«Siate realisti, pretendete l’impossibile». Fra i tanti slogan apparsi sui muri della Sorbona a Parigi nel famoso Maggio ’68, è forse questo il più ardito e degno dell’uomo, che si realizza nella tensione al superamento dei propri limiti. Selezionando idee, utopie e opinioni con l’obiettivo di una netta discontinuità con la storia, di cui intendevano fare tabula rasa, i giovani della Contestazione globale, che partirono all’assalto del cielo per abbattere il “sistema”, accolsero la sfida dell’ignoto e della libertà.

Tuttavia, sbandierando i nomi di Mao, Marx e Marcuse, finirono per trovarsi imbrigliati in ideologie già all’epoca in fase di superamento. Non sapevano, ad esempio, che, alcuni anni prima, un uomo giusto dalla vista acutissima, non solo aveva realizzato imprese “impossibili”, ma aveva aperto i sentieri della libertà ed interpretato concretamente le esigenze della pace nel mondo. Aspettava soltanto che altri raccogliessero il testimone per creare un fronte compatto contro la guerra, a favore della scelta della fratellanza universale.

Era un uomo venuto dall’estremo sud-est siciliano, da uno degli ultimi avamposti meridionali del continente europeo. Il suo nome era Giorgio La Pira (Pozzallo, 9 gennaio 1904 – Firenze, 5 novembre 1977), padre costituzionale, sindaco di Firenze, uomo capace di trasformare in realtà istanze utopiche che i massimi esperti di politica internazionale del tempo derubricavano a pura follia. D’altra parte, quale persona nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, in uno dei momenti più tragici dell’immane disastro della guerra in Vietnam, avrebbe mai scommesso un centesimo sulla possibilità di andare a incontrare a Hanoi Ho Chi Minh, presidente del Vietnam del Nord, per creare le premesse di una pace ritenuta impossibile e porre fine al conflitto con gli USA?

Rifiutando la convinzione generalizzata che con il Vietnam del Nord, alleato della Cina e dell’Unione Sovietica, non fosse neppure possibile interloquire, Giorgio La Pira raccolse la sfida dell’impossibile e partì da Firenze il 20 ottobre 1965. In tasca aveva pochi spiccioli e un visto per Varsavia; in una valigetta qualche indu­mento e la riproduzione di una Madonna di Giotto. La sua destinazione era Hanoi ove sperava di incontrare Ho Chi Minh allo scopo, nientemeno, di porre fine alla spaventosa guerra del Vietnam. Con lui c’era un giovane docente universitario, Mario Primicerio, poi sindaco di Firenze dal 1995 al 1999, come La Pira lo era stato dal 1951 al 1957 e poi dal 1961 al 1965.

Da notare che, nel 1965, Amintore Fanfani, già presidente del Consiglio dei Ministri e ministro degli Esteri, grande amico di La Pira, di cui ammirava le coraggiose azioni per la pace nel mondo, era presidente dell’Onu a New York. All’epoca, segretario generale dell’Onu era U Thant. Queste informazioni si possono trovare nel testo “La Pira: l’uomo dei sogni che si avverano” di Sergio Lepri, caporedattore del fiorentino “Giornale del mattino”, per molti anni docente alla Luiss, e nel volume di Mario Primicerio (“Con La Pira in Vietnam”, Polistampa, 2015). Arrivato in aereo da Roma a Varsavia, la Pira rimase nella capitale polacca per dieci giorni. Fu questo il tempo necessario all’ambasciatore italiano Enrico Aillaud per ottenere dall’ambasciata del Vietnam del Nord il visto per Hanoi.

Flowers in Hanoi

Donne al mercato di Hanoi Foto di Pierpaolo Letizia

Avventuroso il viaggio di La Pira prima da Varsavia a Mosca, poi da Mosca a Irkutsk in Siberia con un aereo della compagnia so­vietica Aeroflot. Da Irkutsk con un aereo delle linee cinesi riuscì a raggiungere Pechino e infine con al­tro aereo cinese da Pechino arrivò a Hanoi. All’aeroporto della capitale del Vietnam del Nord La Pira fu ri­cevuto da bambini con mazzi di fiori e da funzionari del governo di Hanoi che lo accompagnarono in città. Per qualche giorno La Pira sembrò trascurato, per cui la sua unica attività, oltre la preghiera e la lettura, fu di andare nella chiesa di San Pietro alle 5,30 del mattino per assistere all’unica messa della giornata.

In quel periodo di solitudine a Hanoi, La Pira fu, in verità, perennemente sotto la vigile attenzione del governo comunista guidato da Ho Chi Minh. Tuttavia, come riconosce Mario Primicerio, l’accoglienza di alti esponenti del governo fu amichevole e rispettosa. Si desiderava capire meglio le intenzioni di La Pira prima di organizzare l’incontro con il presidente Ho Chi Minh e il primo ministro Pham Van Dong. «Infatti – asserisce nel suo libro – avemmo una serie di incontri preparatori a livello sempre più alto che convinsero i responsabili che il viaggio non aveva altro scopo che quello di trovare una via di uscita non militare al conflitto in atto e che questa ricerca era basata su una accurata preparazione e una documentata riflessione sulle reali possibilità di intervenire».

Dopo una buona settimana di soggiorno a Hanoi, La Pira ricevette l’invito di recarsi da Pham Van Dong nel palazzo presidenziale. Ivi trovò il primo ministro del Vietnam del Nord che lo aspettava dinanzi al portone in ci­ma alla scalinata d’ingresso. Introdotto in una sala, mentre aspettava di iniziare un colloquio con Pham Van Dong, vide entrare Ho Chi Minh, che lo salutò abbracciandolo. Era l’8 novembre 1965. Il colloquio fra Giorgio La Pira e Ho Chi Minh durò tre ore. Ho Chi Minh che aveva allora 75 anni era vissuto per un certo periodo negli Stati Uniti e poi a Parigi; dal 1946 aveva guidato la guerra contro la Francia e ora si batteva per l’unificazione del paese contro il governo di Saigon e le forze armate americane.

Giorgio La Pira, che conquistò immediatamente la fiducia di Ho Chi Minh, tanto che riuscì nei giorni che rimase a Hanoi a condurlo perfino a messa, andò subito al nocciolo della questione e pose il problema delle condizioni pregiudiziali per arrivare a un negoziato tra il governo di Hanoi e quello americano. Ho Chi Minh espose quattro condizioni: 1) che gli Stati Uniti interrompes­sero i bombardamenti sul Vietnam del Nord; 2) cessassero di introdurre trup­pe e materiale bellico nel Vietnam del Sud; 3) riconoscessero come interlocu­tore il Fronte di liberazione del Vietnam del Sud; 4) fossero disposti ad accettare gli accordi di Ginevra del 1954, cioè l’unificazione del pae­se attraverso una consultazione elettorale.

Pose pure un’altra condizione: che i colloqui, di cui Pechino e Mosca non erano stati informati, rimanessero riservati. La Pira tornò a Roma il 15 novembre grazie a un biglietto aereo per il viaggio di ritorno offertogli da Ho Chi Minh, visto che egli era letteralmente al verde. Tre giorni dopo, Mario Primicerio partì per New York, dove illustrò ad Amintore Fanfani, presidente dell’assemblea dell’O­nu, i risultati dei colloqui. Fanfani si incontrò subito con Goldberg, ambasciatore a­mericano alle Nazioni Unite, e gli consegnò una lettera per il pre­sidente Lyndon Johnson. Il 6 dicembre il segretario di Stato americano Dean Rusk scrisse a Fanfani che la quarta condizione riguardante la consultazione elettorale non poteva essere accettata e Fanfa­ni inviò subito una lettera a Ho Chi Minh per un ultimo tentativo di mediazione.

Busto di Ho Chi Minh Foto di Pierpaolo Letizia

Il 15 di­cembre, senza preavviso, l’aviazione americana riprese i bombardamenti sul Vietnam del Nord; era, dunque, il rigetto della prima condizione. Il 17 dicembre un quotidiano del Mis­souri, il Saint Louis Post and Dispatch, rese di pubblico dominio l’intera questione; era il rigetto della richiesta di Ho Chi Minh della segretezza dell’opera­zione, necessaria per procedere senza l’assenso di Pechino e di Mosca. Come era arrivata la «soffiata» a quel giornale? Evidentemente al Pentagono e al Dipartimento di Stato USA era prevalsa la tesi di una soluzione non politica ma militare del conflitto. Si era convinti che, grazie alla loro potenza tecnologica, gli Stati Uniti non potevano non vincere.

Fu allora che tutta la stampa italiana ed europea si scatenò contro La Pira, sottolineando la speciosa convinzione che la politica non aveva bisogno di profeti e che il sindaco di Firenze era un ingenuo, politicamente incapace e addirittura nocivo. Come tutti sappiamo, la guerra durò ancora otto anni e, alla fine, gli Stati Uniti dovettero ammettere la sconfitta. L’accordo, firmato a Parigi il 2 marzo del 1973 dal segretario di Stato ameri­cano Henry Kissinger e dal rappresentante vietnamita Le Duc To, conteneva esattamente le stesse clausole concordate nel novembre del 1965 da Giorgio La Pira e Ho Chi Minh.

Sappiamo che cosa avvenne nei terribili anni precedenti l’accordo di Parigi. Secondo calcoli americani, il numero dei civili morti o feriti nel Vietnam fu di un milione e 350 mila. Dal gennaio 1961 al 6 gennaio 1973 gli Stati Uniti, in particolare, ebbero 45.931 morti in combattimento, altri 10.296 morti per cause diverse, 303.605 feriti, 1.216 dispersi.

Giorgio La Pira non era nuovo a queste sconfitte politiche – chiamiamole così – ma confidava che la storia prima o poi, come puntualmente avvenne, gli avrebbe dato ragione. Negli ultimi anni della sua vita visse in una clinica di via Venezia a Firenze, affidato alle cure di alcune suore. La sua stanza era piena di libri e di giornali. Sul tavolo spiccavano una foto di papa Giovanni, la Bibbia, lettere e telegrammi con firme illustri: De Gaulle, Ken­nedy, Kruscev, U Thant e tanti capi di Stato a cui aveva scritto numerose missive sempre citando il Vangelo. Una sua lettera diceva: «I teoremi sono due: in un versante c’è la distru­zione della Terra e dell’intera famiglia dei popoli, il suicidio planetario. Nell’altro versante c’è la millenaria fioritura della Terra e dell’intera umanità che la abita. Fioritura carica di pace, di civiltà, di fraternità e di bellezza, la fiori­tura messianica dei mille anni intravista da Isaia, da Ezechiele e da san Gio­vanni. I popoli di tutta la Terra e le loro guide politiche e culturali sono oggi chiamati a fare questa suprema e irrecusabile scelta. Tertium non datur».

Basilica di San Pietro

San Pietro Foto di Carlo Armanni da Pixabay

Chi era Giorgio La Pira? Un “candido”, un “ingenuo”, un “utopista”, un “profeta disarmato”? È chiaro che noi propendiamo per quest’ultima ipotesi. Comprendendo i segni dei tempi alla luce del Concilio Vaticano II ed essendo dotato di vista spirituale acutissima era destinato all’incomprensione, soprattutto in Italia. Subito dopo la sua morte, ci ricorda Sergio Lepri, l’Ansa trasmise un servizio che, sulla base della testimonianza diretta di Mario Primicerio, ricostruiva il viaggio di La Pira ad Hanoi, il suo incontro con Ho Chi Minh e tutta la vicenda che, in un momento di gravi tensioni internazionali, si inseriva in maniera atipica nella storia di quegli anni.

Il servizio dell’Ansa fu ripreso da tutte le agenzie internazionali, tra cui la Reuter, la France Presse e l’Associated Press, e dai più importanti quotidiani e periodici del mondo. Sui giornali italiani, a loro perenne vergogna, neppure una riga. Non immaginavano che La Pira appartenesse allo sparuto gruppo dei veri rivoluzionari, quelli che, rifiutando il senso del limite, hanno compiuto straordinarie imprese: sapevano che erano impossibili, ma non si sono arresi e le hanno realizzate.

Foto di apertura: Pierpaolo Letizia