I tempi oscuri che attraversiamo, e non solo per la pandemia da Covid-19, esigono che, affrancati da ideologie consunte e pregiudizi, ci si impegni in direzione della ricerca del volto autentico della donna che resta, oggi più che mai, un giacimento di ricchezza umana, un plusvalore non adeguatamente valorizzato per una società civile a misura di homo sapiens. I movimenti di emancipazione della donna, le lotte contro le discriminazioni che si conducono ormai da più di un secolo, non sembrano aver finora sostanzialmente illuminato l’universo femminile. La donna che in Italia, fino al 1946, era politicamente considerata incapace di intendere e di volere non essendole riconosciuto neppure il diritto di voto, ha giustamente conquistato sacrosanti diritti in molti campi della vita sociale: diritto allo studio, al lavoro, all’impegno sociale e politico, alla parità dei sessi.

Se però entriamo più a fondo in medias res, la condizione femminile ci appare ancora lontana dal soddisfare le legittime aspettative non solo delle donne, ma anche degli uomini liberi che sanno quello che il genio femminile può rappresentare in vista di un salto di qualità per la nostra società.

La solenne Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dall’Assemblea dell’ONU il 10 dicembre 1948, è ancor oggi gravemente calpestata in molte parti del globo. Là dove, all’art.1, proclama che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” e, all’art. 2, che tutti i diritti enunciati nel documento spettano “senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione”, ecc., il contrasto con la realtà è stridente, in particolare per quel che riguarda la dignità della donna, troppo spesso offesa, oltraggiata, vilipesa, non solo nei paesi in via di sviluppo (e non ci riferiamo soltanto all’Afghanistan e ad altri Paesi a maggioranza islamica), ma anche nell’Occidente, che sembra deciso a procedere con malvagia determinazione sul sentiero del suicidio della sua millenaria civiltà. https://it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione_universale_dei_diritti_umani

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Il gravissimo attacco alla dignità femminile attraverso l’impressionante escalation dei femminicidi, degli stupri, degli abusi e di altre forme di violenza, la riduzione non di rado a mero oggetto della donna nei campi della pubblicità, nelle trasmissioni televisive e nel mondo dello spettacolo, lo sfruttamento sessuale, la prostituzione forzata, indicano quanto si sia lontani dal rispetto della dignità della donna, sede della vita umana e titolare di valori fondamentali: altruismo, compassione, sacrificio, solidarietà, sensibilità.

Se ampliamo l’angolo di visione, il quadro si fa ancora più cupo. Basti pensare ai matrimoni e agli aborti forzati in India, Bangladesh ed altri Paesi orientali, soprattutto ma non solo a maggioranza islamica, senza contare le raccapriccianti mutilazioni genitali come la pratica dell’infibulazione e le lapidazioni delle donne adultere in varie regioni africane e medio-orientali.

Tali forme di sopraffazione rendono priva di senso, e comunque limitata ad isole felici, l’espressione relativa alla uguaglianza delle opportunità per uomini e donne: “Equal chances for everybody”, espressione molto alla moda negli scorsi decenni, oggi coperta dalla coltre dell’oblio.

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Se, ai nostri giorni di presunta liberazione sessuale in Italia e in tutto l’Occidente sviluppato, i femminicidi, la prostituzione forzata e gli stupri sono in sconcertante aumento ed il corpo nudo della donna riempie molte trasmissioni tv, video pornografici e riviste patinate, dove domina il gossip e il vaniloquio, è chiaro che serpeggia qualche inquietante equivoco se è vero che la donna, ancora nel 2021, viene percepita come mero oggetto di consumo, tipo usa e getta, dai fedeli della ideologia edonistico-consumista dominante nella cosiddetta post-modernità. La questione è troppo seria per non dedicare qualche annotazione al trionfante individualismo, al narcisismo e al conseguente relativismo, ambigua ideologia riduzionista della grandezza dell’umano, che sta divenendo mentalità corrente, costume sociale, dopo la fine ingloriosa delle ideologie criminali del XX secolo. Occorre a tal uopo premettere che il relativismo moderno si è discostato notevolmente dalla classica corrente di pensiero che risale a Protagora, secondo cui la conoscenza umana non può afferrare la verità, ma solo frammenti di essa. Il relativismo dei nostri giorni è più sbrigativo e dichiara tout court che la verità non esiste. Ne consegue che, se, in campo gnoseologico, non si può parlare di verità, in campo etico non si può parlare né di bene né di male.

Il relativismo moderno, considerato politically correct, afferma infatti che tutte le opinioni, dunque anche le più insensate, sono tutte ugualmente legittime. Questa sconcertante ideologia, litania ossessiva dei nostri giorni, si traduce in un comportamento pratico che non tiene in alcun conto principi e norme morali fondati sulla natura umana, tanto meno su principi derivanti dalla rivelazione divina. Anzi, ogni richiamo a norme morali fondate su legge naturale o su rivelazione trascendente è bollato come fondamentalismo. Il dramma del nostro tempo sta proprio in questa forma di relativismo che è divenuta in troppi settori della cultura e della vita contemporanea occidentale il “pensiero dominante”; per questo si spinge fino all’intolleranza più netta, fino al punto da far pensare a una dittatura del pensiero. Per una fatale eterogenesi dei fini, il relativismo non coincide per nulla con la fine degli assoluti, perché esso stesso si pone come l’unico assoluto. All’assoluto divino o della natura, sostituisce l’assoluto umano.

Il relativismo, proclamando l’inesistenza della verità, apre il campo alla pretesa di trasformare in diritti tutti i desideri, anche i più volgari ed indegni. Se tutte le opinioni, anche le più assurde, sono ugualmente rispettabili, è fatale che l’azione dello stupratore venga posta sullo stesso piano del pensiero del presidente Mattarella o delle omelie di papa Francesco. Lo sprofondamento nel nichilismo non è solo compagno di viaggio del relativismo, ma anche sua inesorabile destinazione.

Se questo è il relativismo, ridurre la donna a oggetto di piacere o a semplice esecutrice dei dictat dell’uomo (marito, compagno o semplice convivente) diviene legittimo. Inoltre, poiché col relativismo che pervade la scena dell’Occidente si ritiene giusto massimizzare il piacere, è naturale che prevalgano i rapporti di forza, di potere, in cui il maschilismo, come insegna la storia, instaura con facilità, nel suo delirium onnipotentiae, nuovi e più sottili meccanismi di oppressione della donna, di cui viene oscurata l’identità profonda, come giacimento di valori indisponibili. L’equazione relativismo-nichilismo porta seco i germi della disgregazione della società.

In tale situazione, ci chiediamo quale sia il volto autentico della donna, bacino di filtraggio a disposizione dell’umanità per procedere verso un futuro degno del genere umano.

Trattando dei problemi della condizione femminile nel nostro tempo, Giovanni Paolo II, nella sua appassionata Lettera alle Donne del 29 giugno 1995, insistette sul “mistero della donna”, attraverso la quale si sono compiute nei secoli grandi opere di Dio.

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Anzitutto la conservazione della specie attraverso la donna-madre che si fa sorriso di Dio e della natura per il figlio che nasce da lei, che ella guida nei suoi primi passi e sostiene nella crescita, rimanendo punto di riferimento fisso per lui per tutta la vita.

Ma la donna è anche sposa; è figlia, sorella, lavoratrice oggi impegnata in tutti i campi della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica. Ovunque la donna, quando non è immiserita da strumentalizzazioni e ideologie, rivela la capacità di coniugare ragione e sentimento, ben più dell’uomo, perché in lei è presente un maggiore spirito di solidarietà e una maggiore ricchezza di umanità. La donna va ringraziata per il fatto che è donna perché con la sua femminilità, con il suo stile delicato e concreto, arricchisce la comprensione del mondo, ispira la pace e apre alla verità dei rapporti umani e alla fratellanza universale.

Siccome, però, la donna non è una creatura divina, ma come ogni persona di ambo i sessi, semmai, è, almeno dal punto di vista cristiano, in via di santificazione, è necessario che, per rendere onore pienamente al suo particolare genio, sia aiutata finalmente anche da un salto di qualità nei comportamenti maschili. Come non prendere atto, a questo proposito, che, dietro la cultura dominante del permissivismo edonistico, si cela un maschilismo aggressivo, che parla ipocritamente di liberazione dai tabù, ma il cui scopo è la mortificazione della dignità della donna! E in definitiva anche dell’uomo. La tirannia dello spazio a disposizione ci costringe ad un ulteriore intervento sull’argomento dell’identità femminile, non senza aver chiarito che oggi, visti gli sviluppi umanamente e civilmente fallimentari del relativismo, siamo già alla fase successiva, cioè alla riscoperta della complementarietà tra uomo e donna per realizzare al meglio il disegno di Dio o, se il termine sembra politically incorrect in tempi di secolarismo spinto, della natura.

                                                                                                                              Angelo Fortuna

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