Credere alle promesse delle istituzioni, dello Stato e, più in piccolo, della tua Regione, della tua Provincia (esistono ancora) del tuo Comune che si fregia dell’etichetta di “Capitale”, richiede una buona dose di fiducia, oltre che di ingenuità, per quel bene in fondo molto materiale che è la cultura. Che non si semina nelle scuole, che è giudicata superflua, che non s’irradia nei teatri. Dunque le false promesse sii interpretano come un tradimento. Un fenomeno generale di deviazione tale e quale ai trasparenti cartelli sugli appalti dove le date di realizzazione vengono sempre posticipate. Una suadente metafora dell’Italia dell’emergenza nella cantieristica di Roma dove si cerca in fretta e furia di provvedere entro i tempi del Giubileo del 2025 già sapendo che per una discreta percentuale di restyling la cancellazione del progetto sarà inevitabile. Così i Teatri in autunno a Roma cadono come le foglie a uno a uno. Cancellazioni silenziose, sparendo dalla manchette dei quotidiani. E senza nessuno che ne celebri il funerale. Né pubblico né privato. Un barbone ormai ha adibito a proprio giaciglio il portico del Teatro Eliseo dove un fallimento sapientemente guidato da Luca Barbareschi ha provveduto a chiudere le insegne di uno dei più prestigiosi luoghi della capitale. Peraltro, a dire di quanto sia trascurabile la crisi, Barbareschi continua a produrre costosi e a volte anche mediocri film di Polanski. Ha chiuso i battenti al centro anche la Cometa mentre il Ghione ospita la qualunque pur di auto-mantenersi in vita. Almeno altri dieci teatri sono borderline e risolvono la stagione con repliche, reading, spettacoli per uno o due attori senza scenografie, denotando un calo sensibile di incassi al botteghino. Le scuole di teatro sono la scorciatoia per la sopravvivenza. Tutti scrivono, tutti vogliono recitare. Nessuno legge, pochi performano.

Teatro Valle, rione Sant’Eustachio di Roma – Foto da wikipedia.org – CC BY-SA 3.0

Ma vorremo puntare il focus su altro grande drammatico tradimento istituzionale. Il Valle ex occupato fu sgombrato in cambio della promessa di riattivazione. Finanziamento, restauro e riapertura in breve tempo. Nell’agosto del 2014 fantasmagoriche assicurazioni da parte della municipalità. Sono passati nove anni abbondanti e le insegne non sono state riaperte. Vocazione pubblica indecorosa. Dopo la dismissione dell’Eti i tre anni di occupazione dal punto di vista della scena teatrale e della sperimentazione sono stati tra i più fecondi nella storia del Valle. Spettacoli gratuiti o a sottoscrizione. L’elenco di chi è passato negli anni dell’autogestione farebbe invidia a qualunque stabile italiano: Renzo Arbore, Stefano Bollani, Sabina Guzzanti, Franca Valeri, Elio Germano, Jovanotti, gli Area, Gianni Morandi, Andrea Camilleri, Fausto Paravidino. Spettacolo senza aggettivi: teatro, musica, happening, assemblee cittadine. La cittadinanza attiva grazie agli occupanti si era ripresa il senso della scena. Senza dirigismi, gerarchie, burocrazia. Poi una narrazione tossica e scandalizzante ha scacciato l’inquietante minaccia di libertà dal Valle.

Tutto spazzato via da una falsa vergognosa promessa. Mestiere difficile quello del sindaco di Roma. Ma nessuno ha obbligato la Raggi e il laureato in storia Gualtieri a candidarsi al ruolo scomodo. In piccolo anche il cinema Palazzo ha vissuto la stessa parabola. Facendo capire che a volte l’esercizio di presunta legalità cela la demagogia con una riappropriazione di edifici vuoti che al momento non servono a nessuno. La realtà è che il teatro come rappresentazione ed epitome delle contraddizioni fa paura a una società dove un soverchiante pensiero unico porta al potere dei mediocri.

Foto di apertura di Andreas Glöckner da Pixabay