Sui travagliati rapporti tra Unione Europea a Turchia, per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo un articolo di Michele Valensise uscito lo scorso 11 aprile su ‘Huffington Post’.
Un giorno a Costantinopoli l’ambasciatore di Carlo V fu convocato dal Sultano. Giunto al suo cospetto, il diplomatico notò che non c’era una sedia per lui e che il sovrano intendeva lasciarlo in piedi durante il colloquio. A quel punto l’ambasciatore si tolse il mantello, ci si sedette sopra e avviò l’udienza con naturalezza. Al termine uscì lasciando il mantello per terra e i cerimonieri, immaginando una dimenticanza, lo avvertirono, ma l’ospite continuò dritto verso il portone e rispose: «Gli ambasciatori non usano portarsi via la propria sedia».
La prontezza di spirito di Charles Michel poteva essere tale che se ad Ankara avesse indossato un mantello, se lo sarebbe immediatamente sfilato e si sarebbe accomodato sul pavimento cedendo l’unica sedia a Ursula von der Leyen. Invece, purtroppo per lui, e per l’Europa, non aveva un mantello e le cose sono andate come sappiamo, mentre la capacità di una reazione giusta e degna è rimasta solo nella nuvoletta degli auspici.
Ormai non è il caso di infierire sul “sofagate” e sui suoi tanti aspetti imbarazzanti. Fa male ripensare alla sciatteria organizzativa, all’impassibilità di Erdogan, alla penosa accelerazione di Michel verso l’unica poltrona, alla composta perplessità di von der Leyen e soprattutto all’occasione persa per dare un segnale che, oltre al rispetto dovuto alle donne, avrebbe potuto rappresentare anche fisicamente un’Europa coesa e determinata. Non basta che, rimuginando notte tempo su quella scena umiliante, il presidente del Consiglio europeo ora riconosca l’episodio come disastroso. Né serve nascondersi dietro precedenze protocollari discutibili e ancor meno convincenti nella fattispecie, visto che trattato Ue alla mano i temi in agenda riguardavano più la Commissione che il Consiglio europeo.
Il punto su cui sarebbe bene fermarsi è piuttosto la struttura portante dell’Unione europea, con la sua architettura bicefala, Commissione e Consiglio europeo, in attrito alquanto sistematico tra loro. Per il momento mettiamo da parte gli altri due vertici comunitari, Presidente del Parlamento e Alto Rappresentante per la politica estera, con i quali il disegno complessivo diventa addirittura quadricefalo. Le norme sono chiare. Al Consiglio europeo, che non ha funzione legislativa, spetta di definire “gli orientamenti e le priorità politiche generali” (art. 15 Tue). Eppure le sovrapposizioni in stile Ankara non mancano e certo non aiutano a far avanzare l’Ue, a volte neanche a farla riconoscere adeguatamente nei suoi rapporti esterni. È così che nell’accidentato mondo di oggi l’Unione pensa di poter svolgere un “ruolo geopolitico”?
A ben vedere anche in questo l’Ue è il prodotto delle prerogative conferitele, o non conferitele, dagli Stati membri. Già abbiamo ascoltato arcigne reprimende all’indirizzo dell’Europa e della sua inefficienza nel settore sanitario, senza che venisse ricordato che in quel campo le competenze restano nazionali e che la Commissione ha una mera facoltà di coordinamento. La ripartizione di compiti tra Michel e von der Leyen riflette la volontà degli Stati membri di mantenere una sfera rilevante dell’azione comune sul piano inter-governativo, cioè nel pieno controllo degli Stati membri (Consiglio europeo), anziché delegarla alle istanze comunitarie (Commissione).
Se la politica estera dell’Ue è demandata a un’unica figura, l’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, allo stesso tempo emanazione del Consiglio europeo e vicepresidente della Commissione, allora anche l’ipotesi già avanzata di affidare la presidenza del Consiglio europeo a colei/colui che è al vertice della Commissione merita ora di essere riconsiderata. Non sarebbe necessaria alcuna modifica dei Trattati, che molti temono più del diluvio universale, e si conferirebbe coesione e autorevolezza all’azione europea. La Conferenza sul futuro dell’Europa che si apre a maggio riuscirà a occuparsene? È da sperare. Con l’unificazione delle due cariche, in seno all’Ue potremmo favorire una gestione più lineare, mentre fuori dall’Europa eviteremmo di litigare per una sedia.
Michele Valensise
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