Non basta issare virtualmente la bandiera di Israele o dell’Ucraina sui social network per entrare di diritto nella categoria dei “buoni della terra”. Quando scoppia un conflitto non c’è più distinzione manichea e morale (moralistica?) tra i buoni e i cattivi perché scatta l’eterogenesi dei fini. Al principio di azione succede quello di reazione. E le ragioni dei conflitti sono carsiche, hanno radice profonde e richiedono spiegazioni complesse. Forse come ogni problema della vita. Dunque è puerile fare gli ultrà. È ovvio che abbiamo tutti orrore per la strage di Hamas ma questo è a priori che non ha bisogno di essere sottolineato. Ogni morto della strage però non richiede vendetta. La morte non deve necessariamente chiamare morte. E ogni caduto sul campo è un oltraggio alla vita, alle profonde ragioni della pace per ognuno delle decine di conflitti sparsi per l’orbe terracqueo, all’interno della famiglia unica di sette miliardi di essere umani. La geopolitica sparge trappole sulle spiegazioni di quanto è successo. Come sottolineato dalla stampa israeliana (di destra o di sinistra non importa, capofila Haretz) per l’innesco della strage il migliore alleato di Hamas è stato Netanyahu.

Benjamin Netanyahu – – Foto da wikipedia.org – CC BY-SA 3.0

Dal 1996 onnipresente in una politica che non ha guardato alla pace. L’antico slogan: “Due popoli, due Stati” non ha mai avuto compimento. Così come la ratio di Oslo o di Abramo ha congelato e non ha fatto evoluire un fermo immagine del ghetto di Gaza dove una popolazione palestinese senza diritti è stata preda dell’ala terroristica. Minoranza dinamitarda ed assassina quella di Hamas ma che non ci permette di condannare, di affamare, di far morire un intero popolo. Quando le Brigate Rosse, grazie anche al richiamo mediatico dell’incredibile rapimento di Moro, diedero corpo a un reclutamento massiccio di adepti nelle fabbriche, gli italiani certo non si meritarono in toto l’etichetta di “popolo del terrorismo”. Così il distinguo è necessario. Forse più che nel conflitto europeo una deflagrazione e un allargamento delle tensioni è dietro l’angolo. Il nascente governo di unità nazionale israeliana si dovrebbe muovere sul crinale della ragionevolezza e del compromesso non cavalcando l’input della legge del taglione. La potenza nucleare di Israele, l’eccellente reputazione dei propri spregiudicati servizi di sicurezza e spionaggio (Mossad) sono stati messi tra parentesi da un’azione eversiva fatta artigianalmente di pizzini, di passaparola con un effetto sorpresa sconvolgente. Ignorando l’avvertimento di quanto si preparava, suggerito dagli egiziani. La pila del conflitto bolliva e l’aumento della temperatura ha rovesciato il coperchio e provocato la combustione con un capitolo nefando di orrori. Ha ragione lo storico Barbero quando, riconoscendo i diritti della Palestina, evita di paragonare la politica israeliana e la sua durezza al giogo nazista. Ma è ovvio che in quella parte del mondo, in quella geografia arroventata, l’omeostasi è ben lontana dall’essere centrata. L’Occidente farebbe bene a indagare sulle proprie colpe, sulla supina aderenza atlantica. L’Unione Europea, serva sciocca della Nato, mai incapace di una sterzata, di un pensiero autonomo nell’interesse del vecchio continente (e non degli Stati Uniti) è stata già punita sul versante libico quando Gheddafi, pur crudele dittatore, comunque garantiva un equilibrio oggi ampiamente sbriciolato. Gli italiani, anche se non pienamente responsabilizzati e coscienti, si faranno una ragione su quanto sta succedendo pagando un conto salato all’inverno per bollette di gas e luce mentre il conflitto russo-ucraino sembra infinito, pur se messo in secondo piano da altra attualità bellica.

Foto di apertura di hosny salah da Pixabay