Quante Via Gluck ci sono in Italia? Sicuramente centinaia, a parte quella a Milano, si chiameranno sì in altro modo, ma il sapore e la memoria di quella strada sono ovunque. Io da romano ne ricordo tantissime: aperta campagna, frutteti, orti, case di contadini e anche pecore al pascolo, in quei quartieri ancora non nati, che però in pochissimi anni, dagli anni 50 e 60, videro cancellate quelle realtà con immensi palazzoni, le “case di ringhiera” col bagno sul ballatoio, tutti uguali, cemento su cemento e strade e asfalto e tutto quello che segue. Quel ragazzo, quasi sessant’anni fa, era il 1966, ovvero Adriano Celentano, che si presentò al Festival di Sanremo con questa canzone Il ragazzo della via Gluck raccontava la sua storia, la sua vita, divenne subito un patrimonio di tutti, in cui ci si riconosceva, a tutte le latitudini e longitudini. E infatti come spesso succede a Sanremo, ‘Il ragazzo della via Gluck’ viene clamorosamente bocciata dalla giuria subito dopo la prima serata, anche se poi venderà milioni di copie.

Edificio via Gluck 14 by Nikita Kozyrev, Denis Silin – CC BY-SA 3.0

I suoi ricordi erano sì degli inizi degli anni 40, ancora la guerra era in corso, ma un bambino, nato al numero 14 della Via Gluck,  quattro o cinque anni, scarmigliato e sporco, con calzoncini sbrindellati e più grandi perché forse del fratello maggiore, (allora non si buttava niente, si riciclava tutto seguendo la crescita e l’età) correva e sudava, libero in mezzo a quei campi con una palla fatta di stracci, cucita dalla mamma, e se capitava pure una sassaiola, che tanto i lividi non si contavano….intorno c’erano amici, ricchi di nulla, ma di tanta libertà in una via dal nome impronunciabile o quasi, e quando faceva caldo un tuffo nella Martesana, un canale che scorre lì vicino e così si imparava pure a nuotare…. Nel frattempo il fischio dei padri che tornavano a casa, tutti i padri avevano un fischio che la mamma riconosceva, anche i figli, “son tornato” diceva quel fischio e tanto bastava. Gente semplice, operai, contadini e artigiani, poveri, certo, ma era sufficiente stare insieme e condividere quello che c’era, anche poco… “Gente tranquilla che lavorava…”.

Già il nome strano della strada: giù in fondo alla strada, quasi all’angolo con la circonvallazione che porta a piazzale Loreto, sopra la Stazione Centrale, c’è la targa civica: via Cristoforo Gluck, musicista, 1714-1787. Quel paradiso fatto di poco sarebbe cambiato violentemente in pochi anni, a Milano come in tante grandi e piccole città d’Italia: arrivava la ricostruzione, la cementificazione di quei prati e pascoli, il boom economico e la necessità obiettiva di dare una casa a tutti gli immigrati che arrivavano dal sud, in cerca di una opportunità, di pane, di una speranza di vita migliore…

Tor Bella Monaca – Veduta 1988 – Foto da wikipedia.org – CC BY-SA 4.0

Un mio ricordo personale, da romano: ho visto crescere intere borgate sulla Casilina, primi anni 80, tipo Torre Angela e Tor Bella Monaca, un insieme di orti, prati e pecore, tante famiglie del sud Italia, che popolavano immensi spazi aperti, sistemati tra capanne e roulotte, tiravano su casette a due piani, dei grezzi costruiti con i blocchetti di tufo durante la notte, onde evitare eventuali controlli che comunque non c’erano, poi la notte del sabato arrivava la betoniera e gettava il solaio. Le vie erano di terra battuta, qualche rara asfaltata, a Tor Bella Monaca gli stessi abitanti avevano messo un cartello di legno con su scritto “via sabato e domenica”, che la dice lunga su tutto. Ma un’altra cosa che mi ricordo è che nel 1981 abitavo in zona Nomentana, molto vicino al raccordo: la mattina quando uscivo in macchina per andare a lavorare dovevo aspettare che passassero le greggi lungo le strade appena accennate, alcune ancora in terra battuta e altre asfaltate.

Oggi Via Gluck è una anonima viuzza circondata da mostri di cemento, cresciuti tutti insieme negli anni ’60. La casa di Celentano ovviamente non c’è più, quei prati e colline sono stati soffocati dal cemento, nessun ricordo più di tutto quel verde che affascinava Adriano e che scendeva fino al naviglio della Martesana, la periferia di una metropoli che ancora non sa che verrà stravolta e non sa di essere una metropoli, grazie alla speculazione edilizia, che cancella con “gli alberi di trenta piani”, ogni ricordo ed evidenzia la violenza sul territorio, il degrado dell’ambiente.

Là dove c’era l’erba ora c’è
una città
e quella casa
in mezzo al verde ormai
dove sarà?

Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay

E siamo ad oggi, ma anche ieri: aria irrespirabile, le alluvioni, gli smottamenti, le case e le scuole che crollano: dice Celentano “Case su case, catrame e cemento…”. E anche Papa Francesco affronta il tema dell’ecologia, la prima volta, con grande partecipazione e obiettività: parla della nostra “casa comune, la Terra” che tutti dovremmo curare e rispettare, ma ancora prima, quasi a presagire l’oggi, San Francesco d’Assisi parlando del Creato, parlava di “sorella Terra”, “fratello lupo”, “sorella Luna”, per cercare di farci capire come tutto era interconnesso, uomini, piante, animali e i pianeti. E poi il cambiamento climatico, il problema dell’acqua, la biodiversità erosa, una visione ecologica che manca si trasforma in un problema umano e sociale. Se capiremo che noi siamo Terra forse ci potremo salvare, insegnando già nelle scuole magari proprio questa canzone e comprendendo e ponendo rimedio ai nostri comportamenti di adulti.

Questa è la storia
di uno di noi
anche lui nato per caso in Via Gluck
in una casa fuori città
gente tranquilla che lavorava.
Là dove c’era l’erba ora c’è
una città
e quella casa
in mezzo al verde ormai
dove sarà?

Questo ragazzo della Via Gluck
si divertiva a giocare con me
ma un giorno disse
“Vado in città”
e lo diceva mentre piangeva
io gli domando, “Amico
non sei contento?
Vai finalmente a stare in città
là troverai le cose che non hai avuto qui
potrai lavarti in casa senza andar
giù nel cortile”.

“Mio caro amico”, disse
“qui sono nato,
e in questa strada
ora lascio il mio cuore.
Ma come fai a non capire
ch’è una fortuna per voi che restate
a piedi nudi a giocare nei prati
mentre là in centro respiro il cemento.
Ma verrà un giorno che ritornerò
ancora qui
e sentirò l’amico treno
che fischia così

Passano gli anni
ma otto son lunghi
però quel ragazzo ne ha fatta di strada
ma non si scorda la sua prima casa
ora coi soldi lui può comperarla.
Torna e non trova gli amici che aveva
solo case su case
catrame e cemento.
Là dove c’era l’erba ora c’è
una città
e quella casa in mezzo al verde ormai
dove sarà?

Non so, non so
perché continuano
a costruire le case
e non lasciano l’erba
non lasciano l’erba
non lasciano l’erba
non lasciano l’erba
Eh no
se andiamo avanti così
chissà
come si farà,
chissà…

Adriano Celentano con una chitarra Eko in una foto della metà degli anni cinquanta–Foto pubblico dominio da commons.wikimedia.org