Alcune inquietanti inchieste hanno evidenziato, per varie dipendenze e forme di disagio mentale, la diffusa difficoltà di orientarsi nei percorsi di cura, e di riferirsi ai servizi pubblici o a servizi qualificati.

Penso alla recente inchiesta sulla “comunità terapeutica” Shalom, avviata da Fanpage, e ripresa in diverse puntate del programma televisivo Piazza Pulita di Corrado Formigli. La comunità Shalom accoglie dal 1986 in provincia di Brescia fino a 250 ospiti, sofferenti di svariate dipendenze. L’inchiesta ha diffuso testimonianze e incredibili filmati relativi ai metodi punitivi e di violenza in uso nella comunità. Illuminanti sono i commenti del noto psichiatra Leonardo Mendolicchio, uno dei massimi esperti in Italia dei disturbi del comportamento alimentare, che si è recato insieme al giornalista Formigli in visita alla comunità Shalom.

Penso anche al dilagare di sedicenti veggenti e prodigi attribuiti alla Madonna, un centinaio di casi in Italia reperibili su internet, non di rado accompagnati da apocalittiche profezie e critiche verso il Papa e la Chiesa. Una recente inchiesta del popolare e comunque autorevole settimanale Famiglia Cristiana ne esamina alcuni, soffermandosi sulle presunte apparizioni a Trevignano Romano, dove una statua della Madonna di Medjugorje avrebbe iniziato a lacrimare sangue e acqua in casa di una veggente. Di quest’ultimo caso si è occupato anche il programma Chi l’ha visto? in una recente puntata.

In entrambi i casi menzionati, fortissimi appaiono i riferimenti di tipo devozionale: non solo per le “apparizioni” mariane, ma anche per la comunità Shalom, come evidente dal suo sito,  dove si possono ascoltare le parole della sua responsabile, suor Rosalina.

Naturalmente e per non confondere, molte sono le comunità religiose serie impegnate nel recupero delle tossicodipendenze e nell’accoglienza di varie forme di marginalità. Solo per citare qualche esempio: il Gruppo Abele, fondato nel 1965 da don Luigi Ciotti; la Comunità Cenacolo, avviata nel 1983 e che oggi conta 71 fraternità in venti paesi del mondo; la Comunità Exodus, nata su impulso di don Antonio Mazzi nel 1984; la Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi nel 1968. E poi il Centro Italiano di Solidarietà di don Mario Picchi, la Comunità di Capodarco, l’Opera don Giustino, la Comunità Emmanuel, l’Associazione Casa Rosetta, e altre.

I servizi pubblici per la salute mentale sono in Italia in grande sofferenza. Poco più di un anno fa il Rapporto Headway 2023 – Mental Health Index ha raccolto la prima comparazione di dati relativi ai servizi di salute mentale nei 27 paesi dell’Unione Europea e nel Regno Unito. Un Rapporto frutto di un lavoro di diversi anni, inclusi quelli della pandemia, condotto da The European House – Ambrosetti insieme alla Angelini Pharma, e presentato nell’ottobre 2021, in occasione della giornata mondiale della salute mentale. Il confronto dei numeri del personale dedicato e delle risorse economiche, alle pagg. 46-47 del Rapporto, vede il nostro paese tra gli ultimi posti. Un articolo di Matilde Scuderi su questo sito ne illustra e commenta gli aspetti più significativi.

Tra i vari punti presenti nel Rapporto Headway 2023, vorrei soffermarmi sullo stigma e sul lavoro, il primo un problema nel problema, il secondo una grande ma complessa risorsa nella cura del disagio mentale.

Franco Basaglia
by MLucan, Wikicommons

Il primo punto su cui voglio dire qualcosa è dunque lo stigma, che accompagna ogni aspetto della salute mentale. Allo stigma, di cui si parla alle pagg. 10-11 del Rapporto, si riferisce l’immagine di copertina di queste mie righe. Un problema di pregiudizi e di ignoranza. Non si riesce razionalmente a comprendere perché ci si debba vergognare, in prima persona o per un familiare, di un disagio mentale. Lo stigma, inutile negarlo, è radicato tra noi, e tutt’altro che facile ignorarlo. Fosse sufficiente riconoscere quanta sapienza vi sia nelle parole “visto da vicino, nessuno è normale”, che accompagnano il pensiero del grande psichiatra Franco Basaglia!

Non solo lo stigma ha origine in preconcetti, ma li alimenta, generando discriminazione, isolamento, angoscia, offrendo spazio a scelte irrazionali, purtroppo non libere da pericoli e speculazioni. Per esempio, una “comunità terapeutica” come quella menzionata all’inizio di questo articolo, o le “apparizioni mistiche” di cui ho detto sopra.

Cosa possa significare una positiva evoluzione dello stigma è suggerito da qualche ambito parallelo, che nel passato ha avuto una sensibile evoluzione. Si pensi all’atteggiamento nei confronti dei tumori, oggi assai aggiornato: a quanto abbia contribuito ai progressi nella loro prevenzione e cura l’aver superato lo stigma del “male incurabile”, preferibilmente da tacere, perfino a chi doveva curarsi.

Il secondo punto su cui vorrei dire qualcosa è la grande risorsa che può rappresentare il lavoro per chi soffre di un disagio mentale. Ai temi del lavoro sono dedicate le pagg. 51-52 del Rapporto Headway 2023. In esse viene evidenziata la necessità di cercare di uscire da un circolo vizioso: il disagio mentale limita le possibilità della vita di lavoro, e questo limite a sua volta favorisce il permanere nello stato di sofferenza. Anche qui purtroppo i dati numerici, come una tavola relativa all’impatto della depressione sulle capacità lavorative, mostrano la particolare criticità della situazione italiana.

don Luigi Di Liegro

Nel decreto Lavoro, approvato il primo maggio dal Consiglio dei Ministri, i provvedimenti relativi al tema di cui sto qui parlando sono impostati attorno all’assegno di inclusione, e sostanzialmente demandati alle imprese che operano per la solidarietà e le politiche sociali, e al volontariato. Né vi sembra essere particolare attenzione al tema del lavoro nel tavolo tecnico per la salute mentale istituito dal Ministro della Salute, a seguito della tragedia dell’omicidio a Pisa della psichiatra Barbara Capovani per mano di un paziente.

Vorrei per finire citare l’impegno profuso sul tema del lavoro e salute mentale da una singola organizzazione: la onlus Fondazione Internazionale don Luigi Di Liegro, con sede a Roma. Ispirandosi all’opera del grande religioso dello scorso secolo, che vedeva nel disagio mentale un fattore importante dell’esclusione sociale degli ultimi, la Fondazione Di Liegro sviluppa da più di vent’anni vari programmi. Tra essi, l’annuale corso di formazione “Volontari e famiglie in rete per la salute mentale”, giunto alla XVI edizione, poi servizi di ascolto, orientamento e informazione, alcuni progetti specifici di sostegno alle famiglie, altri di inclusione sociale e per l’inserimento nel lavoro. Per tutte queste attività la Fondazione Di Liegro, oggi presieduta da Luigina Di Liegro, nipote di don Luigi, si avvale di personale psichiatrico di livello altissimo.

Immagine di copertina “Lifelines Video Screening” by COD Newsroom, CC BY 2.0