Era il 1984 e sembra oggi. Pierangelo Bertoli, poeta e cantautore nato a Sassuolo nel 1942, pubblicò un Lp dal titolo “Dalla finestra”. E come lui anche noi guardiamo dalla finestra, o dalla TV se volete, quello che succede in Ucraina, inermi e spesso incapaci di dare una risposta ai perché.

Affermerà poi, con dolorosa lungimiranza: “All’inizio avrebbe dovuto chiamarsi Varsavia ’82, ma mi sembrava troppo specifico, datato, ristretto a un tempo e a un episodio ben precisi. Così ho eliminato dal titolo ogni riferimento temporale perché il messaggio che intende trasmettere la canzone è a-temporale, non localistico, esteso, anzi, al mondo intero. È il solito grido disperato di libertà.

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Quanto aveva purtroppo ragione… La canzone si riferisce alla repressione del regime di Jaruzelski, che alla fine del 1981, su indicazione dei sovietici, attuò un golpe militare proclamando lo stato di guerra ed instaurando il cosiddetto “Consiglio Militare di Salute Nazionale Polacco”. Quando nel dicembre del 1970 iniziò una crisi politica dovuta dagli scioperi organizzati in alcune città sul Mar Baltico (Danzica e Stettino), Jaruzelski fu tra coloro che vollero le dimissioni di Władysław Gomułka e favorirono il nuovo leader Edward Gierek. Di fronte all’aggravarsi della situazione politica ed economica del Paese alla fine degli anni settanta e per fronteggiare l’attività del sindacato “Solidarność” si prese, nell’estate del 1981, l’incarico di Capo del governo e Primo segretario del POUP, provando a governare una situazione che si faceva ogni giorno più drammatica. Certo l’aggressione e l’invasione dell’Ucraina ha altre ragioni per chi ha sferrato l’attacco, ma è sempre invasione di una nazione libera.

E allora sentiamo Bertoli:

“Mentre è notte a Varsavia piove forte

lampi e tuoni che spaccano il cielo

che è più nero del velo che copre la morte

a Varsavia hanno chiuso le porte

dentro casa qualcuno sta piangendo

qualcun’altro vorrebbe far l’amore

come posso tesoro tenerti sul cuore

se stanotte a Varsavia si muore

come posso tesoro tenerti sul cuore

se stanotte a Varsavia si muore.”

 Sembrano i bollettini che arrivano dall’Ucraina, una nazione invasa e devastata. Poi continua:

“Hanno ucciso un ragazzo di vent’anni

l’hanno ucciso per rabbia o per paura

perché aveva negli occhi quell’aria sincera

perché era una forza futura

sulla piazza ho visto tanti fiori

calpestati e dispersi con furore

da chi usa la legge e si serve del bastone

e sugli altri ha pretese di padrone

da chi usa la legge e si serve del bastone

e sugli altri ha pretese di padrone.”

Rivolta di Varsavia
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Il ragazzo ammazzato fu il diciannovenne Grzegorz Przemyk, ucciso dalla polizia polacca il 14 maggio 1983 perché figlio di un’attivista di Solidarnosc. I funerali di Grzegorz Przemyk si trasformarono in una grande manifestazione contro il regime e furono celebrati da padre Jerzy Popiełuszko, che venne poi ucciso dalla polizia politica nell’ottobre del 1984. Come tanti innocenti ucraini, che da cinque mesi hanno subito lo stesso vandalismo e sono stati trucidati nelle loro case. Nasce così una delle canzoni più dolorosa e stringente del cantautore emiliano: un brano che mescola rabbia collettiva per il lutto ed indignazione per la barbarie sovietica. E’ una preghiera laica, non c’è rassegnazione, che nasce sugli accordi della chitarra: ma anche un atto d’accusa verso il potere e verso l’indifferenza delle maggioranze. Sembra di ascoltare i reportage che arrivano dall’Ucraina.

Sull’altare c’è una madonna nera

ma è la mano del minatore bianco

che ha firmato cambiali alla fede di un mondo

sulla pelle di un popolo già stanco

stanco marcio di chiese e di profeti

da una parte e dall’altra tutti uguali

perché a stare in trincea

sono gli uomini normali

non i capi di Stato o i generali,

perché a stare in trincea

sono gli uomini normali

non i vescovi e neanche i cardinali.

Per l’autore non furono soltanto i comunisti e i militari di Jaruzelski, a tenere stretto in una morsa oppressiva il popolo polacco. Il riferimento al minatore bianco, in effetti Papa Giovanni Paolo II non fu minatore, ma scavatore in miniera in gioventù, è riferito a quella parte della Chiesa, vista come un partito, contrapposto a quello comunista. Non per aiutare ‘gli ultimi’, e vivere pienamente i dettami del Vangelo, bensì per perseguire scopi egoistici propri, oltre quegli degli esponenti delle classi ricche che l’hanno sempre sostenuta.

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E oggi? Di fronte alla violenza dell’uomo sull’uomo nessuno deve chiudersi in se stesso, nella scatola chiusa degli affetti privati, perché il dolore di Varsavia o di Charkiv, o di tutte le città ucraine stuprate, il dolore di un popolo stanco di tiranni, di Chiese e di profeti, è il dolore di tutti, e la felicità, in una notte come quella o come questa, sembra svanire anche per chi da lontano, allora nell’Occidente immerso negli anni 80, ma è così oggi, nella schiavitù consumistica, nel terrore di non avere gas o grano, continua a sperare in alcune belle illusioni. Cosa ci resta? La musica per urlare la propria rabbia e la voglia di tirarsi su le maniche, le mani sporche di lavoro e piantare nuovamente fiori e ricostruire case, dove un sistema disumano ha calpestato con barbarie la libertà di un popolo. Rimane l’amore, per la propria famiglia e per l’umanità, che resta acceso come una luce in mezzo alla sofferenza della notte scura di Varsavia e di tante città ucraine e dà la forza di reagire e riconquistare la propria dignità di uomini.

 

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