacillando quella “conventio ad excludendum” per la quale il Partito Popolare Europeo ha sinora sempre preferito trattare e coabitare con gli “avversari” del Partito Socialista Europeo, piuttosto che intavolare complicate interlocuzioni con le varie frange della galassia “euroscettica”.

Per capire le distanze che teoricamente separano il PPE dai gruppi politici di destra (“Conservatori e riformisti europei”- ECR e “Identità e Democrazia” – ID) formatisi al Parlamento Europeo, e ora al governo in numerosi Paesi europei, basterebbe rifarsi ai rispettivi testi programmatici: da un lato, il Manifesto di Bucarest del 2012 e dall’altro, la Dichiarazione di Praga del 2009 per ECR e la Dichiarazione Politica dello Statuto del Gruppo ID al PE.

In questi documenti troviamo:

  • coloro che si riconoscono nell’auspicio di “un’Unione Politica Europea” ove “gli Stati Membri e l’Unione eserciteranno più poteri congiuntamente” (PPE);
  • quanti invece “riconoscono che lo Stato-nazione è il livello più alto possibile in cui la democrazia può funzionare pienamente” e quindi “si oppongono a qualsiasi nuovo trasferimento di potere dalle nazioni all’UE” (ID);
  • e infine i difensori della “’integrità sovrana dello Stato nazionale e dell’opposizione al federalismo dell’UE” (ECR).

Foto libera da Pixabay

Una conferma di questa diversa impostazione si è avuta, del resto, nel giugno 2022, quando il Parlamento Europeo si è espresso sui seguiti da dare alla Conferenza sul Futuro dell’Europa. In quella occasione, è stata adottata una risoluzione che chiede di convocare una Convenzione per la revisione dei Trattati, con l’obiettivo, tra l’altro, di “rafforzare la capacità dell’Unione di agire riformando le procedure di voto, anche consentendo decisioni in seno al Consiglio a maggioranza qualificata anziché all’unanimità nei settori pertinenti, quali l’adozione di sanzioni e le cosiddette clausole passerella e in caso di emergenza”. A favore di questa impostazione (voto a maggioranza qualificata come salto di qualità verso una vera Unione Politica Europea) si sono espressi, con socialisti, liberali, verdi e sinistra, gli eurodeputati del PPE. Contro hanno votato invece ID e ECR.

Evidente, quindi, la contrapposizione tra chi vorrebbe andare avanti, verso una fase costituente del Parlamento Europeo, e chi rema contro, auspicando il congelamento di ogni sviluppo istituzionale e l’appiattimento verso un “minimo comun denominatore” confederale ed in balia dei sovranismi.

Mal si conciliano “il diavolo e l’acqua santa”!

Manfred Weber – Foto da wikipedia.org – CC BY 2.0

Eppure….Le speculazioni in proposito sono iniziate quando, nel gennaio scorso, il Presidente del Partito Popolare Europeo, il tedesco Manfred Weber, ha incontrato a Roma Giorgia Meloni. Solo una visita di cortesia? Secondo alcuni commentatori, potrebbe essere stato invece l’inizio di una manovra per attirare nel “mainstream” politico europeo del PPE la guida di una coalizione di governo, quella italiana, nella quale sono rappresentate tutti e tre i gruppi politici di cui stiamo parlando (Fratelli d’Italia nella ECR, Lega in ID, Forza Italia nel PPE). Soprattutto, considerando il chiaro profilo mantenuto dal nostro Governo sull’Ucraina, nonostante gli ondeggiamenti di Salvini e Berlusconi, visto che oggi è questo uno dei discriminanti politici più sensibili, anche sul versante cosiddetto “euroscettico”. Da ricordare in proposito il divorzio nel 2021 tra PPE e gli ungheresi di Fidesz, guidati dal Premier Orban, emarginato per le sue involuzioni autoritarie e ora unica sponda filo Putin in seno alla UE,

Attenzione, insomma, nell’ottica degli “aperturisti” tra i popolari europei, verso chi è solidale con Kiev, come i Primi Ministri di Italia e Polonia, che si accompagna alla perdurante incomunicabilità, invece, con lo stesso Orban e con il populismo xenofobo del “Front National” di Marine Le Pen e dell’”Alternatif fur Deutschland”.

O magari si tratta semplicemente del sondaggio del capo di un partito continentale che, pur essendo ancora alla guida di 8 Governi nazionali su 27 (Austria, Croazia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Romania, Slovacchia e Svezia), sembra, con l’uscita di scena della Merkel, aver perso il controllo degli “azionisti di riferimento” del progetto europeo.

I maligni insinuano allora che la visita a Roma potrebbe essere stata l’avvio di una manovra politica complessa e spregiudicata, tesa a preparare l’investitura dello stesso Weber come “Spitzenkandidat” del PPE, sostenuta da un “campo largo” di centro destra, in contrapposizione alla riconferma dell’attuale Presidente della Commissione Europea, forse in qualche modo accettabile per l’attuale “maggioranza Ursula”, più aperta verso il centro sinistra. Una variante di questo schema potrebbe vedere Weber, in alternativa alla rivale UVL, schierarsi per Antonio Tajani, ora Ministro degli Esteri del Governo Meloni ma in passato già apprezzato Presidente del Parlamento Europeo.

Lasciando da parte questi risvolti, che i francesi definirebbero di “politique politicienne”, resta il problema istituzionale del possibile incrinarsi dell’attuale consenso “bypartisan” sul progredire, magari lento ma costante, verso una maggiore integrazione europea.

E allora si staglia la tela di fondo della prossima campagna elettorale europea, che dovrebbe forse essere presentata come il prologo ad un “referendum sul futuro dell’Europa”.

Ci rassegniamo ad accettare come inevitabile lo scivolamento verso una deriva sempre più “intergovernativa”, ove le smanie “sovraniste” di qualche Stato membro possono ricattare maggioranze inermi e condannare all’immobilismo?

Vogliamo, invece, ritornare a costruire insieme l’Europa, in una logica “comunitaria”, che trovi la sua naturale espressione in una “funzione costituente” del prossimo Parlamento Europeo, da benedire poi in una importante riforma dei Trattati in vigore?

Ritornano in mente le parole del Manifesto di Ventotene, che individuava lo spartiacque della politica contemporanea nella “linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale … e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, di un saldo stato federale”

Ci schieriamo, senza se e senza ma, per la seconda opzione.

Foto di apertura libera da Pixabay