Non ci si innamora del grande mercato” (Jacques Delors)

Non si forma la coscienza europea sulle cifre” (Fernand Braudel)

Come sanno gli osservatori attenti delle vicende che una volta si chiamavano comunitarie, le istituzioni dell’Unione Europea hanno deciso di rivolgersi all’esperienza di due ex-primi ministri italiani per riaprire i cantieri del mercato unico ancora incompiuto – dopo essere passato dal mercato comune dei Trattati di Roma al mercato interno dell’Atto Unico Europeo – e della competitività europea, anch’essa a metà del guado nonostante i rapporti, ormai dimenticati negli archivi europei, scritti fra il 2012 e il 2015 prima dai quattro e poi dai cinque presidenti delle istituzioni europee.

La prima missione è stata affidata da Charles Michel, in nome e per conto di tutti i Capi di Stato e di governo – e dunque, immaginiamo, anche di Giorgia Meloni – ad Enrico Letta a giugno 2023 per mettere sul tavolo dei governi e della Commissione Europea delle riflessioni e delle proposte a trent’anni dall’“obiettivo 1992” che, grazie all’Atto Unico europeo, avrebbe dovuto essere completamente raggiunto entro il 1° gennaio 1993.

Secondo una certa logica e affinché possa essere di qualche utilità, il rapporto di Enrico Letta dovrebbe essere trasfuso nella “Agenda Strategica 2024-2029” che il Consiglio Europeo adotterà a fine giugno dopo le elezioni europee.

La seconda missione è stata affidata da Ursula von der Leyen a Mario Draghi, a nome della Commissione Europea, dopo il discorso, o meglio in occasione del discorso, sullo “Stato dell’Unione” nel settembre 2023 e il suo rapporto dovrebbe essere consegnato alla stessa Commissione Europea – ormai sulla via di consegnare la “campanella” (se esistesse anche nell’Unione Europea il rituale di Palazzo Chigi) a quella nuova – nel mese di luglio per essere trasfuso fra le priorità della nuova Commissione nella prossima legislatura.

Enrico Letta e Mario Draghi hanno svolto ampie consultazioni per dare seguito ai mandati ricevuti e, pur dovendo rispondere stranamente a due diverse istituzioni, immaginiamo che la complementarietà fra i due temi li abbia spinti a coordinare i loro sforzi, poiché hanno entrambi frequentato in questi mesi prossimi passati palazzi europei, non limitandosi a incrociarsi sulla piazza del Rond Point Schuman dove si affacciano il Justus Lipsius per il Consiglio e il Berlaymont per la Commissione, e avendo reso ripetuti omaggi non formali nel Palazzo Spinelli al Parlamento Europeo.

Enrico Letta ha dichiarato in più occasioni che la realizzazione del mercato unico esige – così come sanno gli studenti nei corsi di diritto europeo – lo sviluppo di politiche per l’economia reale, molto opportunamente analizzato da Roberto Santaniello nel suo manuale “Capire l’Unione Europea” edito da Il Mulino (pag. 37-82), e che queste politiche devono essere aggiornate alla luce dello stato dell’Europa e del mondo in quella che Enrico Letta ha definito la “dimensione geopolitica” per rilanciare il mercato unico investendo nei pilastri della difesa, delle telecomunicazioni, dell’energia e del settore finanziario, dove hanno prevalso le dimensioni nazionali al contrario della ricerca di asset strategici europei.

In modo non totalmente dissimile, Mario Draghi considera una parte dei pilastri individuati da Enrico Letta non limitandosi a quelli necessari per rilanciare il mercato unico, ma aggiungendo quelli necessari per garantire l’autonomia strategica europea che non riguarda solo la difesa, ma le trasformazioni digitali e ambientali insieme alla sicurezza e alla dimensione industriale legate all’approvvigionamento delle materie prime, che passa attraverso un rapporto equo di cooperazione con l’Africa.

Poiché Mario Draghi si ispira ed ispira la ricerca di beni pubblici che possono essere garantiti solo in una dimensione transnazionale, ci permettiamo di attirare l’attenzione sulle riflessioni sviluppate dal Movimento Europeo nel suo “Libro verde”, immaginato e proposto in vista di una “agenda costituente per la decima legislatura europea”, che unisce al tema delle politiche la dimensione fiscale e cioè il bilancio e la dimensione istituzionale e cioè la funzione del governo europeo richiamata con positiva – ma scarsamente ascoltata dalla classe politica italiana – determinazione da Marco Buti e Marcello Messori sulle colonne del Il Sole 24 Ore.

Enrico Letta ha parlato di un “grande cambiamento” e Mario Draghi ha posto ai suoi interlocutori tre domande a cui per ora non ci sono state risposte adeguate perché tutti attendono di sapere – senza prepararli adeguatamente – quali saranno gli equilibri politici fra e dentro le istituzioni europee dopo le elezioni dal 6 al 9 giugno:

  • “come possono le istituzioni europee mobilitare una migliore spesa pubblica per sostenere gli investimenti privati negli innovatori che guidano la doppia transizione verde e digitale”
  • “cosa possiamo fare per stimolare ed accelerare l’innovazione pionieristica”
  • “come possiamo colmare il disallineamento delle competenze in Europa”.

Sia Enrico Letta che Mario Draghi sanno bene che il “grande cambiamento” potrà avvenire solo a due condizioni complementari che richiederanno tuttavia tempi, modi e condizioni politiche diversi ma non conflittuali:

  • un bilancio fondato su nuovi finanziamenti comuni – attraverso risorse proprie e safe asset europei – per obiettivi comuni, come ricordato recentemente da Paolo Gentiloni, quando arriverà a conclusione il 31 dicembre 2026 il NGEU, si dovrà rimborsare il debito pubblico contratto dalla Commissione Europea per le sovvenzioni concesse agli Stati e si avvierà la discussione sul quadro finanziario pluriennale 2028-2032 a cavallo fra l’Unione Europea attuale a 27 e quella futura a 35. Per facilitare la ricerca di un consenso fra le dimensioni nazionali e la dimensione europea, il Movimento Europeo sostiene la necessità di promuovere nel 2026 e dunque a metà legislatura una conferenza interparlamentare secondo il modello delle “assise” che si svolsero a Roma nel novembre 1990, accompagnate da forme di democrazia deliberativa secondo il modello della Conferenza sul futuro dell’Europa.
  • Una fase costituente che abbia al suo centro l’azione riformatrice del Parlamento Europeo per superare l’immobilismo confederale dei governi e trasformare le proposte di revisione del Trattato di Lisbona votate dall’Assemblea il 22 novembre 2023 in un progetto di natura costituzionale confrontandolo con i parlamenti nazionali nelle “assise” con l’obiettivo di sottoporlo ad un referendum pan-europeo prima dell’adesione all’Unione Europea di nuovi membri.

Poiché la storia dovrebbe essere maestra della vita (politica), suggeriamo di rileggere qui allegato il lungo intervento davanti al Parlamento Europeo di Jacques Delors con le domande ancora attuali rivolte non solo all’assemblea ma all’opinione pubblica europea il 17 gennaio 1989 quando – preparando il secondo quinquennio della sua presidenza e analizzando il passato, il presente ed il futuro dell’Europa – ci ammoniva che “non ci si innamora del grande mercato” e, citando Fernand Braudel, che “la coscienza europea non si forma sulle cifre”.