L’Italia non può accettare questa accresciuta denatalità e comprometterebbe il suo futuro se come paese non vengono intraprese rapidamente azioni correttive. Non sono un esperto per poter esibire certezze sul da fare nel prossimo futuro, ma come semplice cittadino mi sembra doveroso presentare alcune preoccupazioni e considerazioni su cui aprire un più approfondito dibattito, augurandomi che in tempi brevi ci siano opportune decisioni in merito.

Il fenomeno della diminuzione dei residenti è preoccupante sotto vari rispetti di rilevanza economica e strutturale per il Paese. La denatalità sta mettendo in crisi il sistema nazionale: registriamo da una parte troppo poche nuove nascite, dall’altra l’invecchiamento medio dei residenti, nel 2020 abbiamo quasi raggiunto i 46 anni come età media, ed il conseguente cambiamento della struttura della popolazione in età feconda; in aggiunta si verifica la non sottovalutabile emigrazione di giovani concittadini, peraltro molti dei quali con alto livello di scolarizzazione. Il sommarsi di denatalità ed espatrio dei giovani non solo fa diminuire la forza lavoro e la crescita del PIL, ma priva il Paese di soggetti nel momento della maggiore creatività e capacità produttiva, con effetti deleteri sui settori di punta del sistema produttivo.

Il verificarsi di questi fenomeni ha comportato la concomitante diminuzione del numero dei lavoratori attivi (in particolare ciò avviene anche in vari settori strategici) e l’accrescimento del numero dei pensionati (nel 2020 il 23,24% ha età superiore o uguale a 65 anni) che, fortunatamente, vivono più a lungo, ma, proprio per questo, hanno maggiori fabbisogni sanitari nell’ultima parte della loro vita con significativo impatto sul sistema sanitario nazionale.

In particolare, queste dinamiche portano ad una rilevante crescita del rapporto tra pensionati e popolazione attiva. Attualmente è pari al 36,42% (abbiamo dunque circa 1 pensionato ogni 3 attivi); alcune stime più pessimistiche, effettuate sui trend attuali, prevedono un’ulteriore crescita del rapporto fino al 65% (2 pensionati ogni 3 attivi) nel 2040, situazione che sarebbe economicamente non sostenibile per l’Italia sia per il diminuire delle entrate contributive, sia per il crescere della spesa per garantire le pensioni. In particolare gli anni attorno al 2030 saranno cruciali, poiché raggiungeranno il termine della loro vita lavorativa i “baby boomer”, nati a metà degli anni Sessanta, ciò provocherà un’ulteriore crescita della spesa pensionistica, tanto più se si continuerà a prevedere salvaguardie o anticipazioni, tipo “Quota 100”, che sabotano la sostenibilità del nuovo sistema contributivo che aveva migliorato la situazione precedente.

 

Invertire la tendenza

Foto di Ben Wicks su Unsplash

Finora ben poche sono state le azioni promosse per contrastare gli effetti negativi sopra descritti, le principali furono quelle che hanno modificato il sistema pensionistico, innalzando l’età di pensionamento e modificando il sistema di calcolo, con l’introduzione del calcolo contributivo. Sono anche state varate alcune iniziative per supportare le famiglie (fra le più recenti, anche a seguito della pandemia, i bonus cultura per i diciottenni, il bonus per servizi di baby sitting, il congedo parentale rafforzato dal Decreto “Cura Italia”), ma queste azioni non hanno inaugurato una vera e propria politica volta a invertire il trend in atto.

Avremo un’occasione irripetibile con il PNRR presentato nell’ambito dell’azione “Next Generation UE” (appunto, un problema continentale) per invertire l’involuzione in atto: verranno finanziati in modo straordinario progetti e attività per il rilancio dell’economia italiana. Specificatamente del problema delle giovani generazioni si parla nella Missione 5 “Coesione e inclusione” e vi sono accenni altrove. Le soluzioni che saranno adottate dovrebbero operare in modo incisivo sulle principali variabili cruciali per l’Italia: crescita del PIL, qualificazione del sistema produttivo, produttività dell’amministrazione pubblica, crescita del numero degli occupati, aumento della prevenzione per minimizzare i costi sanitari, supporto alle giovani famiglie, sostenibilità del sistema pensionistico. L’augurio è che le forze politiche ed il governo siano all’altezza di questa sfida epocale.

Se vogliamo un’Italia per i giovani, sarebbe opportuno che si lanci un impegno politico imperniato sulla necessità e urgenza di invertire la tendenza demografica per garantire un rilancio dell’economia e un futuro di prosperità al Paese. Nel citato intervento il Presidente ISTAT propose: «L’obiettivo di raggiungere 500mila nati non è solo un sogno, ma una realtà possibile; avere mezzo milione di nati in più per anno vuol dire inserire iniezione di futuro. (…) Occorre un percorso con una triangolazione tra gli attori, costituiti dalle famiglie, il privato, il sociale e le imprese con le idee e i progetti, le risorse, le norme e la cultura».

 

Idee ed opportunità su cui operare nel prossimo futuro

Se davvero si vuole sostenere la natalità, occorre evitare che il suo carico ricada solo sui genitori, questo significa varare misure finanziarie di sostegno per le giovani famiglie ed in generale le giovani coppie, misure organizzative per contemperare le esigenze familiari con quelle lavorative. Al contempo occorre varare misure per sostenere i giovani che si affacciano al mercato del lavoro, sia per evitare che trovino più remunerativo l’espatrio, sia perché con maggiore stabilità economica percepiscano buone prospettive anche per progetti di nuove famiglie.

Non sono in grado io di proporre le misure più opportune, ma posso immaginare che, per invertire il trend che porta alla denatalità, bisognerà operare almeno a tre livelli: a) un aiuto economico per i genitori dei neonati con redditi modesti che si prolunghi almeno fino all’età scolare dei figli, b) misure che agevolino la gestione dei bambini (p.es. nidi sul posto del lavoro o a livello municipale, possibilità di godere di giorni di congedo parentale sia per la madre, sia per il padre, ecc.; c) supporto per i bambini e ragazzi provenienti da famiglie con redditi non elevati, durante gli anni della scuola dell’obbligo (mense interne alla scuola, buoni per acquisto libri e pc, buoni per attività ricreative durante i mesi estivi); d) supporto per i ragazzi meritevoli per iscriversi e frequentare con profitto i corsi universitari.

Se questo potrà incoraggiare nel mettere al mondo i figli, occorrerà anche evitare che i giovani cittadini trovino più conveniente espatriare, soprattutto i diplomati e laureati. La domanda cui rispondere è: perché il sistema produttivo non è in grado di assorbire con salari adeguati i giovani che si affacciano al mercato del lavoro? In questo caso occorrerà pensare non solo ad azioni da parte dello Stato, ma anche ad iniziative concordate con le imprese. Alcune idee che sorgono, anche sulla base delle esperienze in altri paesi avanzati, sono: azioni a sostegno dei giovani (un orientamento efficace, supporti per l’autoimprenditorialità, agevolazioni per start up che siano gestiti da giovani, ecc.), supporti alle imprese per attività di stage ed apprendistato rivolte a neo diplomati o laureati, supporti alle imprese per incoraggiare l’assunzione di giovani anche senza pregressa esperienza, supporti a giovani che abbiano perso il lavoro per essere rapidamente reinseriti nel mercato del lavoro.

Non basteranno queste misure per invertire il trend, altre decisioni importanti saranno necessarie. La più ovvia è quella di approvare finalmente lo ius soli che viene incoraggiata anche dai recenti successi sportivi ottenuti da italiani naturalizzati. I bambini nati in Italia ed educati nella nostra scuola e nell’ambito del nostro contesto culturale possono essere un prezioso atout per lo sviluppo del nostro Paese, come già avviene in altri paesi europei più lungimiranti e meglio organizzati. Se mai si potrebbe scegliere la formula “temperata”, cioè collegata alla condizione che i genitori risiedano in Italia da almeno alcuni anni (si va da 3 anni in Irlanda e Portogallo agli 8 della Germania, ai 10 del Belgio). Anche per lo ius sanguinis (cittadinanza concessa a chi abbia uno dei genitori con passaporto italiano) siamo il paese con norme più ostative, prevedendo un periodo di residenza del genitore di almeno 10 anni (contro, per esempio, i 3 della Polonia, i 5 della Francia, gli 8 dell’Ungheria di Orban). Per inseguire preconcetti e pubblicità politiche stiamo da troppo ritardando una misura che sembra di oggettivo interesse per il Paese: questi giovani cittadini devono potersi sentire italiani ed essere davvero coinvolti nelle attività produttive del paese.

Inoltre un’attenzione maggiore va dedicata al delicato problema dei Minori Stranieri Non Accompagnati (Msna); nel novembre del 2020 vi è stato il primo rapporto dell’Osservatorio Nazionale sui Msna e si valutava che essi fossero, nel 2016, circa 25mila (dati UNHRC) di cui solo 17.000 registrati; i 4/5 erano di origine africana e gli altri asiatica, e sicuramente essi saranno aumentati fino ad oggi, fra non registrati e nuovi immigrati. La legge 47 del 2017 (nota sui media come “Legge Zampa”) ha introdotto il principio di accoglienza del minore a prescindere al suo status giuridico e previste varie misure per rendere effettiva l’integrazione del minore nella nostra società: possibile affido, diritto a istruzione e sanità, misure di accompagnamento e tutoraggio. Questi minori che arrivano nel nostro Paese dopo terribili prove dovrebbero davvero essere accolti e sostenuti nella loro crescita per diventare cittadini di una nuova Patria, mentre si fa ben poco e addirittura l’applicazione delle normative non è omogeneo in tutto il territorio nazionale.

Vi è infine un ambito che dovrebbe essere considerato in modo prioritario per le azioni da intraprendere nell’ambito del rilancio del paese: misure per attrarre in Italia i giovani figli degli oriundi. In tanti, abbiano o meno già richiesto il passaporto, potrebbero essere interessati a valutare l’opzione di venire a vivere e lavorare in Italia, in particolare coloro che risiedono in paesi in via di sviluppo come quelli dell’America Latina. Sarebbe importante varare misure di agevolazione che potrebbero iniziare con borse di studio da effettuare presso i nostri centri di ricerca o le nostre imprese. Una piccola iniziativa del genere la progettammo e realizzammo, grazie al supporto del Ministero per gli Affari Esteri, al CNR; aveva il titolo SAFIRE “Specializzazione ed Alta Formazione per Italiani residenti all’estero” e permise di avviare una efficace collaborazione con alcune università e con le comunità italiane in Argentina, Cile, Panama e Perù, ma soprattutto di ospitare per un anno, presso Istituti del CNR, 10 laureati residenti in quei paesi, di cui circa il 50% poi decise di rimanere in Italia o in paesi UE.

Sogno un paese multietnico valorizzato dalla cultura e dalla storia italiane, in grado di progredire in pace e con armonia, essendo fra i propugnatori dello sviluppo sostenibile e di un sistema economico, sociale e produttivo attento a supportare anche chi sia in ritardo o in difficoltà. Quanto sopra riportato non mi sembra sia contenuto nelle indicazioni del PNRR, se non in maniera tangente. Penso che sarebbe opportuno agire per favorire l’attenzione su questi argomenti e su queste possibili soluzioni. Sarei onorato se le considerazioni presentate possano contribuire ad aumentare il dibattito ed in prospettiva a far maturare una piena consapevolezza sull’urgenza di intervenire per combattere la denatalità nel nostro Paese.