Nella distanza pubblica non esiste la sfera del coinvolgimento. E’ quello spazio che non si può valicare senza essere invitati, una separazione naturale o voluta ma dirimente. Questa distanza mantiene le persone degli estranei, ed eventuali contatti richiedono gesti e voce amplificati.

In conclusione se si considera l’uomo circondato da una serie di sfere invisibili ma che hanno dimensioni misurabili possiamo vedere l’Architettura in una luce particolare. Diventa chiaro come la ristrettezza o l’ampiezza dello spazio in cui le persone vivono o lavorano forzi i reciproci comportamenti, le relazioni, le emozioni e come l’influenza reciproca dei corpi sia relazionabile proporzionalmente alle distanze tra loro. Studiando questi schemi possiamo contribuire a migliorare il disegno delle strutture delle abitazioni, dei luoghi di lavoro, delle città. Ma gli stessi studi prossemici evidenziano anche le differenze fondamentali di comportamento delle diverse popolazioni, e la necessità di adeguare in particolare le strutture abitative alle diverse situazioni antropologiche. A livello di prossemica i nostri edifici si adeguano a schemi diversi: preordinati, semideterminati e informali.

Gli spazi preordinati seguono disegni prestabiliti dai condizionamenti culturali. L’interno delle abitazioni occidentali è organizzato spazialmente con compiti precisi: preparazione dei cibi, consumazione dei pasti, zone ricreative e sociali, riposo, spazi che corrispondono a precise esigenze di funzionalità, di igiene, di utilizzo e di equilibrio. In realtà queste distinzioni sono relativamente recenti. Fino al diciottesimo secolo le stanze delle abitazioni europee non avevano funzioni fisse, solo da questo periodo le “camere” cominciano a distinguersi dalle “sale” e assumono anche nomi diversi: camera da letto (bedroom), soggiorno (living room), sala da pranzo (dining room)… e nascono i corridoi, in modo che per le varie funzioni non si debba più passare direttamente da una stanza all’altra.  Comincia a manifestarsi in modo più appariscente il tipo di rapporto che lega la persona allo spazio preordinato che la circonda. L’influenza sul comportamento di questo tipo di spazi è concisamente ben definita da una famosa citazione di Winston Churchill, che in occasione della sistemazione della sala del Parlamento si espresse così: “Noi formiamo gli edifici, e ne siamo a nostra volta plasmati”.

Vi sono degli spazi, come le sale d’aspetto delle stazioni o degli aeroporti, che tendono a tenere le persone in uno stato di isolamento reciproco, dove si sta insieme ma “separatamente”, mentre altri inducono la gente a riunirsi, come le terrazze dei caffè all’aperto, i foyer dei teatri, le sale da ballo. Molti esperimenti condotti (posizionando diversamente i tavoli e le sedie negli istituti di accoglienza geriatrica ad esempio) hanno fornito la dimostrazione degli effetti profondi che la sistemazione dello spazio semideterminato può avere sul comportamento umano in termini di miglioramento della qualità dei rapporti umani e delle conversazioni interpersonali. In una casa cinese spostare una sedia senza l’esplicito consenso del padrone di casa è considerato alla stregua di mettere disordine, mentre in una casa americana l’uso promiscuo degli spazi per diverse attività e i continui spostamenti di mobili sono cose normali.

A livello microculturale poi, particolarmente nelle microculture europee, le osservazioni prossemiche diventano ricchissime quando riguardano la posizione e l’uso degli oggetti personali, che si ripongono in base a schemi assolutamente personali, e quando consideriamo il modo di sistemare e maneggiare le proprie cose, che segue modalità assolutamente uniche.

(continua)

Tutte le foto sono dell’autrice