UNA MOSTRA
“Bologna, Stato della Chiesa, 1858: la sera del 23 giugno i gendarmi pontifici, su ordine dell’Inquisitore del Sant’Uffizio, bussano alla porta dei Mortara, una famiglia di commercianti ebrei che abita in via delle Lame. Sono venuti per portare via uno dei figli, Edgardo, di sei anni, che sembra essere stato battezzato in segreto, tempo prima, dalla domestica cristiana. Il bambino, per volere di papa Pio IX, viene portato a Roma per essere educato cristianamente e non sarà mai più restituito alla sua famiglia.”
Fra le tante prelibatezze di questa come di ogni edizione, i visitatori del “Festival del Cinema Ritrovato” troveranno quest’anno ad attenderli una grande mostra. In corso dal 22 maggio (giorno della presentazione a Cannes di “Rapito”, di Marco Bellocchio), “Il ratto del fanciullo – Il Caso Mortara e la Bologna pontificia nei documenti dell’Archiginnasio” rimarrà aperta ad ingresso gratuito fino alla conclusione del Festival, il 1° luglio. Salvo proroghe.
Visitabile anche da casa in allestimento digitale (più ampio e con documenti riprodotti integralmente), la mostra offre un’insospettabile quantità di materiali – non si aveva un’idea di quanto fosse stato prodotto al riguardo – su un fatto teoricamente provinciale ma che enorme rilevanza ebbe in quegli ultimi mesi di governo pontificio a Bologna. Tanto da generare un dibattito e una produzione giornalistica e letteraria, storiografica e artistica in senso lato (pittura, musica, teatro) tali di influenzare l’opinione pubblica e l’azione di più d’uno dei governi europei, nel conflitto fra il nascente Regno d’Italia (allora Regno di Sardegna) e lo Stato della Chiesa. Sopita per molto tempo nell’Italia post unitaria, la questione si riaprirà su scala enormemente superiore dopo l’Olocausto, quando la Chiesa di Pio XII (conventi e famiglie cattoliche) tenterà per qualche anno di opporsi alla restituzione alle famiglie d’origine e alle comunità israelite dei figli salvati e battezzati degli scomparsi nei lager, con motivazioni analoghe a quelle del caso Mortara : Kertzer e Benedetti.
IL CLOUD
“Rapito” è il cloud artistico di Bellocchio.
“Rapito” è “I pugni in tasca”: la madre e “L’io diviso”.
“Rapito” è “La Cina è vicina”, la politica (i capi della comunità ebraica che si scusano, umiliandosi davanti al Papa, per il chiasso nato intorno al caso);
“Rapito” è “Nel nome del Padre”: il collegio, i preti;
“Rapito” è “Gli occhi, la bocca”: gli occhi, la bocca;
“Rapito” è “La condanna”: la violenza e l’amore (ma qui tendiamo molto l’arco);
“Rapito” è “Il principe di Homburg”: la legge del padre;
“Rapito” è “La balia”: la zingara in agguato (il fantasma borghese):
“Rapito” è “L’ora di religione” a rovescio: là la madre santa e il figlio ateo, qui il figlio “santo” e la madre ebrea;
“Rapito” è “Buongiorno, notte”: il “Moro uno”: il padre imprigionato, il sequestro, il sogno della fuga;
“Rapito” è “Vincere”: la madre ha tutte le ragioni del mondo ma è anche responsabile del destino del figlio. “Lei è giovane e bella”, le dice lo psichiatra, “il fascismo finirà. Perché deve farsi inghiottire dalla follia qui dentro e causare la malora di suo figlio. Si faccia benvolere dalle suore. Impari qualcosa di Pascoli a memoria. Apprezzano molto Pascoli. Mi creda, è il tempo degli attori”. Così il piccolo Elia a Edgardo in collegio: “tocca fasse furbi”, mostrati remissivo, finiranno prima loro di noi e per quel giorno fatti trovare pronto. Ecco, col piccolo Elia la Provvidenza sbaglia mira. Quello è lì che aspetta la malora dei preti;
“Rapito” è “Il traditore”: il piccolo traditore innocente a fronte del grande traditore criminale, entrambi fuori dal loro mondo, fra preti e giudici. Per il secondo è l’unica salvezza possibile; per il primo, il dibattito è aperto;
“Rapito” è “Esterno notte”: il “Moro bis”: il ritorno impossibile, il sogno della liberazione di Gesù, la libertà dalla Croce (vedetelo, è la scena più incredibile del film);
“Rapito” è il “Moro ter” di Bellocchio. E’ l’Io diviso.
Il cinema di Bellocchio ha un centro, lo stesso da mezzo secolo: quel “L’Io diviso” di Ronald Laing, “saggio di psichiatria esistenziale”, più croce che delizia degli anni 60/70. Poi c’è la famiglia, il paese (Bobbio), l’incredibile mercurialità creativa e di iniziative degli ottant’anni. A sessant’anni da quei “Pugni in tasca” che non ha più, Marco è ancora qui, con il suo Io diviso, in pace tutto sommato col mondo. E’ il suo cloud: nulla si è perso, nulla perdonato, nulla dimenticato. Così fratelli e sorelle si ritrovano dopo cinquant’anni a constatare di esserci ancora (ma Piergiorgio se n’è già andato) e a misurare l’effetto del tempo sui dolori più grandi. Senza condanne o assoluzioni. Marx può ancora aspettare. Ha aspettato fino adesso… (Ma che un simbolo potente come il battesimo diventi stregoneria, patto tra malfattori: una matta con l’acqua dei fiori ti ha battezzato, quindi appartieni a Dio, cioè a me che lo rappresento fra i mortali, questo non sta né in cielo né in terra, perdiana!).