10 agosto 1946: l’Italia, in ginocchio dopo la Seconda Guerra Mondiale, in cui Mussolini e il fascismo l’avevano impelagata, si leccava le ferite e aspirava a rinascere. I lutti recentissimi di milioni di famiglie italiane, che tutto avevano perduto nell’immane conflitto e in particolare molti loro cari (padri, figli, parenti, periti nei campi di battaglia dal Don ad El Alamein etc., senza contare una generazione di bambini, inghiottita da tifo, paratifo, meningite ed altre malattie legate alla miseria, alla fame e al sottosviluppo), condizionavano pesantemente la quotidianità. L’avvenire del nostro Paese, ridotto ad un cumulo di macerie, sembrava segnato da un destino avverso: molte città erano rase a suolo, le poche fabbriche bombardate e incenerite, le materie prime per la ricostruzione inesistenti. Tra mille ostacoli, solo l’agricoltura tentava faticosamente di riprendere i suoi ritmi.

Per quanto riguarda la Sicilia, poi, il separatismo faceva adepti e c’era perfino chi, mentalmente fuori dalla realtà, immaginava l’isola del sole federata agli Stati Uniti d’America. “Italia 49° Stella”, si vociferava qua e là in diverse piazze siciliane senza convinzione né costrutto logico.

L’orgoglio e la dignità nazionale erano a pezzi.

Prima seduta dell’Assemblea costituente, 25 giugno 1946 – dati.camera.it, CC BY 4.0, da commons.wikimedia.org

In queste condizioni, toccò ad Alcide De Gasperi, nella duplice funzione di presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, rappresentare alla Conferenza di Pace di Parigi l’Italia, paese sconfitto che aveva ottenuto qualche concessione morale nella fase finale della guerra, grazie alla cobelligeranza a fianco degli Alleati. Guardato con sospetto dai vincitori, isolato nel consesso internazionale anche perché molti vedevano in lui il rappresentante di un Paese voltagabbana, ex-alleato dei nazisti, Alcide De Gasperi, in una atmosfera insostenibile anche per chi era destinato ad essere ricordato come uno dei più grandi statisti della Penisola, pronunciò, il 10 agosto 1946 (sono trascorsi pertanto 77 anni dall’evento), guardandosi bene dal vestire i panni del penitente, un memorabile e coraggioso discorso, che scosse i partecipanti alla Conferenza e contribuì a ridare fiducia ad una nazione prostrata dalla guerra, ma decisa a rialzare il capo nel segno della democrazia.

Celebre l’esordio che merita una rimeditazione: “Prendendo la parola in questo Consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex-nemico, che mi fa considerare come imputato e l’essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione”. Subito dopo, pur scrutato con la morbosità curiosità riservata agli imputati dei grandi processi, in umiltà, con equilibrio, ma anche con la dignità e la determinazione di chi brama il riscatto, fece valere le ragioni del popolo italiano ed invocò, citando Wilson, “una decisione giusta ed equa, non già una decisione che eternasse la distinzione tra vincitori e vinti”.

Il suo appello finale a “dare respiro e credito alla Repubblica d’Italia: un popolo lavoratore di 47 milioni… per creare un mondo più giusto e più umano”, fu parzialmente accolto, ma, grazie al suo intervento, l’avvenire della nuova Italia apparve subito agli occhi del mondo sotto una luce più favorevole. È appena il caso di ricordare che, il 10 agosto 1946, la Repubblica Italiana era ai suoi primi passi, essendo nata in seguito ai risultati del Referendum istituzionale del 2 giugno 1946.

Dopo aver pronunciato il suo discorso, nel silenzio glaciale delle delegazioni presenti, completamente spiazzate dalle sue parole, De Gasperi raggiunse il suo posto nel settore riservatogli. Fu allora che James Byrnes, Segretario di Stato degli Usa, si alzò e corse a stringergli calorosamente la mano.

L’Italia, una, democratica e repubblicana, riprendeva il suo posto tra le nazioni civili.

 

Foto di apertura: Alcide De Gasperi, Presidenza Del Consiglio Dei Ministri – Pubblico dominio da commons.wikimedia.org