La pandemia ha offerto un duro colpo alle attività lavorative. E possiamo parlare con buona cognizione di causa di quanto sia cambiato quello che una volta, ottimisticamente, era chiamato “il quarto potere” la stampa. Potere ex. Come lettori potete constatare come le foliazioni si siano ridotte, gli inserti meno ricchi, i comparti editoriali ridotti al rango di fornitori di gadget (quelle edicole in cui nessuno più fa la fila ne sono piene). E i giornalisti, nobili decaduti, progressivamente svuotati di tutti i benefit di categoria, transfughi dal prestigioso Inpgi (Istituto nazionale di Previdenza Giornalista) alla ben più dimessa e anonima Inps. Anche la considerazione del pubblico nei confronti della stampa è progressivamente calata, rivolgendosi ad altre fonte di informazioni (alcune largamente deficitarie come i social network) non riconoscendo alta credibilità alla categoria visto lo spostamento di focus dell’interesse e dell’attenzione. Ma quelli che pesano, al di là di ogni percezione, sono i dati. Pesanti e inoppugnabili. Tali da far evocare la metafora del serpente che si morde la coda. Meno copia vendute ovvero meno investimenti ovvero meno inviati ovvero meno qualità. Se ci fate caso la maggior parte dei servizi pubblicati sulla stampa italiana (anche la più ricca) sono scritti in sede senza che l’occhio dell’inviato testimoni su un fatto constatato. E l’inchiesta è genere giornalistico abrogato. Dunque opinioni e dati di una mente che non vede ma che mette insieme agenzie e indizi, non vissuta materia prima.

Nei primi nove mesi del 2021 le copie vendute quotidianamente in formato cartaceo hanno subito una contrazione dell’8,4% rispetto all’omologo periodo (già di crisi) del 2020. Calo che non è compensato da un avanzamento digitale. È in doppio cifra il calo dei quotidiani generalisti mentre compensano lo stallo quelli sportivi (-2,4) che si avvalgono dell’effetto Europeo di calcio più che quello dell’Olimpiade. Come ricordava un antico direttore di giornali (Piero Dardanello) infatti “fa vendere più un cross di Roccotelli che un primato mondiale di Mennea”. In soldoni i quotidiani in 5 anni, dal 2017 ai giorni nostri, hanno perso un terzo delle copie. Anche dal punto di vista dell’etica, l’industria editoriale non offre buona prova di sé. Certo non è passato inosservato un sequestro di 30 milioni operato sulla Gedi per una presunta truffa ai danni dell’Inps. E parliamo dell’editore di Repubblica, de La Stampa, dell’ormai decaduto Espresso (in sospetto di cessione). A tal proposito molto ci sarebbe da scrivere sugli stati di crisi artatamente richiesti dagli editori e sempre approvati dal Ministero del lavoro. Si torna a bomba, è quello che esattamente riassume le obbligatorie ragioni del passaggio previdenziale dall’Inpgi all’Inps.