Prima ancora di illustrare ai nostri lettori le scelte che potranno fare nelle urne delle prossime Elezioni Europee nella primavera 2024, bisognerà forse persuaderli ad andare a votare.

Ha proprio ragione Alessandro Costa. Bisogna spiegare ai cittadini tante cose sull’Europa. A cominciare dalla domanda più prosaica: “Che cosa ce ne può venire in tasca?”

Segnaliamo al riguardo uno studio del Servizio Ricerca del Parlamento Europeo, “Accrescere il valore aggiunto europeo in un’epoca di sfide globali, mappatura del costo della non Europa 2022-2032”.

Foto da www.multimedia.europarl.europa.eu/

Lo studio analizza 50 settori strategici della UE, riconducibili a 10 macro aree (1. Mercato unico classico e spazio unico dei trasporti; 2. Trasformazione verde; 3. Trasformazione digitale; 4. Unione economica e monetaria; 5. Istruzione, programma di ricerca finanziato dall’UE e cultura; 6. Politica sanitaria comune dell’UE; 7. Occupazione, mobilità, questioni sociali e di coesione; 8. Giustizia e Stato di diritto; 9. Parità di genere, non discriminazione e diritti civili; 10. Cooperazione internazionale, azione esterna e governance globale). L’analisi dei singoli settori e delle loro interrelazioni, con o senza l’apporto dell’Unione Europea, porta ad ipotizzare tre possibili scenari per il decennio 2022-2032:

  1. la continuazione dello “status quo”, a politiche invariate, senza una sostanziale azione aggiuntiva dell’UE, che si tradurrebbe in un tasso di crescita medio annuo del PIL in termini reali dell’1,3%;
  2. l’avvio di un’azione collettiva che risponda ad una strategia integrata UE in linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, che porterebbe ad un tasso di crescita medio annuo del PIL in termini reali del 2,9%
  3. lo scivolare verso una frammentazione, con una perdita di efficacia dell’azione dell’UE a causa di posizioni divergenti tra gli Stati membri, che limiterebbe il tasso di crescita medio annuo del PIL in termini reali allo 0,6%.

In soldoni, quindi, la differenza sarebbe di circa 2800 miliardi di euro tra lo scenario B e lo scenario A e di circa 5000 miliardi di euro tra lo scenario B e lo scenario C. Queste cifre vengono significativamente definite come “costo della non Europa”, ovvero il prezzo dell’inazione o peggio ancora della regressione.

Se consideriamo che, a spanne, il PIL del nostro Paese è grosso modo un decimo del totale della UE, cio’ significherebbe, nell’invarianza degli altri elementi, un costo per noi dell’inazione pari a circa 280 miliardi di euro ed un costo della regressione pari grosso modo a 500 miliardi di euro. Più dei fondi che riceviamo complessivamente dallo EU Next Generation (circa 240 miliardi) nel caso dell’inazione e oltre il doppio nel caso della regressione.

Pensiamoci.

Foto di apertura da https://multimedia.europarl.europa.eu/