Educare è una parola che deriva dal latino “educere” ovvero tirare, trarre fuori.

La scuola in carcere potrebbe essere tra i migliori dei progetti attualmente presenti se si ponesse questo come unico obiettivo. Educare per trarre fuori.

Banalmente niente di più azzeccato.

Peccato che però tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

La tipologia di scuole presenti sono prevalentemente istituti tecnici, che rispetto alle scuole professionali o alberghiere hanno molto poco senso. Quanti detenuti avranno modo di essere poi ragionieri praticanti?

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

La tipologia di scuola scelta, dovrebbe essere dettata da un pensiero di fondo che spesso viene a mancare, perché è tutta una questione di fondi e di convenienza dettati dai territori. Stabilito il tipo di scuola, giusto o sbagliato che sia, il personale assegnato non ha moltissima libertà di movimento dato il luogo. Le classi sono miste, i detenuti spesso si assentano per processi, punizioni, colloqui con il magistrato o l’educatore, o con i famigliari. Quello che si richiede a qualsiasi tipo di scuola è un’impronta di massima inclusione.

Una mission che abbia come unico scopo quello di educare, nel senso letterale della parola. Obiettivo: educere.

Ma per milioni di motivi, si finisce sempre per far vincere la routine.

Infondo per gli insegnanti è una cattedra comoda.

Non ci sono colloqui con le famiglie. Classi con numeri risicati. Materiale poco. Fondi quasi inesistenti.

E come qualsiasi cosa comoda, finisce poi per trasformarsi in mera routine, senza un minimo di entusiasmo.

Se anche uno, o due insegnanti, hanno la voglia di salvare il mondo, il collegio docenti le riporta alla situazione, che in modo innegabile inneggia al vile tempo comodo.

Così sia dentro, che fuori, la scuola smette di educere, e porta avanti programmi a volte incomprensibili per qualcuno, troppo poco per altri.

Le classi non sono mai bilanciate, sono miste per età e competenze.

Puoi avere un medico, o un giornalista plurilaureato, un uomo extra comunitario che non capisce la lingua italiana, e un ragazzo che non ha voluto studiare quando avrebbe dovuto.

Così la scuola si trasforma in passatempo.

Perché infondo in qualche modo il tempo deve passare, e di certo questo è tra i modi migliori.

Ma in realtà è il modo meno peggiore.

Il carcere come la scuola avrebbe bisogno di educatori ed insegnanti appassionati.

Di tutor capaci di sopportare la condizione e supportare il recluso nel suo percorso.

Il carcere avrebbe bisogno di scuola che credono ed investono sul significato di educere, perché lo scopo della scuola che sia dietro le sbarre o furori dalle sbarre dovrebbe essere quello di dare un’opportunità.

Nel nostro caso un’altra opportunità.

Foto di apertura: Vinson Tan ( 楊 祖 武 ) da Pixabay