Malgrado l’avvio della campagna vaccinale, un anno dopo il primo lockdown siamo tornati ai blocchi di partenza. Se è vero che la gestione della pandemia ha posto i Governi di tutto il mondo davanti a una situazione di crisi senza precedenti, non mancano posizioni critiche che sostengono che si sarebbe potuto (anzi, dovuto) agire in modo diverso. Il dottor Francesco Riva, odontoiatra maxillofacciale e Consigliere CNEL, (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) è una di queste voci fuori dal coro e ci ha spiegato quali sono, a suo avviso, le ragioni che ci hanno portati a dichiarare la zona rossa su quasi tutto il territorio nazionale.

Dottor Riva, a un anno dallo scoppio della pandemia in Italia, quali sono le sue valutazioni sulle misure messe in campo per contrastare il virus?

Si sarebbe potuto agire più tempestivamente sin da subito. Io ho chiuso il mio studio almeno dieci giorni prima della proclamazione ufficiale del lockdown. Questo perché durante un Congresso tenutosi a Fiuggi tra febbraio e marzo 2020, il Tenente Generale Nicola Sebastiani, ispettore della sanità militare, nella sua relazione congressuale dichiarò che già nel gennaio 2020 il Governo aveva ricevuto comunicazione del rischio di una grave pandemia. La fonte era affidabile, si trattava dell’intelligence, ma la risposta è stata assolutamente insufficiente. La sanità militare, responsabilmente, ha messo in sicurezza tutto il suo mondo, allertando sui rischi connessi al diffondersi del virus e adottando misure preventive come distanziamento, igiene delle mani etc. Questo ha fatto sì che quando la pandemia è stata ufficialmente dichiarata il mondo militare fosse pronto e in sicurezza.

L’interno di un ospedale – Foto di Daan Stevens su Unsplash

Perché non si è prestato ascolto alla sanità militare?

C’è stato un negazionismo dettato da atteggiamenti “politici”: a seconda dell’interesse dominante in politica si seguono o meno determinati comportamenti. Lei si ricorderà che esponenti politici negavano l’esistenza della malattia in Europa e andavano a fare l’aperitivo senza mascherina. Lo stesso Presidente della Repubblica, volendo dimostrare solidarietà a un popolo che veniva additato come “causa” della malattia, è andato a fare visita a una scuola frequentata da molti bambini della comunità cinese. Addirittura a Fiumicino è stato consentito ad un aereo proveniente dalla Cina di atterrare senza nessuna precauzione e i primi due casi in Italia sono stati appunto due turisti cinesi, un uomo e una donna, poi ricoverati allo Spallanzani di Roma…

Ci sono stati errori di gestione anche in seguito?

Non sono state coinvolte le strutture private nella diagnostica: in una prima fase non era possibile fare i test molecolari al di fuori degli ospedali pubblici e io scrissi anche una lettera a riguardo. Lo ritenevo un atteggiamento monopolista, adottato malgrado gli ospedali pubblici non fossero sufficienti a monitorare l’andamento del contagio. Eppure è prassi consueta che medici e chirurghi ospedalieri abbiano la libertà di rivolgersi a laboratori di analisi privati, se ce ne fosse la necessità. Abbiamo invece assistito a un blocco istituzionale. Allora io lanciai un progetto: lo studio odontoiatrico come sentinella. Il paragone militare di “trincea” non è casuale. Il 98% degli studi odontoiatrici è privato, se qui si fossero eseguiti test molecolari sui nostri pazienti, avremmo messo in sicurezza il nostro personale e saremmo riusciti a creare un ambiente sicuro. Sarebbe stato anche un processo di medicina sociale, perché eventuali positivi sarebbero stati rapidamente messi in quarantena.

E in effetti quella degli odontoiatri e del personale infermieristico dei vostri studi sono categorie molto esposte…

Negli studi odontoiatrici siamo espostissimi, ma pensi in alcune Regioni il personale infermieristico che vi lavora non può ancora fare il vaccino. Eppure ci è stato chiesto di rimanere in attività in quanto essenziali, visto che negli ospedali è stata bloccata qualsiasi attività non relativa al Covid. Qui assistiamo a un fenomeno contrario a quello dei laboratori di analisi, perché lo Stato ha fatto accordi con strutture ospedaliere private per quanto riguarda le prestazioni sanitarie legate al Covid: nel Lazio ad esempio, il policlinico Gemelli e il Campus biomedico sono stati accreditati come centri Covid. Paradossale per un Governo di sinistra, che dovrebbe essere maggiormente attento

La folle corsa delle ambulanze – Foto di camilo jimenez su Unsplash

alla dimensione pubblica.

Ma la situazione attuale è migliore?

Lo Stato si è reso conto dell’impossibilità di non coinvolgere nella gestione della pandemia strutture private come le farmacie e laboratori d’analisi, che adesso sono in prima linea nell’effettuare test diagnostici e arrivano a lavorare anche fino alle 23 per dare ai pazienti gli esiti delle analisi in tempi rapidi. Non possiamo però scordare che c’è stata la perdita di un anno di attività e sono state perse le possibilità date dagli studi odontoiatrici. Il problema della sicurezza però rimane: in alcuni casi, se a un paziente vengono proposti i test diagnostici, questi rifiuta perché «sa dottore, se esce fuori che sono positivo non posso più andare a lavorare». Questo mette a rischio la salute dei professionisti dello studio e pone un pericolo per la salute pubblica. Purtroppo assistiamo ancora al sorgere del fenomeno del negazionismo. Nel primo lockdown tutti hanno rispettato i dettami delle misure adottate per contenere il contagio, le persone avevano compreso appieno la gravità della situazione e la necessità di collaborare. Con l’estate la situazione è cambiata, le persone non potendone più hanno smesso di ascoltare lo Stato, sono mancati i controlli, le regole non sono state applicate e si è creata la seconda ondata.

Durante la seconda ondata sono stati molti gli sforzi fatti per tenere sotto controllo i contagi, eppure non sono serviti a evitare un nuovo lockdown. Cosa è andato storto?

Non c’è il coraggio di affrontare i problemi reali. Per esempio, chi ha il coraggio di dire che il trasporti pubblici costituiscono un importante catalizzatore di contagio? Eppure, un positivo che sale su un autobus affollato può tranquillamente contagiare tre quarti dei passeggeri. Sono in molti a dover usare i mezzi pubblici per andare al lavoro, molti insegnanti per esempio. Questi ultimi, se positivi, possono determinare focolai di infezione all’interno delle scuole con tutto quello che ne consegue. Poi ci sono le problematiche legate alla circolazione del virus nelle fasce di popolazione molto fragile e molto ai margini, come ad esempio quella dei senzatetto, che non ha la possibilità di usare mascherine o di praticare le buone regole di igiene. È assurdo che nel nostro Paese non si faccia nulla per contenere il contagio tra questi individui, mentre il resto dei cittadini viene bloccato con diverse misure restrittive. Però è scomodo dire che certe fasce deboli possano essere responsabili di trasmissione e infezione. Si tratta di persone che spesso vivono un disagio anche a livello psicologico, ma bisognerebbe agire avendo a cuore la salute di tutti i cittadini. Oggi non è politicamente corretto raccontare la verità. La situazione adesso è grave, la malattia è tornata a propagarsi e si aggiungono nuove criticità legate ai vaccini.

Quali sono?

Quelle legate ad un presunto nesso causale tra la morte di alcune persone e la somministrazione del vaccino AstraZeneca. La questione veramente grave è che i sanitari che hanno somministrato il vaccino sono adesso indagati per omicidio colposo. Chi è adesso che si metterà volontariamente a disposizione per poter fare il vaccino? Purtroppo si può morire dopo la somministrazione di un vaccino ma il medico che lo ha somministrato non è certo responsabile per quella morte. Se mi consente il temine, solo un pazzo adesso andrebbe volontariamente a fare vaccini. Lo Stato dovrebbe immediatamente intervenire con un decreto per sancire che chi ha inoculato un vaccino non ha responsabilità in casi del genere. Serve qualcuno che dica chiaramente che i vaccinatori non hanno alcuna responsabilità in caso di morte del vaccinato. Altrimenti tra poco non troveremo più nessuno che si metterà a disposizione volontariamente per fare il vaccino. Io non lo farei.

Oltre a questo grave aspetto, quali altri provvedimenti bisognerebbe adottare sul fronte vaccini?

Fortunatamente il nuovo Governo ha preso una posizione forte sulla distribuzione dei vaccini a livello Europeo. Malgrado lo scetticismo che c’era sulla possibilità di mettere a punto dei vaccini efficaci nel breve lasso di tempo a disposizione, alla fine questo è stato fatto. Anche grazie a grandi investimenti pubblici. Malgrado questi forti investimenti, le industrie cercano di fare il loro business. Prendiamo il caso di Israele: si tratta di vaccini prodotti in Europa che sono stati traferiti in Israele per incapacità gestionale dei vertici europei. Non mi riferisco tanto a Ursula von der Leyen, quanto all’apparato da lei messo su (di cui tuttavia è responsabile). Non si può pensare che siano tutti santi, in questo momento in cui la gente fa i soldi bisogna dare delle regole chiare. Quindi il richiamo di Draghi è opportuno. C’è anche il problema dell’immunizzazione e della risposta dei singoli pazienti al vaccino. Infatti adesso si sta mettendo a punto un test con il pungidito per permettere ai pazienti di verificare in autonomia la propria risposta immunitaria e quindi il livello di protezione dall’infezione raggiunto con il vaccino. Sarebbero armi in più a disposizione del cittadino che potrebbe da solo verificare le proprie condizioni similmente a come

Quella degli odontoiatri è una categoria molto esposta al contagio – Foto di Olga Guryanova su Unsplash

avviene per i pazienti diabetici, che hanno gli strumenti per verificare autonomamente la glicemia, senza doversi recare quotidianamente in un laboratorio di analisi.

Insomma, le strategie fino ad oggi messe in campo non sono state sufficienti?

È mancato il piano necessario a farle funzionare. Faccia conto che durante un’assemblea CNEL svoltasi nell’aprile 2020 io ho affermato che il nostro problema fosse la mancanza di un piano antipandemico aggiornato. L’ultimo piano pandemico è stato elaborato nel 2006 e giace in un cassetto del Ministero della Salute. Uno Stato serio dovrebbe essere pronto a resistere a tre situazioni di emergenza: una guerra, una catastrofe economica e una pandemia. Quindi ci devono essere un piano militare, un piano economico e un piano pandemico e dovrebbero essere redatti e aggiornati rispettivamente dal ministero della Difesa, dal ministero dell’Economia e delle finanze e dal ministero della Salute.  Ebbene, il piano pandemico non è mai stato aggiornato. La responsabilità sarebbe di tutto l’asset del ministero della salute, che non sta lì per distribuire favori a destra e a sinistra ma ha tra i propri compiti proprio quello di proteggere i cittadini in queste situazioni critiche. Non è possibile che nessuno abbia voluto aggiornare il piano pandemico, c’è una catena di comando che dovrebbe aver garantito questi aggiornamenti. Non è un caso quello che è successo con l’OMS. Spero che la situazione migliori. Ho molta fiducia nella sanità militare perché è pronta all’emergenza. Trovare adesso una catena di comando che comprenda il Generale Francesco Paolo Figliuolo, uomo in prima linea nella gestione della situazione drammatica di Bergamo, mi dà fiducia. Senz’altro Draghi ha capito che c’era bisogno di cambiare passo: è inutile dire che la colpa è dei cittadini se le cose non funzionano, è colpa di chi dovrebbe organizzare le cose e non riesce a farlo.