È difficile scrivere le prime righe, soprattutto in tempi di tali tragedie, quando il tuo dolore si dissolve nell’ondata generale e universale di dolore della nostra gente, ma da quelle piccole storie delle singole famiglie è composta la storia del nostro paese. Il mio racconto parlerà di quelli più vicini a noi, i nostri genitori, che abbiamo perso quest’anno.

Ora va di moda dire che la guerra non è iniziata nel 2022, ma nel 2014. Ma ci sono persone, compresi me e la mia famiglia, per i quali la guerra con la Russia va avanti da molti decenni, o anche da diversi secoli. Ecco che, mentre sto scrivendo, penso che in questo presente, terribile e distruttivo per noi, sono felice di poter scrivere apertamente qualcosa, per cui prima non sarei stata risparmiata.

Mamma e Papà

La mia città natale è Khmelnytskyi (chiamata una volta Proskuriv). Per tutto il tempo che posso ricordare, per i parenti di mio padre residenti a Lviv, siamo sempre stati “I moscoviti”, per i parenti di mia madre nella regione di Poltava, invece, i banderiti (seguaci di Stepan Bandera). È così che vivevano. Mio padre era nato nella regione di Lviv, mia madre a Kiev, sebbene vivesse a Pyryatin, nella regione di Poltava. Aveva un sogno, lei: andare a studiare a Lviv. È lì che il destino li ha portati insieme: all’Università poligrafica di Lviv. Mio padre era il decimo figlio nella famiglia di uno scrivano del villaggio, ha sempre studiato bene, si è laureato con lode. Si sono sposati prima di laurearsi e hanno avuto l’assegnazione del primo luogo di lavoro (ai tempi dell’URSS i neolaureati ricevevano dall’università l’assegnazione del primo posto di lavoro, dove dovevano lavorare per due anni e poi potevano scegliere se proseguire o cambiare – nota del traduttore) a Kazan (Russia).

Il matrimonio dei miei genitori

Khmelnytskyi Institute of Household Services – 1975. Prof. Kinytsky al centro

Questa è stata la prima esperienza della politica sovietica di mescolanza delle nazioni fatta dalla nostra famiglia: i laureati delle università ucraine andavano in russia e quelli russi venivano inviati in Ucraina. Le condizioni di vita erano da dimenticare, i miei genitori hanno perso il loro primo figlio lì, mio fratello. Pertanto, quando è arrivato il momento di dare alla luce mia sorella, mia madre è tornata nella regione di Poltava. È chiaro che la vita in un paese straniero è lontana dall’essere paradiso.

 

Papà al lavoro con gli studenti

Mio padre ha approfittato della prima opportunità ed è tornato a Lviv, ha lavorato come ingegnere presso una fabbrica, e col tempo, quando a Khmelnytsky è stata aperta la filiale dell’Università poligrafica di Lviv, i miei genitori sono andati ad insegnare lì. Vivevano in uno degli edifici dell’Università, ma era meglio così. Papà raccontava che un giorno un’addetta alle pulizie è rimasta sorpresa perché una bambina è così ben vestita, ma parla “campagnolo” e chiama il padre “babbo”. E il mio papà ha risposto: “Non parla la lingua campagnola, ma l’ucraino, perché lei è Ucraina”. Mio padre è diventato il segretario dell’organizzazione universitaria dei giovani comunisti. Khmelnytsky di allora era una città giovane, c’era la carenza di risorse umane, quindi a mio padre è stato offerto un lavoro nel comitato regionale dei giovani comunisti. Si stava profilando la carriera nel partito. Ricordo com’era mio padre una volta detto che gli bastava recarsi una volta in qualche provincia per un’ispezione per capire cosa si nasconde dietro queste ispezioni [l’autore intende dire che il reale scopo delle ispezioni era la raccolta di tangenti o altri abusi di potere, e le posizioni nel partito prevedevano opportunità per tali abusi in linea alla posizione]. Tutto finiva con una tavolata, alcool, ecc.

Certo, tutto questo non corrispondeva ai suoi principi di vita, quindi mio padre ha rifiutato questo lavoro e ha ripreso ad insegnare. Ha fatto il dottorato, creando una solida base perché la nostra famiglia potesse sopravvivere in quei tempi senza il sostegno di nessuno. Mio padre aveva ricevuto altre offerte “allettanti”: è stato invitato a lavorare a Mosca, in un istituto tecnico-scientifico molto prestigioso nel mondo – Scuola tecnica superiore N.E.Bauman. A proposito, è così che la russia ha sempre creato il suo potenziale scientifico e culturale. Mio padre ha rifiutato la proposta, per la coscienza nazionale profondamente nascosta e l’intransigenza. Nel frattempo, sono nata io.

Mia Mamma

Poi è stato vietato ai familiari di lavorare nello stesso istituto, quindi la mamma ha dovuto cambiare il posto di lavoro. Io e mia sorella abbiamo avuto un’infanzia felice grazie ai genitori, ma il mondo attorno a noi era spaventoso per la sua ingiustizia. Mia sorella raccontava che quando era ancora piccola, in età prescolare, percepiva la reazione di rigetto ad una parola talmente cara come “tato” (“tato” in ucraino corrisponde all’italiano “babbo”, mentre in russo è “papà” – nota del traduttore). Quando chiamava dal cortile “tato”, nelle finestre del nostro palazzo a cinque piani, apparivano volti incuriositi, con una domanda silenziosa: “Chi è che chiama in un modo così estraneo?”. Sentendosi a disagio, una volta mia sorella ha chiamato la mamma, che non era in casa, e papà di certo non ha reagito, così lei ha dovuto comunque chiamare il babbo. Io ero più testarda, quindi nel cortile fin dalla prima volta ho gridato a squarciagola: “TATO!”.

Io e mia sorella

È così che siamo cresciute. A proposito, quando mio padre è diventato il capo dipartimento all’università, tutti lo chiamavano alle spalle proprio così: “tato”. Durante gli anni di attività didattica, mio padre non si è mai sbarazzato dell’accento ucraino (la sorella era molto preoccupata per nostro padre quando egli doveva tenere le sue lezioni estremamente difficili in una lingua che non era sua lingua madre) anche se questo non gli ha impedito di scrivere articoli scientifici e monografie in russo. In generale, mio padre era una figura ben nota nel suo ambito professionale, aveva un’alta autorità e veniva spesso invitato in varie università specializzate e altre istituzioni per scambio di esperienze. Così, quando ha visitato Kharkiv, i suoi colleghi hanno cercato di esprimere il loro rispetto durante le riunioni informali (durante le riunioni formali era impossibile), parlando con lui in ucraino, ma consigliavano amichevolmente: “nei trasporti urbani e altri luoghi pubblici non parlare in ucraino, solo in russo” per evitare guai. In quei tempi, e ancora di più nella Kharkiv russofona, la lingua ucraina provocava un atteggiamento sprezzante e uno poteva mettersi nei guai.

Il mio ricordo della nostra giovinezza era anche un sentimento di costante disagio a causa del nostro ucraino. Gente che guardava di traverso, chiamava con soprannomi offensivi “vitella” o “campagnola” solo perché studiavi in una scuola ucraina. Nella nostra città non erano molte le scuole ucraine, e queste non erano scuole prestigiose.

Anche mia sorella, dopo aver iniziato a frequentare l’università, ha provato sulla propria pelle com’era, dopo la scuola ucraina, cominciare a studiare in russo. A quel tempo, la maggior parte delle persone ha provato ad imparare il russo perché parlare ucraino era imbarazzante. La lingua russa era considerata la lingua dell’intellighenzia e l’ucraino, invece, la lingua della campagna. Nessuno prendeva in considerazione il tuo livello di istruzione, intelligenza, nozioni… se parli ucraino devi essere a priori una persona di uno status sociale inferiore rispetto a una persona di lingua russa. Forse solo la saggezza dei nostri genitori ci hanno aiutato a non perdere la lingua e non perdere la nostra vera identità. E i nostri genitori erano molto saggi. La mamma, che sembrava completamente “sovietica”, tuttavia gestiva l’ufficio nella fabbrica, dove lavorava, che forse era l’unica in tutta l’azienda che parlava ucraino.

Papà, benché diventato comunista, perché era desideroso di lavorare a pieno regime, poter avere qualche influenza sulle cose, poter cambiare qualcosa nel paese, ma è stato un passo obbligato (in epoca sovietica senza aderire al partito era semplicemente impossibile fare carriera), è sempre rimasto un patriota ucraino, un vero asse portante che ha dato un tono filo-ucraino non solo in famiglia, ma anche al lavoro e in generale in qualsiasi ambiente, in cui entrava.

Foto di vonMuehle da Pixabay

A noi figlie, mio padre ha spesso parlato di ribelli ucraini e resistenza nazionale. Allora nella mia infanzia ho scoperto che per un tridente dipinto venivano dati 25 anni di carcere. Ma una particolarità dei racconti di mio padre di quel tempo mi è rimasta impressa: ciò che raccontava a me finiva sempre con le parole “il sistema sovietico è il più giusto” e “tutto nell’URSS va bene” in modo che, Dio non voglia, io non mi lasci sfuggire una parola di troppo. Era il suo modo di proteggere me, la più giovane. Mia sorella non lo ricorda. Lui ci lasciava certi libri da leggere: su Roksolana, sul compositore Berezovsky. In un posto segreto sullo scaffale si celava il libro di Ivan Bilyk “La spada di Arey” [romanzo storico dello scrittore ucraino, che è diventato un bestseller dopo la sua pubblicazione nel 1972, ma non adattandosi all’ideologia del regime totalitario, il libro è stato bandito, rimosso dalle biblioteche, una parte della tiratura è stata distrutta]. L’ho guardato per tutta la mia infanzia pensando: che cosa si poteva scrivere in un libro perché prima venisse pubblicato e poi vietato? L’ho letto già dopo il 1991, quando ero pronta a capire.

È giunto il momento per me di iscriversi all’università. Era l’Università di medicina di Vinnytsia, la nostra università ucraina, in cui quasi tutte le materie venivano insegnate in russo. Non posso dimenticare come alle lezioni di matematica ho sempre chiamato la derivata con il termine ucraino anziché quello russo… Ma sapendo bene la matematica questo non mi ha mai sbilanciato, cosa che non posso dire di altre materie. Ricordo che, nonostante tutto ciò, noi studenti di lingua ucraina non piangevamo affatto che venivamo “lesi”, stringevamo i denti e proseguivamo verso il nostro obiettivo.

i miei genitori col nipotino

Ancor mentre ero all’università mi sono sposata, al quarto anno è nato mio figlio maggiore, che passava più tempo con i miei genitori a Khmelnytskyi che con me. Ho studiato e i miei genitori hanno lavorato e cresciuto mio figlio. Le sue ninnenanne erano “Hutsulka Ksenia”  e “Là, sotto il castello di Lviv” [uno dei più famosi canti dei ribelli ucraini degli anni 1942-1954], cantate dalla mia amata nonna. Mi sono laureata nel glorioso anno 1991, siamo l’ultimo anno di medici dell’Unione Sovietica. Dopo l’agosto del 1991 , quando il “GKCP” è diventato storia, ho sentito per la prima volta “Oh, c’è un viburno rosso nel prato…” [la famosa canzone popolare ucraina, che dopo l’inizio dell’invasione su vasta scala nel 2022 è diventata un simbolo di resistenza ed è stata cantata da molti artisti moderni ] Inizia l’era di Chornovol e del “Movimento popolare” , quella forza politica, che ha fatto di più per l’indipendenza del nostro paese.

Finito il congedo di maternità dopo la nascita del mio secondo figlio, ho deciso che era giunto il momento di passare alla lingua ucraina nel mio lavoro. All’inizio era un poco difficile per la mancanza di letteratura specializzata, ma il desiderio era grande, ecco perché avevo superato tutte queste difficoltà in pochi mesi. I miei genitori hanno continuato a lavorare, il papà ha continuato a scrivere articoli, sono apparse le sue monografie in ucraino. Nel 2002 è stato pubblicato il primo libro di testo fondamentale di mio padre sulla teoria dei meccanismi e delle macchine in lingua ucraina, sotto l’etichetta “Scuola Superiore”. I colleghi russi hanno chiesto di tradurlo integralmente, ma mio padre non ha acconsentito. È stata fatta la traduzione della versione abbreviata. Tra l’altro, gli studenti russi studiano ancora sui libri di testo di mio padre. Mio padre non era semplicemente uno scienziato, era un vero educatore. Le sue raccomandazioni sono state sviluppate per creare un nuovo sistema di istruzione secondaria, e su questo ha posto cose semplici, ma molto importanti: “Non puoi costruire una casa senza fondamenta, non tutti i bambini sono uguali, non si deve sviluppare complesso di inferiorità in una persona, è necessario tornare ancora una volta al materiale mancato o incompreso”.

Mio padre sognava una nuova, forte Ucraina. Ricordo come nel 2004, durante la Rivoluzione arancione , mio ​​padre era molto preoccupato: “Non può essere, non ci faranno vincere, è irreale!” Che esultanza che c’era quando abbiamo vinto! Quante speranze e aspettative c’erano! Poi abbiamo percepito tutti come è diventato più facile respirare, poiché la libertà è diventata la nostra realtà.

La fase successiva è il periodo di un’altra recessione durante la presidenza di Yanukovich, una pazzesca pressione su tutti gli Ucraini consapevoli, la coltivazione di una storia mitica con dei “nazisti” e un gran numero di persone che non si rendeva conto della reale minaccia del nostro vicino “fraterno”. Molti non capivano il grado della russificazione forzata, considerandosi Ucraini russofoni per loro propria “scelta”, né la portata della propaganda che andava avanti da decenni avvelenando il cervello della popolazione.

E ora – con il vento di guerra – la maggioranza è arrivata a capire che è il nemico di sempre dell’Ucraina non dormiva, stava forgiando la sua potenza. Come si è scoperto, ha “impiantato” per decenni i propri agenti, rafforzando la quinta colonna in tutte le sfere della vita della società, incluso la Chiesa (si veda, ad esempio, un rapporto speciale del Royal United Services Institute for Defence and Security Studies (RUSI).

È arrivata la consapevolezza che per l’Ucraina la LINGUA oggi è una questione di sicurezza nazionale. Dopotutto, se parli l’ucraino, non verranno a “proteggerti” come popolazione russofona.

Confesso francamente, mi sento in colpa perché dopo aver ricevuto un regalo come l’Indipendenza dell’Ucraina, la nostra generazione non è riuscita a diventare abbastanza forte per proteggerla. Capisco che non tutto dipendeva da noi, che siamo lo stesso “homo sovieticus”, che a quel tempo creava famiglie, dava alla luce bambini e andava alle manifestazioni, faceva conversazioni rivoluzionarie a porte chiuse a casa, andava alle elezioni, dove i nostri voti non avevano alcuna importanza.

Ma durante questo periodo è cresciuta una generazione dei nostri figli: la gioventù progressista, che non si lascia ingannare, che parla bene più lingue europee. La loro lingua madre è l’ucraino e, cosa più importante, sono pronti a difenderla, sono in grado di difendere il nostro stato!

Sono addolorata perché i miei genitori, nati nel 1939, l’anno dell’inizio della seconda guerra mondiale, hanno lasciato questo mondo nel 2023, sempre durante la guerra (veri figli della guerra). Sono morti a distanza di 12 giorni, come al solito: per primo il papà e la mamma a suo seguito, senza veder arrivare la nostra Vittoria, ma, credo, con fiducia in essa e in tutti noi!

Foto di apertura: mio Padre Prof. Yaroslav Kinytskyi

Tutte le foto sono dell’autrice