Insieme a governance e prestazioni, il reclutamento è uno dei tre pilastri su cui poggia l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ormai agli onori delle cronache come il novello piano Marshall, ma autosostenuto, del vecchio continente.

Vero è che le attuali politiche economico finanziarie espansive dell’UE sono un’occasione da cogliere ad ogni costo ma vien anche da dire che questo non è mica il primo settennato in cui il Quadro Finanziario Pluriennale dell’UE metta a disposizione fondi per le politiche di coesione e lo sviluppo dei territori europei, anzi… diciamo solo che sarebbe stato più serio se anche negli scorsi decenni si fosse guardato con tanto entusiasmo alle politiche europee e ad un più facile reclutamento di professionisti per le P.A., in ottica di partecipazione alle call europee! ma chiudiamo qui ogni polemica di sorta, guardiamo i lati positivi della questione.

Il novello governo Draghi, con il decreto Brunetta prima e con il D.L. 80/21 poi, ha messo a segno delle piccole grandi riforme su temi importanti: concorsi pubblici più snelli e adattati al contesto pandemico e “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia”, come si legge nel titolo del citato D.L. e che all’art. 1 già definisce le “Modalità speciali per il reclutamento del personale e il conferimento di incarichi professionali per l’attuazione del PNRR da parte delle amministrazioni pubbliche”.

Tralasciamo, invece, il tema del lavoro agile o smart working visto il momento storico concitato e un ormai chiaro dietrofront da parte dell’esecutivo sul prosieguo del percorso intrapreso.

Orbene, per quanto concerne i concorsi pubblici, chiunque sia incappato in un bando o selezione pubblica avrà notato la maggior valorizzazione dei titoli, delle prove orali, dei colloqui, a discapito delle famigerate prove scritte, per la selezione del personale. Anche le tempistiche di espletamento delle procedure di selezione e reclutamento del personale si sono ridotte notevolmente a seguito della citata riforma. Il tutto, appunto, nell’ottica di reclutare personale più velocemente e senza rischi.

Ma veniamo all’argomento principale, in tema di assunzione di professionisti per aiutare le P.A. a partecipare ad interventi previsti nel PNRR, le stesse, possono porre a carico di tali risorse economiche, le spese per il reclutamento di personale specificamente destinato a realizzare i progetti di cui hanno la diretta titolarità di attuazione e tale reclutamento potrà essere effettuato in deroga ai limiti assunzionali previsti per il lavoro flessibile, ex art. 9, comma 28, d.l. 78/2010. Questa è decisamente una buona cosa, un buon investimento da parte del legislatore ma ancora non rappresenta un cambio di visione del rapporto con il reclutamento personale nelle P.A..

Sarebbe legittimo aspettarsi una riforma più ampia?

Il dato è che, posto che con questa riforma si possano attivare più facilmente contratti consulenziali o a tempo determinato con i professionisti del settore, sembrerebbe, però, che i limiti generali concernenti le assunzioni di nuovo personale nelle P.A. siano rimasti pressoché gli stessi e attengano sempre ai soliti vincoli di contenimento della spesa e riduzione della spesa.

Infatti non è venuto meno il principio secondi cui, oggi, per assumere nuovo personale, non basta che si sia registrato un decremento di unità per pensionamento o altro motivo, ma è necessario avere un sistema di turn over “sbloccato” al 100% che possa consentire all’ente di assumere, bisogna che il tetto di spesa del personale, da piano del fabbisogno, sia inferiore a quello dell’anno precedente e non superiore a quello di un anno X individuato dal legislatore, insomma non proprio una passeggiata.

Va però menzionata la novella del D.L. 34/19 che consente ai comuni che abbiano un basso rapporto tra spesa per il personale e spesa corrente, di incrementare la spesa di personale registrata nell’ultimo rendiconto approvato, per assunzioni di personale a tempo indeterminato.

Incrementare la spesa per il personale è proprio il leitmotiv giusto se si vogliono aiutare le pubbliche amministrazioni ad essere più efficienti ed a stare al passo con i tempi ed è l’unica perifrasi capace di rendere appieno il concetto di reclutamento nella P.A., in tutte le sue declinazioni. E non a caso, proprio su questo tema si sono concentrati la maggior parte degli interventi del più grande forum giovanile di amministratori locali che è l’assemblea programmatica annuale ANCI Giovani, tenutasi lo scorso fine settembre a Roma, dove, alla presenza del ministro Brunetta, sono state lanciate delle proposte importanti, in vista dell’annunciata riforma del T.U.E.L..

Si è chiesta a gran voce la possibilità, per i comuni turistici che vedono schizzare le presenze di residenti per brevi periodi dell’anno, di avere più flessibilità assunzionale, per offrire servizi adeguati ai suddetti picchi, non assegnando al valore demografico il parametro assunzionale unico.

Si è chiesto di avere procedure ancora più snelle per le assunzioni nei piccoli comuni, a prescindere dall’appartenenza ad unioni di comuni. Si è posto l’accento anche sul ruolo dei sindaci nei piccoli comuni, costretti a farsi da segretari generali e persino da tecnici, restando collettori di responsabilità, anche penali.

Si è infine proposto di svincolare dal dato anagrafico il numero massimo di assessori di cui un ente locale possa dotarsi, o quantomeno prevederne una forbice più ampia, mantenendo però sempre lo stesso budget in bilancio.

Infine, la proposta forse più interessante, ha riguardato segnatamente la spesa per il personale, che entro certe soglie e senza troppi vincoli, debba poter essere posta a carico della fiscalità generale dell’ente, per consentire maggiore flessibilità agli amministratori nel gestire tali risorse economiche alla luce della necessità di superare il conclamato stato di sottorganico delle P.A. italiane ed in particolare dei piccoli e medi enti pubblici.

Insomma, perdonando le semplificazioni di questo articolo, che tratta di una materia molto complessa e che occupa ben altri studiosi e analisti, si vuole porre l’accento sul dato storico che ci troviamo in un periodo di revisione, in cui la rigida impostazione post anni ’90 sembra si stia allentando e l’auspicio è che il contesto europeo aiuti a ragionare in tal senso, soprattutto per dare ai giovani una ragione in più per lavorare e fare bene nelle pubbliche amministrazioni italiane.