Alle 11,02 del 19 luglio 1943, una bella giornata d’estate, come fosse in questa calda estate, aerei alleati scaricarono per tre ore 4000 bombe su Roma. L’obiettivo, per cercare di mettere definitivamente in ginocchio i tedeschi, erano gli scali ferroviari, essenzialmente merci, ma vennero colpiti i quartieri popolari Prenestino, Collatino, Tuscolano, Labicano, Nomentano e in particolare il Tiburtino nella zona di San Lorenzo, incluso il Cimitero Monumentale del Verano, sventrando centinaia di tombe e cappelle votive.

Foto da Bundesarchiv, Bild 101I-476-2094-17A / Rauchwetter / CC-BY-SA 3.0

Come sempre succede in guerra si ebbe tempo per fare propaganda contro il nemico, da parte degli invasori e oppressori , sporcando i resti di una casa. Alla fine della giornata si contarono quasi 3.000 morti, 11.000 feriti e circa 40.000 sfollati. Sono numeri assurdi, da far impazzire chiunque. Furono utilizzati oltre 500 bombardieri statunitensi e britannici che sganciarono nel complesso più di 9.000 bombe per oltre 1.000 tonnellate. Le vittime furono 1.600 e i feriti 4.000. Non si fermeranno qui, perché nel corso dei nove mesi dell’occupazione tedesca Roma verrà bombardata più di cinquanta volte.  Roma verrà liberata dalle forze alleate solo il 4 giugno 1944.

Oggi passeggiando per San Lorenzo si vedono studenti, stranieri, bei locali come bar e discoteche, anche notturne e un’aria di giovanile allegria. E’ diventato un quartiere della movida romana. Ma la memoria deve restare, ad ammonimento e ricordo dei fatti avvenuti, così sono ancora visibili le tracce della tragedia di quel luglio orribile: due palazzi tranciati a metà mostrano ancora i danni del bombardamento. Se dovessimo guardare oggi i filmati di quel giorno, sia dal cielo che da terra, di primo acchito sembrerebbe un reportage dall’Ucraina…non è cambiato nulla. Ovviamente le motivazioni sì, in un caso si cercava di far finire una guerra che aveva insanguinato il mondo, nell’altro oggi si continua a violentare una nazione libera.

Foto pubblico dominio da commons.wikimedia.org

Un allora giovane e già famoso cantautore romano, Francesco De Gregori, nato nel 1951, proprio quaranta anni fa, imbracciò la chitarra e compose quasi una ballata popolare:

Cadevano le bombe come neve
Il 19 luglio a San Lorenzo
Sconquassato il Verano
Dopo il bombardamento
Tornano a galla i morti
E sono più di cento

Cadevano le bombe a San Lorenzo
E un uomo stava a guardare la sua mano

E poi immagina di guardare da lontano il fumo nero:

Viste dal Vaticano
Sembravano scintille
L’uomo raccoglie la sua mano
E i morti sono mille

E un giorno, credi
Questa guerra finirà
Ritornerà la pace

Ricordando proprio la visita del pontefice nel quartiere distrutto e colpito a morte, De Gregori trova una sintesi bruciante e ricca di sentimento:

E il Papa la mattina da San Pietro
Uscì tutto da solo tra la gente
E in mezzo a San Lorenzo
Spalancò le ali
Sembrava proprio un angelo
Con gli occhiali

Foto pubblico dominio da commons.wikimedia.org

Quel pomeriggio, molti ricorderanno la foto presa dall’alto con le braccia aperte, al termine del bombardamento papa Pio XII andò a visitare le zone colpite, benedicendo le vittime sul Piazzale del Verano. Per memoria, il bombardamento di Roma fece grande scalpore ed ebbe importanti conseguenze militari e soprattutto politiche, accelerando l’indebolimento del regime fascista e la sua fine. Nessun romano, pur sapendo quello che stava accadendo nel sud, credeva che avrebbero mai bombardato Roma, la gente pensava “C’è il Papa, ma figurati…”. Va ricordato che solo il 14 agosto 1943 il Governo Badoglio dichiarò Roma città aperta. De Gregori, nel suo testo, dopo aver citato una strofa di una storica canzone della Resistenza, (Oggi pietà l’è morta/ ma un bel giorno rinascerà, scritta dal comandante partigiano Nuto Revelli, nel 1944 e cantato dalle bande del II° settore del Vallone dell’Arma in Valle Stura) lascia spazio alla speranza:

E il burro abbonderà
E andremo a pranzo la domenica
Fuori porta, a Cinecittà
Oggi pietà l’è morta
Ma un bel giorno rinascerà
E poi qualcuno farà qualcosa
Magari si sposerà

 Il quartiere colpito si unì, ancora di più negli anni del dopoguerra, la sua anima popolare permeò i palazzi in costruzione, la polvere e i rumori e le minestre nelle cucine delle case. Lo stesso auguriamo e speriamo per le sorelle e fratelli ucraini: che venga la pace e mai più morte.

Foto di apertura pubblico dominio da commons.wikimedia.org