“Buongiorno, mi scusi mi sa indicare la direzione per Via Alda Merini?”

Ecco, se abitate a Roma non vi risponderà nessuno … perché non c’è!

E purtroppo è una situazione che vale per tantissime città italiane, non solo per la grandissima poetessa ma anche per un numero enorme di donne che, con la loro vita e la loro intelligenza, la loro professione, hanno contrassegnato la vita italiana e non solo.

Foto libera per usi commerciali da Pixabay

Da un accurato studio e analisi effettuate dalla Associazione Mi riconosci, che ha avuto, come giusto, largo rilievo sulla stampa e sui mezzi di comunicazione, parimenti con altri studi e censimenti effettuati da associazioni femministe, dove si nota che laddove è rappresentata una donna, soprattutto in statue e busti, non è l’immagine della donna in quanto tale, per i suoi meriti professionali o esempio di vita, ma è l’immagine che si vuol dare della donna come un “oggetto”, dedicato alla famiglia o alle cure parentali, quando non viene rappresentata a livello di distorte inclinazioni di una mente maschile.

Risulta come in Italia il numero di statue o vie intitolate alle donne sia un numero veramente molto basso e soprattutto, laddove ci siano statue o busti, non siano stati fatti da donne ma da uomini.

Una statua, un busto, una via o piazza o un parco, intitolati alla memoria di una donna creano un modello di riflessione, di trasmissione della memoria e del suo operato, dei suoi meriti, siano letterari o scientifici, del suo lavoro, ecco questo manca in modo esagerato: una monumentale assenza.

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E allora, proprio l’opposto, a Padova, nella Piazza “Prato della Valle”, una tra le piazze più grandi d’Europa, ci sono 78 statue e busti tutti maschili. Che poteva succedere? La città, i mezzi di comunicazione, opinionisti e filosofi si stanno dando battaglia, oggi nel 2022, se accettare o meno che si aggiunga nella piazza una statua dedicata a una donna, Elena Cornaro Piscopia, che si laureò, la prima al mondo nel 1678, proprio a Padova, ma non in teologia come avrebbe voluto, bensì in filosofia, per l’opposizione della chiesa riguardo alla tematica. Non si finisce più…

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Se dal numero, come si diceva per altro basso, escludiamo vie e statue dedicate a donne legate alla religione cattolica, quindi la Madonna, le sante o le virtù teologali, o ad esempio retoriche o di tipo allusivo/iconografico, notiamo come in tantissimi casi la donna sia rappresentata in vesti non propriamente corrette, che spesso fasciano il corpo o addirittura lo scoprono, denotando ancora una volta, se fosse necessario, una tendenza a mostrare la donna come un oggetto. A darne comunque una immagine non corretta né autentica, potremmo dire “altra da sé”. Altrimenti, nel novero, ci sono statue in cui la donna è affiancata da un bambino, a testimoniare non la donna in quanto tale, con le sue prerogative, le sue opere, letterarie o scientifiche, ma la donna come un essere, mi si passi il termine, che è dedicato alla cura della prole o della casa. Tantissimi gruppi scultorei rappresentano la donna come una parte integrante del gruppo, non certamente come la protagonista, ma dietro o a fianco ad un uomo e magari tenendo per mano un bambino, a rappresentare delle immagini stereotipate o significative di una allegoria. In tutta Italia c’è qualche monumento riservato alle donne, ma di gruppo, come ad esempio partigiane, mondine, operaie, ma che non rendono merito a tutte quelle donne che con la loro intelligenza, il loro lavoro, durato una vita, hanno reso onore in primis al genere femminile e soprattutto anche all’Italia o al mondo.

Dallo studio si evince che, quando è rappresentata una donna, o comunque una figura femminile realmente esistita, spesso lo è in maniera non corrispondente alla realtà, talvolta svestita o in pose non corrispondenti alla vera natura della donna che si vuole rappresentare.

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Ho preso l’occasione, anche sulla base della lettura dello studio citato, di andare a rivedere la statua equestre dedicata ad Anita Garibaldi, sul Gianicolo, anche se da anni il monumento versa in condizioni pietose. Viene ricordata così, col nome italianizzato e il cognome del marito, ancora una volta a cancellare l’identità di Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva. In effetti, essendo nato e cresciuto nel Rione sottostante, Trastevere, sin da bambino ci sarò stato mille volte, mi portavano a giocare sui prati, poi c’erano le giostre. Stavolta l’ho guardata con occhi diversi, più critici e, forse per la prima volta, ho notato che una donna rappresentata al galoppo, con una pistola in mano, che si scaglia contro le truppe nemiche, incredibile a dirsi ha in braccio il figlio. Altri commenti sono inutili.

Ho approfondito la tematica e vien fuori che è l’unica statua equestre in Italia, dedicata a una donna e che la posizione del cavallo sulle zampe ha un codice, un significato: se il soggetto rappresentato è deceduto di morte naturale, il cavallo ha tutte e quattro le zampe appoggiate a terra. Se invece il cavallo viene raffigurato con una zampa sollevata, la morte è avvenuta in seguito ad una ferita riportata in battaglia, se ha due zampe sollevate da terra, il cavaliere è morto combattendo. Non esattamente nel caso di Ana Maria da Silva, dove prevalsero le ragioni di immagine, di iconografia e di propaganda, il monumento è del 1932, perchè in effetti morì nelle valli di Comacchio, febbricitante e incinta, sfinita, sembra per cause naturali.

In conclusione, da uomo, auspico che si apra una profonda riflessione, in tutta Italia e non solo, sull’importanza, l’essenzialità che il mondo femminile ha rappresentato e rappresenta per questa società. Il loro lavoro, le invenzioni, le opere letterarie, la loro figura deve essere rappresentata e testimoniata, non solo post mortem, ma anche e soprattutto nel momento in cui vivono e operano, basti pensare al sacrificio quotidiano di migliaia di dottoresse e infermiere in questo momento, in questi anni.