Mentre i politici discutono dei gravi problemi per l’utilizzazione delle risorse finanziarie messe a disposizione dalla UE attraverso il PNRR, la Corte dei Conti entra a gamba tesa, denunciando la responsabilità dei più alti funzionari dell’Amministrazione accusati di non essere stati capaci di gestire il programma. La politica reagisce sdegnata, ma è in mala fede perché conosce molto bene i giganteschi problemi che l’Italia incontra per utilizzare le risorse europee, problemi e ruberie che si sono verificati sempre per i finanziamenti del Fondo sociale e di quello regionale.

Lo sa benissimo anche il ministro Fitto, che come sempre in Italia, si appresta a chiedere un rinvio alla UE, motivandolo con l’aumento dei costi ed i problemi causati dalla pandemia. Chiedere un rinvio è sempre e soprattutto una dichiarazione di incapacità e in Italia tutti lo sanno benissimo.

Vediamo di entrare, per quanto possibile, in una analisi più seria e motivata.

Analisi statistica del PNRR – Foto da wikipedia.org – CC BY-SA 4.0

Non c’è dubbio che spendere 190 miliardi di euro in un tempo limitato, sarebbe una sfida per ogni governo, e anche per le più attrezzate organizzazioni internazionali. La Banca Mondiale calcolava che occorressero quasi 2 anni per passare dall’approvazione di un progetto al disbursement e cioè all’utilizzazione concreta dei fondi. Molti politici ed esperti parlano di una tragedia annunciata, che anche il governo Draghi avrebbe potuto prevedere. Naturalmente l’Italia risulta nuovamente divisa in due: le regioni e i comuni del nord in molti casi hanno saputo come muoversi e certamente potranno beneficiare almeno di una parte di fondi messi a disposizione. Le regioni, le città e i piccoli comuni del sud, sono invece come sempre indietro e si rischia che proprio loro, che avrebbero particolarmente bisogno dei fondi del PNRR, ne restino largamente esclusi.

Una vecchia storia, così prevedibile da non destare alcuna meraviglia. Ma quali sono i veri problemi?

In linea di massima sintesi ogni sistema di finanziamento di progetto presuppone alcune essenziali fasi: l’identificazione dei bisogni, la redazione dei progetti, l’assegnazione e realizzazione. L’identificazione dei bisogni è l’elemento chiave, perché giustifica il lancio di ogni progetto, invece molto spesso nel nostro paese, il progetto è concepito come una serie di attività (costruzione di una infrastruttura, organizzazione di un corso di formazione, servizi a componenti sociali vulnerabili, ecc.). Spesso i promotori non si rendono conto che le attività sono soltanto il risultato di una analisi dei bisogni, che vanno attentamente esposti e descritti. Il caso della piantumazione di alberi, denunciato dalla Corte dei Conti, è un tipico esempio: il progetto prevedeva di piantare milioni di alberi, ma nessuno aveva analizzato il contesto (background), perché altrimenti avrebbe saputo che non c’erano alberi disponibili nei numeri richiesti.

La tecnica progettuale richiesta dalla UE ricalca standard utilizzati nei paesi anglosassoni e in quelli più avanzati d’Europa. Occorre fornire con precisione oltre al background, obiettivi, beneficiari precisamente determinati, risultati attesi e misurabili, le attività che occorrono per realizzare ciascun obiettivo, indicatori di risultato, ed anche i metodi per prevenire e gestire i rischi che si potessero presentare. L’assegnazione dei progetti avviene per procedure selettive che vanno attentamente previste nei bandi con punteggi predeterminati per ogni elemento, come la qualificazione dell’offerente, la sua esperienza, il personale, i tempi e infine i costi. Le commissioni di aggiudicazione non possono quindi essere composte soltanto da ingegneri o architetti, ma devono includere esperti specializzati nella individuazione dei bisogni e nella valutazione del rapporto fra bisogni, attività e risultati. Inutile poi aggiungere che i realizzatori dovranno essere in grado di fornire rapporti periodici esaustivi e rendiconti.

È vero, per perseguire gli standard internazionali ed europei, occorre una notevole qualificazione professionale, perché i format richiesti sono complessi, e a volte difficilmente comprensibili anche per chi ha una grande esperienza.

Ma tutto questo lo abbiamo scoperto adesso? I governi Conte e Draghi prima, e il governo Meloni adesso, non sapevano che soprattutto le istituzioni territoriali del sud non avevano gli esperti e i mezzi necessari all’individuazione e predisposizione dei progetti? Subito dopo la riunificazione tedesca il governo creò la Treuhandanstalt, un pool di esperti che in poco più di un anno fu capace di fornire una valutazione ad ognuna delle migliaia di imprese della ex Germania Est, al fine di determinare se dovessero essere dissolte o ristrutturate. Tutti coloro che, come Claudio e me, hanno vissuto di progetti, sanno benissimo che sarebbe stato necessario dotare di professionalità adeguate le realtà più deboli, altrimenti il PNRR si tramuterà in un insuccesso o addirittura una tragedia, mostrando fra l’altro alla UE la debolezza del nostro paese.

Raffaele Fitto – Foto da wikipedia.org – CC BY-SA 4.0

Il ministro Fitto non dovrebbe limitarsi a chiedere rinvii e a prendere tempo, ma sarebbe il momento di mettere in pista esperti qualificati, non amici e parenti ma esperti veri, da sguinzagliare soprattutto nel nostro sud. Altrimenti? Molte risorse verranno perdute oppure saremo di nuovo in mano agli avvoltoi senza scrupoli del settore privato, che si sostituiranno alle amministrazioni pubbliche centrali e locali, facendo naturalmente i loro interessi e non quelli delle comunità locali. Non riesco a dimenticare il piccolissimo apporto di “TUTTI Europa ventitrenta” quando aveva organizzato, insieme all’Istituto di Studi Europei Alcide De Gasperi, il percorso formativo “Pensare progetto” destinato alla Pubblica Amministrazione e ai giovani proprio per aiutare il nostro paese nella sfida del PNRR.

Foto di apertura da Ministero delle Imprese e del Made in Italy