La Presidenza portoghese dell’Unione Europea ha convocato a Porto, per il 7 ed 8 maggio, il Vertice Sociale Europeo. Sarà il secondo, dopo quello organizzato, nel 2017 a Goteborg, dalla Presidenza svedese, per lanciare il Pilastro Sociale dell’Unione Europea ed adottare i 20 Principi che avrebbero dovuto ispirare tale Pilastro.

Sarà, al contempo, molto di meno e molto di più di quanto ci si sarebbe potuto aspettare a quattro anni di distanza dal precedente appuntamento.

Molto di meno, perchè, nonostante un diffuso e convinto appoggio dell’opinione pubblica europea (oltre l’80% degli intervistati dall’ultimo Eurobarometro è favorevole al rafforzamento dell’Europa sociale), il Piano d’azione per l’applicazione dei 20 principi del Pilastro Sociale che propone la Commissione Europea suona ancora tanto come un diligente “compitino” da ufficio studi, più che proporsi come l’agenda di una coraggiosa trasformazione del modello sociale europeo di fronte alle sfide epocali del XXI secolo.

Ci si pongono infatti solo tre obiettivi concreti:

  • portare entro il 2030 ad almeno il 78% l’occupazione della fascia d’età tra 20 e 64 anni, obiettivo già conseguito per la popolazione maschile ma ancora lontano (66,6%) per quella femminile;
  • portare, dall’attuale 30% circa al 60% nel 2030, la percentuale di partecipazione di adulti ad attività di formazione;
  • ridurre entro il 2030 di almeno 15 milioni (e tra questi di almeno 5 milioni di bambini) il numero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale, rispetto agli oltre 90 milioni attuali.

Obiettivi sacrosanti ma forse troppo timidi e limitati, per giustificare l’ambizione di «una transizione socialmente equa e giusta verso la neutralità climatica, la digitalizzazione ed il cambiamento demografico». Ben più articolato il programma proposto in una risoluzione del Parlamento Europeo dello scorso dicembre.

Nel piano della Commissione sembra mancare, soprattutto, la consapevolezza che, dopo la pandemia, niente potrà più essere come prima. E che, nel ritorno di un imbarazzante clima “hobbesiano” (“homo homini lupus”) nelle relazioni internazionali, la credibilità ed attrattività nel mondo del “soft power” europeo si giocherà in larga parte proprio sullo sviluppo ulteriore di un modello sociale costruito sulla nozione di “cittadinanza europea” come insieme di diritti, garanzie, tutele ed universalità di prestazioni a favore dei singoli individui.

A partire dal diritto alla salute, già riconosciuto a livello europeo con l’art. 35 della Carta di Nizza 2000 dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che ha trovato ulteriore riconoscimento nei principi 16 e 18 (assistenza sanitaria e assistenza di lungo termine) del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali.

Il piano d’azione sull’Europa sociale, in materia di sanità, rinvia burocraticamente alla Comunicazione della Commissione sull’Unione Europea della Salute, del novembre 2020, limitandosi a proporre un’iniziativa sull’assistenza a lungo termine per il 2022, nuovi strumenti di misurazione dell’accesso all’assistenza sanitaria e, soprattutto, la creazione, entro fine anno, di uno spazio europeo di dati sanitari (che parlino finalmente lo stesso linguaggio ed evitino la Babele degli odierni confronti di statistiche non pienamente omogenee).

In sostanza, riprendendo la metafora corrente dell’anima e del cacciavite, a Porto l’”Europa sociale” non potrà non vestire politicamente anche l’“anima” dell’Europa della salute e dei diritti di cittadinanza ma, per il “cacciavite” degli eurocrati, si rimanderà ad un altro cantiere, ancora in fase di progettazione preliminare.

È qui che – quasi paradossalmente – trova spazio la possibilità di un “molto di più“, alla quale accennavo all’inizio.

Proprio all’indomani del Vertice di Porto, si aprirà infatti, ufficialmente la Conferenza sul Futuro dell’Europa, esercizio più di “anima” che di “cacciavite”, sulla quale sono già in atto preoccupanti posizionamenti. Ben 12 Paesi (Austria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Slovacchia e Svezia, subito definiti “la sporca dozzina”) hanno già fatto sapere che non accetteranno proposte di modifiche dei Trattati che dovessero provenire dalla Conferenza sul Futuro dell’Europa.

Come si concilierà questo “catenaccio” con il fatto che la Conferenza si dovrà chiudere già nella primavera dell’anno prossimo (per insistenza della futura Presidenza francese, che vorrà mostrare risultati positivi alle elezioni presidenziali del maggio-giugno 2022)?

Se il buongiorno si vede dal mattino, la discussione al Vertice di Porto sarà estremamente indicativa. Nel 2017, il Pilastro Sociale venne lanciato ma Angela Merkel ritenne prudente non esporsi troppo e non partecipò di persona al Vertice di Goteborg. Probabile invece che questa volta ci sia, visto che si sta per chiudere la sua stagione politica ed incombono in Germania le elezioni politiche del settembre prossimo. Analoghe intenzioni di attiva presenza ci si augura prevalgano anche negli altri Stati europei (Italia, Spagna, Portogallo, Belgio, Lussemburgo ecc.) più aperti al cambiamento, per incoraggiare anche Ursula Van der Leyen e Charles Michel ad osare di più.

Un Vertice Sociale di Porto, che non si limitasse alla mera adozione di documenti pre-confezionati, ma trovasse modo di incarnare proprio il bisogno di novità e di attenzione alla salute, alla sicurezza ed al benessere che promana dalle aspirazioni dei cittadini europei, sarebbe forse il miglior viatico per un successo della Conferenza sul Futuro dell’Europa.

L’Associazione “Tutti Europa ventitrenta”, che si sta organizzando per contribuire per quanto possibile a questa importante assise, ci conta molto.

Foto di apertura OpenClipart-Vectors da Pixabay