Foto di Frauke Riether da Pixabay

Anche la difficile risoluzione del Covid richiede lo spoil system. Via l’intera batteria di decisori in materia: Arcuri, Borrelli, Miozzo. Il problema centrale che si presenta a Draghi non è immediatamente legislativo ma epidemiologico. Rompere la catena dell’esistente, approvando la discontinuità creando una nuova catena di trasmissione operativa per risolvere il problema che paralizza l’Italia più di altri paesi.

Logica cartesiana, se non si mette in sanità la nazione, il Pil continuerà a scendere oltre ogni previsione e l’approvvigionamento al Recovery Fund sarà ulteriormente depauperato (al momento è già sceso dai 209 miliardi originari, frutto dell’operato di Conte, agli attuali 204). A conclusione del mandato l’operato di Draghi sarà giudicato per questo (perché di mafia, corruzione ed evasione fiscale poco si parla) e il premier è ben conscio di questo giudizio pendente e dunque opererà principalmente in questa direzione.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Il problema fondamentale è il reperimento dei vaccini, cronaca spicciola cangiante di giornate con una pesante variante. Non in riferimento alle varianti brasiliane, sudafricane, inglesi, etc. ma piuttosto al rigetto di AstraZeneca visti i recenti casi mortali. Gli italiani rifiutano questo vaccino in una percentuale stimata dal 10 al 15%. Dunque, tra ritardi e omissioni, si genera un pericoloso corto circuito tra domande e offerta. La carenza fondamentale, che ben si colloca all’interno della decadenza italiana, è l’assenza di un vaccino italiano e la vaga prospettiva di sintetizzarne uno all’interno della penisola con previsionalità incerte, figlie dei tempi.

L’Italia è un paese in ritardo su tanto e dunque non sfugge alla regola questa emergenza che ci trova pericolosamente scoperti rispetto a come stanno colmando il ritardo nazioni come Stati Uniti e Gran Bretagna, i cui piani sono partiti nettamente dopo i nostri. La constatazione ci porta lontano e dunque anche alla progressiva svendita del Made in Italy anche in questo campo.

Il gruppo Sclavo, costola di Enimont, che nel 1997 lanciò il vaccino anti-influenzale Fluad. Dunque ci sono precedenti importanti in materia. Oggi questo deterrente è evaporato e siamo colonia di vaccini altrui perché non si è investito in ricerca, stabilimenti, produzione e finiamo col dipendere dalle scorte di nazioni più previdenti. Senza avere la possibilità (come Israele) di requisire filoni privilegiati con offerte importanti.

Foto di Jeyaratnam Caniceus da Pixabay

C’è chi indubbiamente sta peggio. Emergency ci ha fatto sapere che «nei paesi poveri solo una persona su dieci potrà essere vaccinata nel 2021». Evidentemente l’Africa è il continente che rischia di essere tagliato fuori da questa rincorsa poco solidale al vaccino. In Uganda, dove vivono 45 milioni di persone, il vaccino AstraZeneca, costerà 6 dollari ovvero tre volte il reddito medio giornaliero per abitante. Eppure l’Unione Europea ha pagato lo stesso vaccino 2 euro per dose. Nel centinaio di vaccini adottati o adottabili nel mondo confidiamo che ReiThera, la risorsa nazionale, attualmente in fase di sperimentazione, possa trovare una sua validazione e un decoroso ingresso a regime.

Non è più tanto un fatto di orgoglio nazionale quanto di messa in sicurezza della popolazione senza più doversi preoccupare di questo quasi isterico procacciamento di vaccini altrui, con tutte le conseguenze mercantili di queste trattative che hanno finito con lo sporcare l’immagine di Arcuri. La produzione del vaccino italiano scatterà probabilmente a settembre e dunque potrebbe essere quanto mai utile per contrastare la probabile ondata susseguente all’estate, se saranno replicate le modalità di diffusione invalse nel 2020.

Foto di apertura di Alexandra_Koch da Pixabay