Il 22 novembre scorso il Parlamento Europeo ha adottato, con 291 voti favorevoli, 274 contrari e 44 astenuti, una risoluzione sui progetti del Parlamento Europeo per la riforma dei Trattati.

Molto ci sarebbe da dire sul carattere poco più che simbolico di questa votazione, che interviene a più di un anno da un’altra risoluzione con la quale il Parlamento Europeo commentava i risultati della Conferenza sul Futuro dell’Europa tenutasi tra il 2021 e il 2022 e si sforzava di fornire indicazioni operative agli altri organi dell’Unione, senza riuscire a “sfondare un muro di gomma” e ad innescare un reale dibattito inter-istituzionale.

Brutto poi anche il segnale inviato dallo stesso Parlamento Europeo, ignorando la richiesta di convocazione, prima del 22 novembre, di un’Agorà pubblica degli esponenti dei gruppi della società civile europea per esaminare il rapporto presentato alla Commissione Affari Costituzionali, nella sessione di ottobre. Un passaggio solo consultivo che avrebbe però conferito peso politico all’iniziativa parlamentare. Peccato, perché la “punta di diamante” dei parlamentari europeisti, Guy Verhofstadt, si era impegnato in questo senso con la dirigenza del Movimento Europeo.

Molto infine ci sarebbe da aggiungere anche sul carattere frastagliato ed occasionale degli schieramenti che hanno portato al risultato del 22 novembre, con serie defezioni nell’ambito della c.d. “maggioranza Ursula” ed una relativa maggiore compattezza dell’opposizione “sovranista”, incapace però, come già a giugno, in occasione della votazione su aspetti cruciali del “Green Deal”, di anticipare quel ribaltone politico (con il PPE che abbandona socialisti, liberali e verdi per virare a destra) che alcuni ancora sperano possa essere la grande novità delle elezioni europee del giugno 2024.

Gli europarlamentari italiani (tranne Martusciello e Salini di Forza Italia) sono stati coerenti con l’impostazione dei loro gruppi politici (PD, Verdi, Azione, Italia Viva, Forza Italia a favore; Fratelli d’Italia e Lega contro).

Foto di Dan Johnston da Pixabay

Molto più inquietante invece la frammentazione nell’insieme del Parlamento: nel Partito Popolare Europeo, ben 79 contrari e 27 astenuti, a fronte di soli 46 favorevoli (ma tra questi il controverso Presidente Manfred Weber); tra i socialisti 97 favorevoli, 20 contrari  e 2 astenuti; tra i liberali di Renew 72 favorevoli, 17 contrari e 2 astenuti; tra i Verdi, 55 favorevoli e 9 astenuti; compatti i “sovranisti” delle due famiglie (62 contrari tra i Conservatori e Riformisti Europei e 52 di Identità e Democrazia); nel gruppo di Sinistra, solo 6 favorevoli, 23 contrari e 2 astenuti; tra i Non Iscritti (dove siedono anche i Cinque Stelle), 15 favorevoli, 21 contrari e 2 astenuti.

Pur con tutte queste limitazioni e ambiguità, non è però affatto banale che il Parlamento Europeo abbia inferto un nuovo colpo importante a quel “blocco psicologico” che rende tuttora “tabù” a Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo, nonché ahimè in molte Capitali europee, anche solo l’accennare a possibili modifiche dei Trattati adottati a Lisbona il 13 dicembre 2007 ed in vigore dal 1 dicembre 2009.

Nella risoluzione adottata il 22 novembre, il Parlamento Europeo “…

  • pone l’accento sull’importanza di riformare il processo decisionale dell’Unione in modo da rispecchiare con maggior fedeltà un sistema bicamerale, conferendo ulteriori poteri al Parlamento europeo;
  • chiede che la capacità di azione dell’Unione sia rafforzata aumentando considerevolmente il numero di settori in cui le azioni sono decise a maggioranza qualificata (VMQ) e tramite la procedura legislativa ordinaria;
  • chiede che il Parlamento europeo ottenga il diritto di iniziativa legislativa, in particolare il diritto di introdurre, modificare o abrogare il diritto dell’Unione, e diventi co-legislatore per l’adozione del quadro finanziario pluriennale;
  • chiede che i ruoli del Consiglio e del Parlamento per quanto riguarda la nomina e la conferma del Presidente della Commissione siano invertiti per rispecchiare più fedelmente i risultati delle elezioni europee; propone di consentire al Presidente della Commissione di scegliere i rispettivi membri in base alle preferenze politiche, garantendo al contempo l’equilibrio geografico e demografico; chiede che la Commissione europea sia rinominata Esecutivo europeo;
  • propone di fissare le dimensioni dell’esecutivo a non più di 15 membri, scelti tra i cittadini degli Stati membri sulla base di un sistema di rotazione rigorosamente paritaria, come già previsto dagli attuali Trattati, mentre i sottosegretari sono nominati tra i cittadini degli Stati membri che non hanno un cittadino rappresentato nel Collegio;
  • propone di rafforzare la trasparenza del Consiglio dell’Unione europea imponendogli di pubblicare, tra le sue posizioni, quelle che rientrano nell’ambito del normale processo legislativo e di organizzare un dibattito pubblico sulle posizioni del Consiglio; propone di definire una base giuridica che consenta ai co-legislatori di rafforzare la trasparenza e l’integrità del loro processo decisionale;
  • chiede che la Convenzione, oltre alle proposte illustrate nella presente risoluzione, dibatta in merito alla suddivisione delle materie tra il TUE e il TFUE, allo scopo di far fronte alla difficoltà di modificare il diritto dell’Unione; chiede che la Convenzione esamini in quali settori di intervento le strutture dell’UE possano rafforzare l’efficacia dell’Unione;
  • propone che la composizione del Parlamento europeo diventi competenza dello stesso, previa approvazione del Consiglio;
  • propone di rafforzare il ruolo delle parti sociali nella preparazione di qualsiasi iniziativa in materia di politica sociale, occupazionale ed economica;
  • chiede di rafforzare gli strumenti di partecipazione dei cittadini al processo decisionale dell’UE nel quadro della democrazia rappresentativa.

“Vasto programma” avrebbe commentato il Generale De Gaulle e nessuno si fa illusioni sul fatto che “il diavolo sta nei dettagli” delle varie proposte lanciate.

Ma è pur sempre un segnale politico forte, che ci ricorda come il Parlamento Europeo resti un punto di riferimento essenziale per quanti auspicano un progresso istituzionale dell’Unione.

La riprova si ha nella supponenza con cui il Consiglio Affari Generali, nella sua riunione dell’ 11 dicembre, ha esaminato i progressi compiuti sulle 49 proposte e 326 misure contenute nel rapporto finale della Conferenza sul Futuro dell’Europa, giungendo alla conclusione che “un anno e mezzo dopo la conclusione della Conferenza, la stragrande maggioranza di tali raccomandazioni sono state applicate o stanno per esserlo, a dimostrazione del pieno impegno del Consiglio di rispondere alle preoccupazioni espresse dai cittadini europei durante la Conferenza”.

Un gratuito auto-elogio ed una pietra tombale sugli auspici di riforma scaturiti dalla Conferenza sul Futuro dell’Europa, che fanno presagire quanto sarà duro lo scontro, in seno all’Unione Europea, non solo tra europeisti/federalisti, da un lato, e confederal-sovranisti dall’altro, ma anche – e forse soprattutto- tra fautori del metodo comunitario e difensori delle prerogative intergovernative.

Avrebbero detto nel Maggio 68: “Ce n’est qu’un debut/continuons le combat”.

Noi cercheremo di esserci.

Foto di apertura di Leonardo da Pixabay