Uno dei più grandi fatiscenti miti della civiltà contemporanea è la macroscopica valorizzazione del PIL. Sembra che la vita di uno Stato non possa prescindere da un esuberante segno + collocato all’altezza delle stime delle previsioni per l’anno seguente. Regolarmente contraddette.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

I segni pesanti del cambiamento climatico, uniti all’aumento della temperatura, ad alluvioni impreventivate miscelate con lunghi periodi di siccità, alla pandemia triennale da Covid, ai 169 focolai di guerra sparsi per il mondo, non hanno indicato una strada alternativa al sempiterno miraggio della crescita. È facile trarre omologazioni pertinenti. Quattro anni fa la Cina si preoccupava perché la sua stima di aumento del Pil per l’anno seguente segnalava solo un modico 6,5%. Percentuale che è oggi un autentico impossibile traguardo per tutti i Paesi europei. Ebbene la Cina, unitamente agli Stati Uniti, è la nazione più inquinata del mondo, quella che consuma più suolo, che produce più merci, frenata solo dal blocco americano nel suo feroce import/export. C’è un altro modo di crescere o di decrescere senza che l’umanità si senta in preda a regressione o a una “deminutio”. Il mondo turbo-capitalista lascia con deficit alimentari 800 milioni di persone. E la crescita è irregolare in termini demografici. La previsione di dieci miliardi di abitanti sul pianeta-terra è legata allo sviluppo degli africani, facendoci perdere il residuo euro-centrismo.

Decrescere non vuol dire abituarsi a una vita minore ma vuol dire abitare il pianeta in maniera più consapevole, consci che non ne siamo gli unici fruitori perché alla fine il maggior consumo alimentare è quello degli animali. Vuol dire essere consci che un chilo di carne bovina provoca il consumo di 5.000 litri d’acqua e quindi semmai sarebbe più saggio ripiegare sulla carne bianca (maiali, polli, tacchini, conigli). E poi nella sopravvivenza decrescenza c’è un dato sempre sottovalutato quando ci chiediamo perché noi dobbiamo essere noi, proprio noi, a porci il traguardo dei sacrifici.

Il pianeta in termini alimentari spreca il 30% delle proprie risorse. È una quantità immensa di cibo che sfugge alla Caritas e alle organizzazioni assistenziali, che finisce direttamente dai nostri frigoriferi nella pattumiera, a maggior ragione con la sempre maggiore diffusione di single sul pianeta. Uno spreco che, ragionando in termini religiosi è un insulto a Dio mentre eticamente è uno scandalo permanente. Se si spendono 2.242 miliardi all’anno per le armi (Italia in buona posizione, soprattutto come venditrice) appare evidente che basterebbe un bottone contemporaneamente premuto dai potenti della terra (quelli che spesso non si parlano vedi Biden o Putin o non si capiscono, vedi Biden e Xi Jinping) per addivenire a una programmazione coerente, conservativa, non post-industriale ma saggiamente proiettata sul futuro sostenibile, unica garanzia per le successive generazioni che sono poi quelle a cui abbiamo consegnato un pianeta al momento senza futuro.

Foto di apertura di Kamiel Choi da Pixabay