Aspetti per una settimana quel momento. Dal momento in cui riagganci, aspetti che ritorni quel momento. Che tu sia lontana geograficamente o vicina, poco cambia. Quello diventa il giorno della telefonata, avvisi parenti ed amici che non si devono assolutamente permettere di chiamare per non tenere la linea occupata, 24 ore concentrate e focalizzate su 9 minuti e 40 secondi di cronometro.
Si può riassumere una settimana in così poco tempo? Impossibile.
E devi lasciargli spazio di parlare, perché è più quello che vorresti sentire che dire. Prepararsi qualcosa è sconsigliassimo, rischi sempre che la conversazione prenda una piega che poi per questioni di tempo non puoi gestire. Sono più funzionali le frasi a spot.
Intanto, stanno e stiamo sempre tutti bene. Nel frattempo tu parente, puoi anche avere 40 di febbre, una polmonite, o un braccio rotto… lui o lei devono sapere che va sempre tutto bene.
Io sono logorroica. Personalmente per me ogni chiamata si è sempre conclusa con me che mi collegavo al sito delle Poste per fare un telegramma. Ho investito molto denaro nei telegrammi. Erano veloci e la telefonata della domenica al lunedì era già cosa chiusa.
Per quanto si abbiano molte cose da dire, entrambe le parti fanno un’accurata selezione, e se si è molto abili in questo, ci possono essere anche frazioni di secondo di silenzio. “Adesso si stacca, ricordati che mi manchi”.
Un classicone.
Il vero problema per chi “aspetta” la chiamata su cui potrei dire molto è quando la chiamata non arriva. Solitamente della telefonata sai il giorno e all’incirca la fascia oraria. Ma ci sono giorni in cui quella chiamata non arriva. Ci sono giorni in cui aspetti invano, quel giorno e quelli a venire. Perché nessuno ti avvisa se la linea non funziona, se il telefono della sezione è guasto, se tuo marito, tuo figlio, tuo fratello, tuo cugino o chiunque sia è stato trasferito. Nessuno ti dice niente.
Perché nessuno gode del diritto di sapere dove si trova un pezzo del proprio cuore. E se chiami perché sei preoccupato o preoccupata, ti dicono che devi attendere, che chiamerà anche se non è vero perché è stato dislocato a 1400 km. Succede. Succede davvero che quella chiamata non arriva. Succede che se la aspetti di domenica, il giorno dopo la settimana inizia per tutti, e tu devi imparare a far finta di niente.
Perché adesso si possono usare i cellulari, e quindi teoricamente posso anche aspettare ovunque, ma fino a poco tempo fa le chiamate venivano autorizzate solo sulla linea fissa. Solo sulla linea fissa. Nel dubbio la linea fissa non l’ho mai disattivata.
Non mi serve a molto, anzi a niente. Ma per molto tempo mi ha dato aria, e mi ha permesso di respirare, e adesso che non mi serve più non mi sento di buttarla via come una scarpa dismessa. La conservo come una reliquia piuttosto, perché se siamo quelli che siamo adesso è anche grazie a quel dannato telefono.
Non discuto da famigliare solo la quantità di chiamate. Discuto il diritto di chiamare e ricevere chiamate, quando chiunque avrebbe diritto di dire o sentirsi dire le cose a voce. Per umanità. Per puro e semplice senso di umanità.

Letizia Capone – Sbarre di Zucchero

 

Foto di apertura di Donald Edgar su Unsplash