Abbiamo più volte auspicato in questa rubrica che la campagna per le elezioni europee 2024 si svolgesse su temi effettivamente europei. Qualche progresso in questa direzione lo si sta notando. Su alcune sfide epocali (transizioni ambientale ed energetica, con le attese ripercussioni su agricoltura e industria; controllo delle migrazioni vs. accoglienza umanitaria; rispetto dello Stato di diritto e delle libertà fondamentali ecc.), i dibattiti stanno assumendo una dimensione continentale relativamente omogenea, nella quale le ragioni del progresso e della conservazione si affrontano a viso aperto.

Ciononostante, la lotta politica a livello nazionale sembra ancora pressochè monopolizzare l’attenzione delle opinioni pubbliche, con il voto di giugno che viene per lo più concepito come un grande sondaggio elettorale. Temiamo inoltre che le opzioni che appariranno sulle schede elettorali a giugno si presenteranno meno omogenee e più dispersive di quanto non sarebbe lecito attendersi dalle liste delle “famiglie politiche europee”.

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Curiosa l’espressione utilizzata per caratterizzare queste forme di aggregazione. Si ricorre infatti ad un termine molto emotivo e vibrante come “famiglie”, cogliendo paradossalmente l’incrocio e la coabitazione tra un legame affettivo unitario, ereditato o creato, ed interessi ed aspirazioni individuali non sempre convergenti. Torna in mente allora quel film di qualche anno fa, “Parenti serpenti”, a proposito del quale si constatava che “più stretta è la parentela tra i litiganti, maggiore sarà l’accanimento che ognuno avrà nei confronti dell’altro”. Nessuna delle principali “famiglie politiche europee” è esente da queste controversie o differenziazioni interne. Basta ricordare due votazioni dei mesi scorsi al Parlamento Europeo, nelle quali non sono state sempre rispettate le tradizionali posizioni delle diverse “famiglie politiche” e si son viste fratture abbastanza clamorose e contraddittorie.

Nel voto al Parlamento Europeo del 12 luglio 2023 sulla legge sul ripristino della natura (elemento chiave del c.d. “EU Green Deal”) era saltata la manovra del capo gruppo del PPE, Manfred Weber, di rigettare il disegno di legge, proposto dalla Commissione Europea e accettato a maggioranza dal Consiglio Europeo. Il Parlamento Europeo aveva infatti approvato il disegno di legge con 336 voti favorevoli, 300 contrari e 13 astenuti, risultando al riguardo cruciali una ventina di europarlamentari del PPE che si erano dissociati dall’indicazione negativa del gruppo. Una vittoria, sia pur di misura, dei sostenitori della “maggioranza Ursula” e una sconfitta degli architetti del “ribaltone a destra”.

Nella votazione del 22 novembre 2023, sulle proposte di modifica dei Trattati, si è registrato, invece, un forte scricchiolio della maggioranza attuale, con divisioni che hanno attraversato tutti i gruppi “europeisti”, che pure avevano negoziato precedentemente un testo unitario di compromesso: nel Partito Popolare Europeo, ben 79 contrari e 27 astenuti, a fronte di soli 46 favorevoli; tra i socialisti, 97 favorevoli, 20 contrari  e 2 astenuti; tra i liberali di Renew 72 favorevoli, 17 contrari e 2 astenuti; tra i Verdi, 55 favorevoli e 9 astenuti; nel gruppo di Sinistra, solo 6 favorevoli, 23 contrari e 2 astenuti; tra i Non Iscritti (dove siedono anche i Cinque Stelle), 15 favorevoli, 21 contrari e 2 astenuti. Compatti solo i “sovranisti” delle due famiglie (62 contrari tra i Conservatori e Riformisti Europei e 52 di Identità e Democrazia).

In realtà, i commentatori politici non si sorprendono più di tanto di questa “fluidità” dell’Europarlamento, che spesso sembra rispondere più a priorità di politica nazionale che non a posizioni consolidate a livello continentale.

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Nel Partito Popolare Europeo è nota la forte trazione tedesca (CDU/CSU), con i due partiti attualmente all’opposizione in patria e quindi condizionati anche dalle trame per il rinnovo della “leadership”, dopo l’uscita di scena di Angela Merkel. Ma la crisi era cominciata già più di una decina di anni fa, quando David Cameron aveva imposto l’uscita dei Tories dal PPE e aveva dato inizio alla nota trattativa anglo-europea per la permanenza di Londra nell’Unione e alla successiva consultazione referendaria, che ha portato poi alla Brexit. Essere moderato e contemporaneamente europeista diventava da quel momento un difficile esercizio di equilibrio. Imbarazzante al riguardo la vicenda di Orban e del suo partito, rimasti sino a poco tempo fa nel PPE nonostante l’involuzione autoritaria e sovranista conosciuta dall’Ungheria.

Neanche sul fronte progressista la coerenza è sempre cristallina. Il Partito dei Socialisti Europei (PSE) annovera ben 33 partiti membri, 13 associati e 16 osservatori. Un caleidoscopio di sigle ed anche talvolta di sfumature politiche o differenziazioni nazionali non trascurabili su obiettivi centrali del progetto europeo. Ha fatto una certa impressione che, in Slovacchia, abbia vinto le ultime elezioni, su posizioni sovraniste e sostanzialmente filo-Putin, il Partito Socialdemocratico guidato da Robert Fico. Ora l’appartenenza al PSE risulta sospesa, vedremo se e quando farà seguito l’espulsione.

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Oggi, però, la litigiosità e la concorrenza interna risultano massime soprattutto a destra. Non tanto sulla chiara presa di posizione anti-federalista di entrambe le “famiglie politiche” che operano nel Parlamento Europeo (Conservatori e Riformisti Europei/ECR ed Identità e Democrazia/ID), quanto piuttosto sul frastagliato crinale che dovrebbe in teoria separare i conservatori dai reazionari. In prima approssimazione, è questo il criterio che si applica per caratterizzare i due gruppi, con una certa propensione del PPE a cercare il dialogo con ECR (soprattutto con la sua presidente Giorgia Meloni, che ha saputo costruire un buon rapporto con Ursula Von der Leyen) e a rifiutare invece ogni interlocuzione con i gruppi dell’ultradestra (soprattutto AfD/Alternative fur Deutschland ma anche FN/Front National). Poi però Orban, sempre più considerato un “paria” liberticida in Europa, aderisce a ECR. E con lui vuole entrare anche il gruppo del francese Zemmour, che sembra aver scavalcato a destra Marine Le Pen…

Non vogliamo andare oltre nella cronaca della “campagna acquisti” in vista delle elezioni di giugno, solo fornire qualche esempio per dimostrare quanti “parenti serpenti” popolano le cosiddette “famiglie politiche europee”.

Ci augureremmo comunque di essere smentiti dalle conclusioni dei due congressi europei, che il PSE si appresta a tenere a Roma dall’ 1 al 3 marzo ed il PPE a Bucarest dal 6 al 7 dello stesso mese. Speriamo che i programmi elettorali che verranno adottati in quelle assisi restituiscano smalto e credibilità ad una visione condivisa del rilancio del processo di integrazione europea.

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