«Quando una mela è matura e cade, qual’è la causa che la fa cadere?»
Leone Tolstoj

 

A oltre un anno di distanza dovremmo chiederci: a chi realmente interessa l’Ucraina? Agli Stati Uniti d’America, quando in più dichiarazioni hanno affermato che questa guerra per procura è l’occasione per logorare e indebolire la Russia? Alla Russia, che vede nell’invasione un modo per affermare un nuovo ordine internazionale? All’establishment ucraino, considerando il dispendio di vite umane e la distruzione dell’economia che un conflitto ormai senza esclusione di colpi sta causando al Paese? Ad ambigui interlocutori internazionali come la Turchia e la Cina, abili nel mettere sapientemente a frutto gli eventi per il proprio tornaconto geopolitico?

Noam Chomsky, The Responsibility of Intellectuals, The New Press, 2017

Tra gli intellettuali che hanno espresso preoccupazione per la crisi in atto, in perfetta formazione bipartisan, vi sono Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano, che vede nel conflitto ucraino la più grande minaccia alla sicurezza globale dalla Guerra Fredda, e Noam Chomsky, filosofo di origine ucraina e di idee radicali, che, pur condannando l’invasione, giudica negativamente l’irrilevanza dell’Europa, l’espansione della NATO e la politica degli Stati Uniti nei confronti della Russia, ma anche la narrazione unilaterale e distorta dei media occidentali sul conflitto, non dissimile per lui dall’informazione univoca della Russia di Putin.

Quanto alle responsabilità, ognuna delle parti in conflitto potrebbe invocare la relazione tra aggressore e aggredito: le popolazioni russofone del Donbass, che non hanno ottenuto l’autonomia prevista dagli accordi di Minsk e che dal 2014 hanno al contrario conosciuto uno scontro prolungato e sanguinoso, con oltre 14.000 morti; certamente gli Ucraini, dopo l’invasione russa.

La verità, come sempre, è un’interpretazione non univoca della realtà ed è evidente sullo sfondo del confronto internazionale in atto, nel quale la hybris, la volontà di potenza di poteri economici e politici senza più senso della misura, ha portato l’orologio della storia vicino al rischio per la sopravvivenza della stessa umanità.

Gli Stati Uniti, come prima potenza mondiale, avrebbero una responsabilità in più nell’assicurare la stabilità e la pace, ma hanno impresso agli eventi, dopo il crollo del muro di Berlino, un corso unipolare ad un mondo con molteplici centri di attrazione. Questo è talmente vero che i principali think thank americani, come «Geopolitical Futures», dipingono un prossimo futuro ancora strettamente soggetto al potere degli Stati Uniti, con un ridimensionamento dell’Europa, della Russia e della Cina e l’emergere di alcune potenze regionali come il Giappone.

Ma alcune non indifferenti variabili, collegate all’intensità crescente del conflitto in corso, potrebbero contraddire questo scenario:

– gli armamenti dispiegati dall’Occidente nell’ultimo anno in crescente potenza offensiva verso la Russia e gli attacchi sempre più frequenti sul territorio russo;

– gli arsenali militari dell’Occidente, noti e ormai ai limiti della capacità di rifornire altri Paesi in guerra;

– gli arsenali russi, ignoti, fatta eccezione per la superiorità in fatto di armamenti nucleari, sia strategici sia tattici, e per un’avanzata capacità nel campo della cybersicurezza;

– i 3/4 del mondo in quanto a PIL e risorse naturali (energie fossili, metalli strategici e terre rare) non allineati con l’Occidente.

Soldati russi delle forze speciali nel Daghestan, foto di Dzmitry Schakachykhin, Shutterstock

La NATO ostenta di essersi rafforzata e alcuni suoi strateghi parlano addirittura di raggiunta capacità nel fronteggiare la Russia in uno scontro militare. Per quanto abbiamo accennato la realtà potrebbe essere diversa e l’Occidente essere meno solido, sottoposto a una minaccia strategica incombente per via dell’esaurimento progressivo degli arsenali militari convenzionali. Eppure l’escalation verso sistemi d’arma sempre più letali continua ininterrotta e la via del negoziato, che per l’Occidente potrebbe iniziare solo con l’utopistico obiettivo di ritiro totale della Russia, appare impraticabile.

A questo punto discutere se sia la Nato a voler distruggere la Russia o il contrario non modifica uno scenario nel quale entrambi i contendenti sembrano ormai considerare la possibilità di un confronto diretto: ma se arrivassimo allo scontro totale, nucleare, quale vittoria conseguirebbe l’Ucraina? Semplicemente, nel caso di un conflitto tra superpotenze, non vi sarebbe alcuna vittoria per l’Ucraina (e per nessuno).

Immagine di apertura: Giovan Battista Langetti, Archimede con le allegorie della pace e della guerra, Collezione privata, Genova