Nell’ambito della lotta contro il virus Covid-19, molto è stato detto a proposito dello sforzo titanico compiuto dalla ricerca farmaceutica per mettere a punto in tempi record dei vaccini che permettessero di immunizzare la popolazione. Una corsa contro il tempo che ha impegnato freneticamente ricercatori e aziende farmaceutiche, vedendo queste ultime spesso al centro di dibattiti complessi a causa di promesse di produzione non rispettate.

Per capire il fenomeno nella sua interezza, occorre però aggiungere un ulteriore tassello al mosaico: la logistica della distribuzione. Perché i vaccini vengano somministrati infatti, deve essere seguito un iter che porti le dosi necessarie dalle aziende ai cittadini nei tempi più rapidi possibili. Stando a un Report elaborato dal DHL e McKinsey nell’ottobre 2020, per immunizzare all’incirca 7,8 miliardi di persone sul pianeta occorreranno 10 miliardi di dosi. DHL e McKinsey hanno ipotizzato che ci potrebbero volere almeno 15mila voli aerei e 15 milioni di contenitori refrigerati per trasportare una simile quantità di dosi vaccinali, considerando un lasso di tempo di almeno 2 anni. Secondo il Report sarebbero tra le 25 e le 30 le nazioni al mondo dotate di un’infrastruttura e delle capacità logistiche tali da consentire una movimentazione corretta dei vaccini anti-Covid.

Per capire meglio potenzialità e problematiche della supply chain dei vaccini nel nostro Paese, abbiamo parlato con Daniele Azzarone, presidente di Consulta, società di handling operativa in alcuni tra i più importanti snodi aereoportuali italiani (Fiumicino e Ciampino tra gli altri) coinvolti nella catena di distribuzione dei vaccini anti-Covid.

Dottor Azzarone, il nostro Paese ha i mezzi per movimentare e distribuire i vaccini anti-Covid?

Sicuramente sì. Abbiamo piattaforme logistiche eccellenti e da tempo l’Italia è ai vertici per tutto quello che riguarda il just in time. Mi spiego meglio: ad oggi le fabbriche tendono a produrre su richiesta, puntando su una rapida distribuzione ed evitando di immobilizzare i prodotti nei magazzini. Per fare ciò, la grande produzione si avvale di piattaforme logistiche in grado di movimentare i prodotti velocemente per cercare di evitare l’immobilizzazione di capitali. Abbiamo messo a punto straordinarie piattaforme logistiche, che servono prevalentemente alla grande industria privata, e sono competitive a livello internazionale. Un esempio tangibile del funzionamento di queste catene di distribuzione è rappresentato dall’approvvigionamento dei supermercati: uno yogurt prodotto a Bressanone può facilmente arrivare nel banco frigo di un supermercato siciliano in brevissimo tempo. Se ci si pensa, la distribuzione dei vaccini presenta alcune problematiche simili a quella degli yogurt: è necessaria la conservazione a basse temperature, sono prodotti deperibili e vanno movimentati in tempi rapidi.

Gli yogurt vengono prodotti su suolo nazionale, ma i vaccini…

In Italia non produciamo vaccini, se non su scala molto ridotta. Questo perché i bioreattori (ovvero apparecchiature in grado di fornire un ambiente adeguato alla crescita di organismi biologici) che abbiamo non sono adatti a produrre vaccini antivirali, ma solo quelli antibatterici, come ad esempio quello contro la meningite. Quindi è vero, l’esperienza italiana è limitatissima. Tuttavia c’è da sottolineare che i vaccini sono estremamente complessi da produrre e, per giunta ,ci si trova di fronte ad una richiesta di produzione straordinaria a livello globale.

I vaccini anti-Covid, in particolare quelli prodotti da Pfizer, richiedono temperature estremamente basse. Come si fronteggia questa difficoltà?

Gli aerei sono fondamentali per la movimentazione dei vaccini – Foto di Ashim D’Silva su Unsplash

Il vaccino Pfizer che ci troviamo a maneggiare è prodotto in Belgio e arriva a Ciampino una volta alla settimana. Dovrebbe essere conservato a -79° però ha una vitalità di 8 giorni a temperatura ambiente. Nella stiva di un aereo le temperature possono arrivare anche a -60o però, ovviamente, a terra le temperature sono molto più alte. Fortunatamente il vaccino può essere conservato senza troppi problemi finché non approda ai punti di smistamento, ma secondo me è qui che sorgono alcune problematiche…

Ovvero?

Lo dico quasi più da cittadino che da addetto ai lavori: prima ho menzionato l’eccellenza delle piattaforme logistiche italiane. Ebbene se ciò è possibile è anche grazie alla natura “spartana” della burocrazia nel settore industriale, caratteristica che la rende snella. In questo modo un pezzo X arriva nel luogo Y nel tempo W. Non avviene lo stesso in tutti i settori e purtroppo anche la distribuzione dei vaccini risente di una burocrazia che non facilita i passaggi.

Rimaniamo sul vaccino Pfizer: in un primo momento, la distribuzione di questo prodotto era curata da un Commissario che non aveva niente a che fare con la Protezione Civile. Quindi, di fatto, queste fasi della supply chain erano governate da due enti diversi, la Protezione Civile da un lato e l’ufficio del Commissario dall’altro. Una situazione che contravviene ai principi base della logistica! Adesso fortunatamente la situazione è diversa, a presidiare la distribuzione c’è un Commissario di fatto integrato nei ranghi della Protezione Civile.

Vede, la carenza di dosi è un problema oggettivo, non ci si può inventare qualcosa che non c’è. Ma oltre a questo

dato su cui in Italia non possiamo agire più di tanto, ce n’è un altro su cui puntare l’attenzione: la distribuzione “dell’ultimo miglio”, quella che fa arrivare i vaccini dalle stive degli aerei ai frigoriferi dei centri di distribuzione per intenderci. Si possono creare modelli virtuosi, ad esempio il centro di vaccinazione allestito nell’area di lunga sosta di Fiumicino, che ha visto la somministrazione del vaccino AstraZeneca alle forze dell’ordine.

Occorre dunque snellire i processi?

Se posso fare una battuta, il processo logistico deve essere logico: ci deve essere un‘azione, che porta a un risultato, che a sua volta porta a un’altra azione e così via. La catena deve rispondere a logica e deve rispettare dei criteri tutto sommato semplici, come richieste puntuali, tempistiche rispettate e luoghi prescelti. In Italia siamo stati talvolta confusionari, è quindi capitato che avessimo anche scorte importanti di vaccini che non potevano essere toccate.

Ma com’è possibile?

Perché occorreva rispettare l’intangibilità delle scorte: io mi approvvigiono ma una parte di queste provviste non può essere toccata. Sembra assurdo, in realtà quello della intangibilità delle scorte è un criterio che fa parte di alcuni logaritmi di distribuzione. Secondo questo criterio una parte delle merci deve rimanere in magazzino come se fosse una riserva di emergenza. Attualmente, per fortuna, non ci sono scorte intangibili di vaccini nei magazzini, ma è capitato. Da questo punto di vista abbiamo anche visto che tra le Regioni ci sono differenze nella percentuale di uso delle scorte di vaccini. Anche in questo caso si tratta di un dato che dipende dalla burocrazia che regola (e in certi casi rende difficoltoso) l’approvvigionamento dei centri di vaccinazione.

Qual è il vostro ruolo come servizio di handling nella logistica della distribuzione?

La meta finale dei vaccini – Foto di Hello I’m Nik 🍔  su Unsplash

I nostri ragazzi stanno lavorando con cura ancora maggiore di prima, se possibile. Noi siamo abituati a scaricare e a maneggiare velocemente migliaia di tonnellate di merce all’anno, di tutti i tipi, ma quando arrivano partite di vaccini siamo ancora più attenti a fare in modo di essere rapidi nello scarico, perché in questo modo cerchiamo di rendere più veloce la distribuzione. Questo lo posso garantire, i ragazzi hanno preso a cuore in modo totale la “missione” di essere parte della catena di approvvigionamento dei vaccini, evitando in tutti modi che ci siano interruzioni o sorgano problemi. Ma vedi noi italiani ci siamo sempre dimostrati eccellenti soldati diretti da pessimi ufficiali. Dispiace dirlo ma è così, ci sono profonde mancanze a livello di classe dirigente.

Ritiene che da questa esperienza ci sia qualche lezione da imparare?

Io vorrei che questa esperienza ci consentisse di instaurare dei meccanismi veramente meritocratici e quindi a fare in modo che le persone chiamate a svolgere determinati compiti siano effettivamente all’altezza di quanto loro richiesto. Questo è un parere personale, ma posso dire di vedere tanta improvvisazione, moltissima arroganza e una sorta di sindrome da Marchese del Grillo generalizzata. Questo è mortificante soprattutto per i giovani.  Sarebbe straordinario uscire da questa esperienza con nuove consapevolezze e nuove capacità, ma da quel che vedo l’esperienza che già da decenni abbiamo in materia di piattaforme logistiche non è stata ancora messa a frutto. Spero, soprattutto per i ragazzi che si troveranno in futuro a pagare lo scotto delle scelte che stiamo facendo, di sbagliarmi