Vincenzina davanti alla fabbrica, sola e assorta. Erano gli anni sessanta e Sesto San Giovanni, sulla strada che porta da Milano a Monza, diventava ogni anno di più il polo industriale del nord. Ha una storia di più di mille anni e il nome deriva dal sesto miglio militare dell’esercito romano come distanza da Milano. Da comune agricolo, molto velocemente, diventa prima sede di moltissime filande e seterie, nell’800, per poi vivere l’insediamento sul suo territorio di moltissime fabbriche che faranno il tessuto sociale e industriale dell’Italia della rinascita, del boom.

Un tram a due piani al Rondò, inizi del Novecento – Foto pubblico dominio da wikipedia.org

Con la seconda rivoluzione industriale, all’inizio del XX secolo, sul suo territorio nascono e crescono tante aziende: la Ercole Marelli, la Falck, la Breda, la Campari, la Pirelli e tante altre, creando in pochissimo tempo un volano di sviluppo interconnesso tra migrazione dal sud Italia, attirando manodopera, creando posti di lavoro, aspettative insieme a tanta povertà e desolazione. Chissà quante Vincenzine, classico nome femminile del sud, ma anche quanti Pasquale e Domenico arrivarono alla stazione centrale di Milano con la classica valigia piena di poche cose e sogni di una vita migliore. Il Lavoro.

All’inizio del 900, contemporaneamente alla diminuzione della produzione tessile e serica, che si sposta verso il comasco, per l’uso dell’acqua come forza motrice, a Sesto aprono le prime officine, che cominciano ad assorbire gli operai e le operaie delle filande rimasti senza lavoro. Contemporaneamente lo sviluppo stradale ma soprattutto ferroviario, con l’apertura della galleria ferroviaria del San Gottardo, arrivano le materie prime, come il ferro e i metalli in genere e il carbone come energia. Aprono così, insieme a criteri industriali “moderni”, fabbriche come la O.S.V.A., ossia la Officine Sesto San Giovanni & Valsecchi Abramo, una azienda italiana produttrice di articoli per ferramenta, per la casa, rubinetterie e poi anche elettrodomestici: in pratica un altro mondo. Contemporaneamente le stesse fabbriche, la Falck ad esempio, costruiscono caseggiati per gli operai, su quelli che erano terreni agricoli, la classiche case di ringhiera, col ballatoio e un unico bagno in fondo, ma anche dormitori, di fronte alle fabbriche, per gli operai che vengono da paesi e province vicine e che torneranno a casa a fine settimana. Sesto San Giovanni continua a crescere, anche in termini di popolazione, poi arriveranno i decenni della Prima guerra Mondiale, della Seconda e poi la Liberazione. Negli anni delle guerre quelle fabbriche furono riconvertite anche per produzioni belliche, poi quegli impianti complessi dopo il 1945 serviranno a ricostruire e far vivere e crescere la società moderna, con un lunghissimo periodo di pace e civiltà, frutto di un impegno collettivo immane, per un futuro migliore.

La sirena dello Stabilimento Unione della Falck – Foto da wikipedia.org – CC BY-SA 3.0

E lì capiterà di incontrare le varie “Vincenzine” che entrano in fabbrica, con i Pasquale e Domenico. Le sirene dettavano il ritmo ululando tutto il giorno per orari e turni, i fumi delle ciminiere, insieme a lampi e lingue di fuoco oscuravano il sole, quando c’era, altrimenti si mischiavano alla schighera, all’umidità, a quei mille cappottucci laceri stretti addosso ai Pasquale e alle Angelina che entravano in fabbrica, con sotto braccio una borsetta macchiata e la schiscetta di alluminio col pranzo o la cena, da scaldare vicino a qualche altoforno della fabbrica. Un mondo di persone si spostava in bicicletta, con le corriere e col treno, un continuo via vai di volti, poveri, vestiti e tute strappate, dialetti strani all’orecchio del lombardo. Io mi immagino Vincenzina che parlava, magari poco, con la sua “c” arrochita, quasi di gola, facendo capire la sua provenienza. Questa spinta di crescita riguarderà anche, allargandosi, altri comuni vicini come Cinisello Balsamo, Lambrate e via con caseggiati popolari e la nebbia che riempie le giornate.

 

Enzo Jannacci (anni 1970) – Foto pubblico dominio da wikipedia.org

In questo contesto un grande e indimenticato poeta, oltre che un grande medico, Enzo Jannacci, (Milano,1935 – Milano, 2013), un caposcuola del cabaret milanese, interprete della milanesità con Dario Fo e Giorgio Gaber, tra gli altri, scrive nel 1974 questa canzone “Vincenzina e la fabbrica”, a quattro mani con l’altro indimenticato e mitico giornalista sportivo Beppe Viola. Divenne la colonna sonora di “Romanzo popolare”, film sempre del 1974 diretto da Mario Monicelli, ed Enzo la canta, con malinconia, quasi dolorosa, con quella sua vocina strampalata, un po’ stirata, sembra a volte stonato. Una storia di una famiglia del sud che si divide e soffre, ambientata in fabbrica, che si intreccia con altri interpreti del sud, con temi di fatiche, lotte sindacali, un accenno alla passione sportiva di entrambi gli autori, tanta disillusione, ma è la “fabrica”, con una “b” sola alla milanese e chissenefrega se un congiuntivo manca nel testo…D’altronde anche Jannacci, a parte il cognome di origine macedone lasciatogli dal nonno, era di origini pugliesi. Oggi viviamo gli stessi problemi, non solo a Milano, con tante Vincenzine del sud o dell’est del mondo, qualcosa è cambiato come tutela del lavoratore, garanzie e diritti, ma il mio pensiero torna a quella terrunciella davanti alla fabbrica, sola e pensierosa.

E allora rimane Vincenzina che davanti alla fabbrica con Enzo Jannacci si domanda «Vincenzina vuol bene alla fabbrica, ma non sa che la vita giù in fabbrica non c’è, se c’è, com’è?»

Vincenzina davanti alla fabbrica,
Vincenzina il foulard non si mette più…
Una faccia davanti al cancello che non apre più…

Vincenzina hai guardato la fabbrica
Come se non c’è altro che fabbrica
E hai sentito anche odor di pulito
E la fatica è dentro là…

«Zero a zero anche ieri: ‘sto Milan qui,
‘Sto Rivera che ormai non mi segna più,
Che tristezza, il padrone non c’ha neanche ‘sti problemi qua..»

Vincenzina davanti alla fabbrica,
Vincenzina vuol bene alla fabbrica,
E non sa che la vita giù in fabbrica
Non c’è,
Se c’è
Com’è ?

Foto di apertura libera da Pixabay