Il più grande gruppo editoriale italiano, la corazzata per antonomasia, è su un piano inclinato di perdita di prestigio esponenziale. La cessione de “L’Espresso” al discusso imprenditore Iervolino, è solo l’ultima tappa di una desolante svendita che dimostra l’assoluto disinteresse della famiglia Elkann, con il sigillo della Exor, per il mondo dei giornali.

Non erano gioielli di famiglia ma recenti acquisizioni. Ma da Caracciolo a De Benedetti padre e poi ai figli, altrettanto alieni alla specificità dell’editoria, la caduta è verticale. Il settimanale che fu protagonista di alcune mitiche campagne stampa negli anni ’70, ricco di un dorso di centinaia di pagine, già negli ultimi tempi appariva impoverito e superato dai tempi.

Il pur volenteroso direttore Damilano scriveva interminabili fondi che, visti i tempi di uscita, erano puntualmente scavalcati dallo sviluppo della realtà. E la pletora dei collaboratori engagès contribuiva alla dissipazione delle vendite, velleitariamente proiettati verso l’utopia. Così il gruppo Gedi, già subconcessionario di molte testate locali, ha lasciato al suo destino anche questo Titanic in abbandono affidandolo alle poche competenti mani del neo-acquirente della Salernitana calcio (altro naufragio in vista, inevitabile la serie B), citato in questi giorni dalle testate nazionali per una frode fiscale.

Damilano ha salvato il residuo prestigio abbandonando la scialuppa in naufragio. I 25 dipendenti della testata ora sono affidati al neo-direttore Lirio Abbate. Abbandonabile ogni connotazione di fronte progressista. Iervolino è new entry dell’editoria e il piano di rilancio è un’autentica incognita.

Ora a Gedi rimane “Repubblica”, depotenziata con il direttore Maurizio Molinari, misteriosamente catapultato a Roma, da Torino e da un medio precedente incarico di corrispondente estero.

Seguace dei poteri forti, atlantista, filo-Israele, un anti-Scalfari moderato che ha fatto perdere alla testata il primato tra i quotidiani (il “Corriere della Sera” è nettamente leader) e quella connotazione di centro-sinistra sempre più pallidamente obsoleta. Non è un caso che Molinari abbia liquidato una delle firme più prestigiose (Bernardo Valli) e sia costretto a valorizzare le illeggibili intemerate del pluri-novantenne Scalfari.

“Repubblica” ha perso focus e target, dimensioni che non si recuperano in un mercato già asfittico di suo. Persino il fedelissimo vetero-collaboratore Augias si è scagliato contro la vendita di questo patrimonio culturale, giardinetto di valori in svendita. Così non c’è da stupirsi se su “Repubblica” il dominus sia il tonitruante Francesco Merlo, pensionato di lusso. Con Michele Serra che, obtorto collo, digerisce la pillola della restaurazione. Non dimentichiamo poi che il gruppo Gedi è sotto indagine per un non trascurabile contenzioso da 30 milioni di euro per pratiche burocratiche artefatte sullo stato di crisi.