La beneficenza è buona, santa e giusta. Ma può anche essere l’anima del commercio. Quando leggi che la maggior parte delle donazioni a Telethon in termini percentuali vengono riservate per mantenere in piedi la macchina dell’organizzazione qualche dubbio deve pur venirti.

Quando leggi che la Ferragni fa beneficenza e fa ampia pubblicità del suo operato un secondo dubbio si aggiunge. Quando sei subissato di regali e materiale pubblicitario da parte di meritorie organizzazioni con le quali, fino a quel momento, non hai avuto nessun contatto, puoi affermare con certezza che tre indizi fanno una prova.

Warren Buffett di SuccessPot – Public Domain Mark 1.0.

La beneficenza dunque è anche l’anima del commercio. Perché siamo in Italia. E qui a forza di devoluzioni percentuali (il 2%, il 5 per mille, l’8 per mille) puoi anche finire con lo sbattere la testa. Non a caso i benefattori negli Stati Uniti possono diventare filantropi. Quando Warren Buffett afferma: “C’era una guerra e l’abbiamo vinta noi ricchi” è evidente la sua potenziale trasmutazione dei panni del filantropo. Cioè, chi ha molto, molto può dare. A volte ci sono anche dei motivi fiscali di mezzo. Vorremmo tanto sapere ad esempio perché Giorgio Armani destina 30 milioni del proprio budget a una squadra di basket di Milano che sta facendo brutte figure in Europa senza che mai gli sovvenga l’idea di esonerare l’allenatore, corresponsabile di tanto disastro. Possiamo dunque restringere il campo e affermare che fa beneficenza chi non lo dice, piuttosto chi la utilizza per un proprio tornaconto personale.

Partecipare a un festival musicale mirato per la ricerca specifica di fondi per qualche benemerita associazione umanitaria può anche essere un contributo gratuito ma la pubblicità che ti ritorna indietro, come un produttivo boomerang, può avere un valore enormemente superiore a quello dell’ingaggio.

La beneficenza comunicata ed esternata tramite social network o viralmente non è mai disinteressata. Ma vengo a un piccolo esempio personale. Con juicio destino piccole somme a associazioni stimate che si battono per la ricerca. Ma devo anche chiedermi perché, particolarmente tra dicembre e gennaio, sono subissato da analoghe proposte/invito da parte di sigle mai frequentate che mi propongono donazioni di analogo significato e importo.

Devo immaginare che ci sia un travaso di informazioni e di indirizzi davvero poco commendevole, anche leggendo alla lettera la legge sulla privacy. Così, tanto per non rimanere nel vago, negli ultimi due mesi ho ricevuto calendari, conto correnti, messaggi di auguri, rivistine, dal Banco Alimentare, da Medici senza frontiere, da Emergency, dall’Istituto Serafico per sordomuti di Assisi e persino da Frate Indovino. In linea assoluta mi piacerebbe di vivere in uno Stato che provvedesse al welfare e non provocasse un pullulare di sostegni succedanei, a volte persino equivoci. Ma so che non si può vivere nel migliore dei mondi possibili. Dunque continuo a scegliere e a esercitare il mio spirito critico, caso per caso. L’unico modo per salvarmi da una lettura troppo incondizionata del politicamente corretto e del buonismo a tutt’oggi imperanti.

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