La Belt and Road Initiative (BRI) e la Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII) sono due iniziative differenti ma correlate nell’intenzione di promuovere lo sviluppo economico internazionale e la connettività infrastrutturale nei Paesi a medio e basso reddito del Sud del mondo, nell’ottica di superare le disparità e raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG, Sustainable Development Goals) delle Nazioni Unite per il 2030.

Belt and Road Initiative (BRI)

La Belt and Road Initiative, nota anche come iniziativa «One Belt, One Road» o «Via della Seta», è un imponente progetto infrastrutturale e di sviluppo economico avviato dalla Cina di Xi Jinping nel 2013.

La Via della Seta

La Via della Seta in una rappresentazione grafica del 2016, Wikimedia Commons

Il nome si riferisce ai due componenti principali del progetto:

– la «Cintura» (Belt) rappresenta una rete di corridoi terrestri che collegheranno la Cina all’Europa attraverso l’Asia centrale e il Medio Oriente;

– la «Strada» (Road) coincide con una rete di rotte marittime che collegheranno la Cina al Sud-Est asiatico, all’Asia meridionale, all’Africa e all’Europa attraverso il mar Cinese Meridionale e l’oceano Indiano.

La BRI punta a migliorare il commercio, gli investimenti e la connettività infrastrutturale tra i Paesi partecipanti, attraverso la costruzione di strade, ferrovie, porti, condutture e altri progetti. L’iniziativa abbraccia tutta l’Asia, l’Europa, compresa l’Italia, l’Africa e si estende anche ad alcune parti dell’America Latina.

La Cina ha fornito finanziamenti e prestiti, che provengono in gran parte dal governo cinese e fluiscono attraverso imprese di proprietà statale, per molti di questi progetti, suscitando preoccupazioni sulla sostenibilità del debito, sulla trasparenza e sulle implicazioni geopolitiche con uno Stato formalmente autocratico.

Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII)

Nel 2021, il presidente americano Joe Biden, in collaborazione con il Gruppo dei Sette (G7), ha lanciato la Build Back Better World Initiative (“B3W”), un programma di investimenti infrastrutturali concepito per competere con la BRI.

Nel 2022, al vertice del G7 in Germania, è stata formalmente lanciata la Partnership for Global Infrastructure Investment (PGII), rilanciata nei successivi vertici (G7 di Hiroshima e G20 di Nuova Delhi).

La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato al G20 di Nuova Delhi che il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC), o «Via del Cotone», rappresenta un progresso nella PGII.

PGII conta di mobilitare investimenti in quattro aree principali: energia pulita, connettività digitale, salute e uguaglianza di genere. Questi settori, escluso l’ultimo, sono gli stessi nei quali la BRI si è espansa negli ultimi anni.

La PGII differisce dalla Belt and Road in due caratteri fondamentali: in primo luogo mira a promuovere investimenti infrastrutturali di alta qualità (infrastrutture a basso rischio ambientale, rischio sociale, rischio di governance) e che riflettano i valori occidentali; in secondo luogo la maggior parte del suo capitale sarà raccolta attraverso il settore privato sotto forma di partenariati pubblico-privati.

Lo sviluppo delle due iniziative e lo stato attuale

La Cina ha cercato attivamente per anni partenariati e collaborazioni con altri Paesi e organizzazioni internazionali, che hanno firmato accordi e partecipato a progetti legati alla Belt and Road Initiative.

Fin dall’inizio il Dragone ha dominato l’ambito degli investimenti infrastrutturali nelle economie emergenti e in via di sviluppo, eclissando ampiamente i finanziamenti provenienti dagli Stati Uniti e dall’UE e superando persino quelli delle banche multilaterali di sviluppo come la Banca Mondiale.

La Cina ha ottenuto molti vantaggi economici e al tempo stesso ha utilizzato la Belt and Road Initiative per costruire soft power e rafforzare le alleanze politiche con molti Paesi del Sud del mondo.

Gli investimenti nei grandi progetti infrastrutturali si sono però ridotti negli anni per il gran numero di progetti non redditizi della prima fase dell’iniziativa e per la risonanza mediatica di alcuni progetti con ricadute negative sia ambientali sia debitorie sui Paesi partecipanti.

La Partnership for Global Infrastructure and Investment è sembrata arrivare quasi in affanno a ridosso dell’iniziativa cinese e, pur avendo registrato l’adesione di soggetti come Unione Europea, India e Arabia Saudita, non ha ancora raggiunto il peso finanziario e la collaborazione attiva necessari a determinare un meccanismo di coordinamento generale, transnazionale e specifico per tutti i Paesi del G7.

L’obiettivo è di mobilitare 600 miliardi di dollari da parte del G7 entro il 2027.

I progetti finora presentati riguardano in Asia l’Indonesia, con iniziative di energia pulita e telecomunicazioni, e l’India, che si è assicurata oltre 15 milioni di dollari in investimenti da parte della U.S. International Development Finance Corporation (DFC) statunitense per le infrastrutture sanitarie.

Il programma Global Gateway dell’UE prevede di avviare 300 miliardi di euro di investimenti per progetti di connettività vitali tra il 2021 e il 2027, per metà in Africa.

L’iniziativa comprende nel complesso oltre 90 progetti in Africa, America Latina, Caraibi, Asia-Pacifico e Balcani occidentali.

Le prospettive

Nel 2022 così si esprimeva Elizabeth Losos, ricercatrice senior presso il Nicholas Institute for Energy, Environment & Sustainability della Duke University: «Se PGII e BRI proseguissero entrambe nel tentativo di raggiungere i loro ambiziosi obiettivi di qualità e prestiti verdi, ciò potrebbe innescare una “corsa verso l’alto”. Se entrambe dovessero competere per fornire infrastrutture verdi e di alta qualità nei mercati emergenti e in via di sviluppo, ciò sarebbe vantaggioso per tutti».

In qualche modo e da più osservatori ciascuna delle iniziative veniva presentata in positivo nel mondo occidentale, anche se l’autorevole redattore capo di Asia Sentinel, John Berthelsen, commentava nello stesso periodo che la PGII è «insufficiente nelle risorse, arriva troppo tardi e l’infarinatura dei progetti impallidisce di fronte ai vasti investimenti infrastrutturali di Pechino».

Biden e Von der Leyen

Biden e Von der Leyen all’incontro per la PGII nel summit del G20 a Bali in Indonesia, novembre 2022, Wikimedia Commons

In realtà, quella dell’Occidente sembra essere più una tardiva, sorda opposizione all’iniziativa cinese, che rilancia una collaborazione India-Medio Oriente-Europa per disarticolare sul piano economico le relazioni della Cina con l’India (parte dei BRICS), in questo caso facendo perno su un vecchio antagonismo, e con i Paesi arabi (anche l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno chiesto l’ingresso nei BRICS).

L’inquietudine che gli Stati Uniti hanno verso la fine della propria egemonia e lo sviluppo della strategia del containment contro l’affermarsi di un nuovo ordine internazionale – già visibile nell’occasione rappresentata dalla guerra in Ucraina per indebolire la Russia e nel possibile allargamento della NATO in Asia in funzione anti-cinese – sembra affiorare anche dall’annuncio della nuova Via del Cotone, in un G20 dominato dalla crisi della governance mondiale. E la Cina da parte sua replica.

Il rischio è che non prevalga la linea delle opportunità cui si riferiva la Losos ma quella della rivalità senza esclusione di colpi, tra due mondi ormai incapaci di parlarsi ma in un sistema economico internazionale fatalmente interconnesso.

Immagine di apertura: Strada nello Xinjiang, immagine di JuniperPhoton, Unsplash